Animatezza e soggettività nella lingua

Francesco GALOFARO

Politecnico di Milano
CUBE, Bologna

https://doi.org/10.25965/as.5022

Index

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Mots-clés : animatezza, giunzione, morfosintassi, semantica strutturale, soggettivit, unione

Auteurs cités : Jacques FONTANILLE, Algirdas J. GREIMAS, Luis Hjelmslev, Eric LANDOWSKI, Romano Lazzeroni, Silvia Luraghi, Francesco MARSCIANI, André Martinet, Antoine Meillet

Plan
Texte intégral

Introduzione

Note de bas de page 1 :

 Cfr. F. Galofaro,  “We have to change mind. Neural Plausibility and the Crisis of Cognitive Explanations”, RIFL SFL, 2012, pp. 101-115.

Note de bas de page 2 :

 Cfr. M. Gamberini, C. Galletti, A. Bosco, R. Breveglieri, P. Fattori, “Is the Medial Posterior Parietal Area V6A a Single Functional Area?”, The Journal of Neuroscience, 31(13), 2011, pp. 5145-5157.

Nel 2006 fui coinvolto in un gruppo di ricerca interdipartimentale dell'Università di Bologna, coordinato da Alessandro Sarti. Neurofisiologi, matematici e semiotici collaboravano allo scopo di studiare la visione, alla ricerca di legami tra neurogeometria e semiotica del visivo. Il mio compito era approfondire la rappresentazione linguistica della visione. Una prima rassegna delle principali posizioni dei linguisti sull'argomento, dalla scuola localista al cognitivismo, evidenziò una miniera di dati e modelli incentrati sulla morfosintassi1. Mi dedicai allora alla semantica, con speciale attenzione al tema del movimento: il gruppo era orientato a studiare aree della corteccia in grado di discriminare tra movimento reale dell'oggetto e quello del punto di vista, con un interesse ovvio per la semiotica e per il problema dell'enunciazione; connesse a queste aree, vi sono anche zone corticali bimodali: qui, i neuroni visivi sono connessi ai neuroni somatosensoriali, che elaborano stimoli legati al movimento del nostro corpo nello spazio, con altrettanto ovvie implicazioni semiotiche riguardo alla propriocezione e la nostra esperienza dell'ambiente che ci circonda2.

Note de bas de page 3 :

 Cfr. B. Comrie,  Language Universals and Linguistic Typology: Syntax and Morphology, Chicago, University of Chicago Press, 1989.

Alla ricerca di marche semantiche che coinvolgessero il movimento, mi imbattei nel dibattito linguistico sull'animatezza, un fenomeno che riguarda un numero molto ampio di lingue indoeuropee (spagnolo, lingue slave) e non indoeuropee (giapponese; navajo). In alcuni casi, essa rende conto di peculiarità morfologiche e sintattiche della lingua considerata. La caratteristica principale dell'animatezza sotto un profilo semantico è che essa dà vita a gerarchie che si configurano come scale graduali: (umano>animale>inanimato; umano vs. non-umano). Secondo Comrie si tratterebbe addirittura di un universale linguistico3.

Note de bas de page 4 :

 Cfr. A.J. Greimas, Sémantique structurale, Paris, Larousse, 1966, pp. 83-84, 118-119 (tr. it. Semantica strutturale, Roma, Meltemi, 2000).

Note de bas de page 5 :

 Cfr. A.J. Greimas, “Approche générative de l'analyse des actants”, Word, 23, 1-2-3, 1967, p. 268.

L'animatezza attrasse la mia attenzione anche per l'importanza che le viene attribuita da Greimas. Nel quadro di una semantica strutturale essa è un sema, il più semplice elemento con cui può essere scomposto un semema4; entro la semiotica generativa, questo sema distingue i ruoli tematici dalle altre figure del racconto5.

Note de bas de page 6 :

 Cfr. A.J. Greimas & J. Fontanille, Sémiotique des passions, Paris, Seuil, 1991 (tr. it. 1991, Semiotica delle passioni, Milano, Bompiani); E. Landowski, Passions sans nom, Paris, PUF, 2004; F. Marsciani, Ricerche semiotiche I, Bologna, Esculapio, 2012.

Come vedremo, l'animatezza consiste in una sorta di efficacia intesa come la capacità di muovere, di muover-si, di muover-mi. Essa è riconosciuta ed attribuita alle entità del linguaggio da quell'istanza, presupposta dalla lingua, che può dire “Io”, e pertanto possiede implicazioni interessanti per indagare il soggetto dell'enunciazione, il suo rapporto con le strutture semiotiche del mondo in cui è gettato. Si tratta di un tema caro alla semiotica contemporanea6.

Note de bas de page 7 :

 E. Landowski, op. cit.

Per quanto riguarda la struttura dell'articolo cominceremo considerando il modo in cui l'animatezza è stata inquadrata dalla primissima generazione dello strutturalismo linguistico, discutendone l'attualità per una semiotica che affronti il sociale in termini di immanenza; compareremo poi la particolare efficacia dell'animatezza alla dimensione linguistica dell'agentività; nel terzo paragrafo ne affronteremo le implicazioni per i modelli semiotici della giunzione e dell'unione7.Infine, trarremo alcune conclusioni generali sull'intersoggettività.

Nota terminologica

Occorre fin d'ora anticipare che ci troveremo di fronte a tre differenti nozioni di soggettività, che possono non coincidere. Quella propriamente linguistica (il soggetto della frase attiva); la nozione di soggetto dell'enunciato narrativo, propria della semiotica strutturale, che è tale in quanto congiunto o disgiunto da un oggetto in cui è investito un valore semantico, al di là del modo in cui tale giunzione si articola sul piano della manifestazione linguistica, tramite uno, più enunciati, un intero racconto o un romanzo; quella di soggetto dell'enunciazione, che costruisce l'enunciato operando una selezione tra le diverse proprietà semantiche previste dal sistema della lingua e proiettandole sul processo linguistico.

Note de bas de page 8 :

 L. Tesnière, Éléments de syntaxe structurale, Paris, Klincsieck, 1959.

Facendo riferimento alla sintassi attanziale di Tesnière8, distingueremo in prima battuta tra il primo ed il secondo attante dell'enunciato linguistico, per evitare confusioni terminologiche tra le categorie di soggetto ed oggetto in uso rispettivamente in linguistica, semiotica e filosofia. Notiamo che, accanto ad un orientamento attivo-inattivo della funzione attanziale (che corrisponde grossomodo alla relazione tra il soggetto e l'oggetto della frase attiva), talvolta al secondo attante dell'enunciato viene attribuita una marca di animatezza che lo distingue dal semplice oggetto, inanimato ed inattivo.

Note de bas de page 9 :

 Cfr. A.J. Greimas & J. Courtés, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la theéorie du langage, Paris, Hachette, 1979.

Ora, se sulla scorta di una tradizione semiotica o filosofica dicessimo che al termine animato è conferita una certa qual “soggettività”, ingenereremmo una confusione con la nozione di soggetto linguistico incarnata nel primo attante. Inoltre, sembreremmo suggerire che “animato” è semplicemente ciò che, virtualmente, può operare come soggetto, suggerendo una coincidenza dell'opposizione /animato//inanimato/ con quella /attivo//inattivo/. Come vedremo, le cose non stanno in questi termini e le due categorie non possono essere identificate. A questo punto proponiamo di considerare il secondo attante animato come un “non-oggetto”. Nel far questo, ricorriamo al quadrato semiotico9, che ci permette di articolare la categoria di soggetto e di oggetto in quattro posizioni distinte ricavando così un non-oggetto e addirittura un anti-soggetto, in cui ci si imbatte in taluni casi in cui è in gioco l'efficacia. Come vedremo, la “soggettività” del termine animato non va cercata nell'enunciato, ma in una relazione tra il soggetto dell'enunciazione e qualcosa che è nel mondo dell'esperienza, rispecchiata dal sistema linguistico attraverso diverse radici; tramite la morfologia; oppure nella sintassi.

1. L'animatezza nella linguistica strutturale

Note de bas de page 10 :

 Si noti come il ceppo slavo turbi uno schema che permetterebbe altrimenti una classificazione delle lingue a seconda della radice ereditata. Si tratta forse di un indizio sulla cronologia della differenziazione del ceppo slavo e sulla sua origine geografica.

E' noto ai linguisti come nelle lingue indoeuropee esistano due radici distinte per l'acqua e per il fuoco10:

Fuoco:

Latino: “ignis”;

Sanscrito:“agnih”;

Russo: “ogon”;

Greco: “pyros”;

Ittita: “pahhur”;

Inglese: “fire”;

Acqua:

Latino: “aqua”

Sanscrito: “āpas”

Greco: “hydor” greco;

Ittita: “watar” ittita;

Inglese: “water”;

Russo: “woda”;

Tab. 1 – Radici animate ed inanimate nelle lingue indoeuropee.

Note de bas de page 11 :

 R. Lazzeroni,  “Il nome greco del sogno e il neutro indoeuropeo”, Studi Linguistici e Filologici Online 1, 2003, pp. 299-326.

Inoltre, come nota Romano Lazzeroni11, in lingua vedica si conservano le due radici: in tal caso, il nominativo maschile o femminile è usato solo come soggetto della frase attiva, mentre il neutro ha valore di oggetto o strumento:

Acqua: Ap- / Udan-;
Sole: Surah /Svar (con metaplasmo);

Tra i primi a fornire una spiegazione del fenomeno, Meillet, secondo il quale la differenza tra le due radici consiste in un diverso grado di “animatezza”:

Note de bas de page 12 :

 A. Meillet, Linguistique historique et linguistique générale, 1921, n.ed. Paris, Champion, 1991, p. 217.

Donc, suivant qu'il était considéré comme une chose ou comme un être susceptible d'action, un même corps, l'eau, pouvait recevoir deux noms, l'un de genre neutre, l'autre de genre animé (…). C'est dire que, à une conception de ce corps comme un objet matériel (…) se juxtaposait une conception tout autre, suivant laquelle les objets et les phénomènes naturels sont les manifestations de forces internes, analogues à celles qui meuvent les animaux et les hommes; ces forces étaient associées à des notions religieuses, et on leur attribuait quelque chose de “divin”.12

Note de bas de page 13 :

 Paolo Rossi, anni fa, strappava sempre un sorriso quando dichiarava di non riconoscersi nella grammatica italiana. Ma si trattava, appunto, di una battuta.

Qui troviamo un tratto tipico del proto-strutturalismo: i primi allievi di Saussure non erano del tutto consapevoli circa il ruolo giocato dalle strutture linguistiche e culturali nella determinazione della soggettività dei parlanti. In altri termini, poiché il fenomeno dell'animatezza è generale, coinvolge la morfosintassi e non si limita a qualche caso sporadico, la lingua sarebbe costruita consapevolmente da chi la parla a partire dalle sue peculiare concezioni religiose; ma questo è ben lontano dalla nostra esperienza comune del linguaggio, le cui convenzioni non possono certo essere deliberatamente imposte né abolite13.

1.1. Le strutture culturali tra immanenza e manifestazione

Note de bas de page 14 :

 L. Lévy-Bruhl, L'âme primitive, 1927 (tr. it. 1948, L'anima primitiva, Torino, Bollati Boringhieri).

Note de bas de page 15 :

 L. Hjelmslev, “La catégorie des cas”, Acta Jurlandica, VII, 1, 1935, pp I-XII e 1-184.

La posizione di Meillet si rifà a quella di Lucien Lévy-Bruhl14. L'antropologo francese tentava di ricostruire una qualche “mentalità primitiva”, che in seguito sarebbe stata abbandonata dall'Occidente grazie alla sua superiore logica; tuttavia, l'originaria weltanschauung avrebbe lasciato tracce fossili nella lingua. Si noti che anche Hjelmlsev riprese dalla concezione dell'autore alcune sue importanti categorie, in particolare quella di opposizione partecipativa15: la mentalità primitiva non conoscerebbe infatti contraddizioni, bensì una partecipazione mistica del sovrannaturale alla manipolazione del mondo: questo il tipo di opposizione che si ritroverebbe, ancora una volta come un fossile, nel linguaggio. Al contrario, il civile mondo occidentale impiega la logica per spiegare scientificamente il mondo e trasformarlo.

Note de bas de page 16 :

 L. Hjelmslev, “Résumé of a Theory of Language”, TCLC, XVI, 1975, def. 71.

E' certamente imbarazzante scoprire i debiti dello strutturalismo verso un punto di vista così poco politicamente corretto. Soprattutto per ragioni scientifiche: come sosteneva lo stesso Hjelmslev, la linguistica non dovrebbe essere fondata su fatti e saperi extra-linguistici. Forse proprio questa consapevolezza epistemologica porta Hjelmslev a ridefinire le opposizioni partecipative come correlazioni in cui i correlati hanno varianti comuni16. Allora, non sono le concezioni religiose ad influenzare il linguaggio; sono le strutture linguistiche a permettere, forse addirittura a favorire, lo sviluppo di alcune concezioni religiose.

Note de bas de page 17 :

 C. Lévi-Strauss, Mythologiques, t. I : Le Cru et le cuit, Paris, Plon, 1964.

Note de bas de page 18 :

 J.-C. Milner, Le périple structural. Figures et paradigme, Paris, Seuil, 2002.

La scelta di Hjelmslev fotografa la transizione dello strutturalismo linguistico verso una migliore comprensione del concetto di sistema e della sua portata rivoluzionaria. Ma per approdare a questo bisogna attendere Lévi-Strauss17; non la troviamo ancora nella generazione di Meillet e di un altro importante studioso pre-strutturalista: Dumézil. Proprio questo autore può aiutarci a capire come venisse inquadrata al tempo la questione dell'animatezza: come sappiamo bene, secondo il grande storico delle religioni le società indoeuropee sono caratterizzate da una struttura funzionale tripartita (sacerdoti, guerrieri, contadini); ora, tale struttura non si mantiene da sé, esercitando i propri effetti anche laddove essa non è manifesta: come nota Milner, secondo Dumézil le strutture culturali si mantengono nel tempo grazie alla loro trasmissione da parte di strutture sociali, che in tal modo replicano se stesse18. Egli ipotizza dunque l'esistenza di una casta sacerdotale, palese oppure occulta, che trasmette questi saperi, e ne trova traccia nei manufatti e in letteratura. Come vedremo, questa è anche l'opinione di Meillet sull'animatezza: il proto-strutturalismo non aveva ancora chiara la problematica dell'immanenza delle strutture che andava reperendo. Esse non avrebbero la capacità di determinare le soggettività dei parlanti e di plasmarne credenze, esperienze, modi di essere nel mondo della vita, ma avrebbero sempre bisogno di una organizzazione sociale manifesta  oppure occulta per potersi riprodurre.

1.2. L'animatezza ieri ed oggi

Meillet dava insomma una interpretazione marcatamente storicistica dello strutturalismo di Saussure: in particolare vedeva nella relazione tra strutture economiche e culturali un rapporto di causalità. Proprio l'esempio della duplicità di radici nell'indoeuropeo si presta a chiarire questo punto:

Note de bas de page 19 :

 A. Meillet, Aperçu d'une histoire de la langue grecque, 2a ed. Paris, Hachette, 1920, p. 44.

Il n'y a pas eu chez les Hellènes, comme il y avait chez les Indo-Iraniens ou les Italo-Celtes, des collèges de prêtres qui maintenaient l'ancienne civilisation indo-européenne. Là où il y avait en indo-européen deux mots différents, pour le feu par exemple, l'un de genre masculin ou féminin (c'est-à-dire « animé »), désignant le phénomène comme un être animé, comme une force divine, l'autre de genre neutre (« inanimé »), désignant le phénomène considéré comme une chose, le grec a conservé, non le nom de genre « animé » et de caractère religieux, comme sanskrit agnih « feu » ou latin ignis, mais le nom neutre, désignant la chose sans aucun sens religieux, pyr.19

Dunque, nel processo di formazione del greco classico, la scomparsa di una radice animata sarebbe dovuta alla sostituzione di una casta sacerdotale originaria, in grado di trasmettere la weltanschauung che la lingua racchiude. Certamente, è interessante che il primo strutturalismo  collocasse già da sempre il linguaggio entro un orizzonte socio-economico; al contempo, vi è senza dubbio un che di ingenuo nel porre un rapporto di causalità tra strutture sociali e strutture culturali. Basti considerare come la distinzione tra animato e inanimato caratterizzi la morfologia e la sintassi di tante lingue contemporanee, senza alcuna influenza di una casta sacerdotale pagana o di qualche organizzazione occulta – almeno, a quel che ne sappiamo. Ad esempio, essa è riflessa nella morfologia del polacco: la declinazione dei nomi maschili può essere distinta in un gruppo di sostantivi inanimati, ad es. klub (club); brzeg (riva); klucz (chiave); cień (ombra); sostantivi animati non-personali, ad es. owad (insetto); ptak (uccello); zając (lepre); koń (cavallo); sostantivi animati personali come student (studente universitario); politolog (politologo); rzeźbiarz (scultore); uczeń, (allievo). La principale differenza è che, al singolare, l'accusativo dei sostantivi maschili inanimati coincide con la terminazione del nominativo; l'accusativo dei sostantivi maschili animati coincide invece con quella del genitivo. Ma la distinzione /animato//inanimato/ non coincide con quella /personale//impersonale/: al plurale, l'accusativo degli animati impersonali coincide con la terminazione del nominativo; quello degli animati personali coincide invece, ancora una volta, con il genitivo.

In spagnolo la distinzione /animato//inanimato/ influisce sulla sintassi. Il complemento oggetto si costruisce con la preposizione “a” nei casi in cui è rappresentato da una persona, un animale con il quale esiste una relazione stretta o un elemento astratto. L'inclusione degli astratti rappresenta solo apparentemente un problema: ce ne occuperemo nel paragrafo dedicato al genere femminile.

1.3. L'animatezza nel quadro della semiotica strutturale

Questi dati dimostrano come l'opposizione /animato//inanimato/ non abbia davvero nulla a che vedere con l'invenzione di una casta sacerdotale. Essa è immanente e virtuale: virtuale, perché non è detto che sia manifesta in ogni lingua; immanente, perché ciascuna lingua la manifesta a modo proprio (nel lessico; nella morfologia; nella sintassi). Essa fa parte del fondo semiotico: il linguaggio non fa che rappresentare la relazione soggetto-mondo, soggetto-oggetto, soggetto-soggetto. Dunque, indipendentemente dalla questione della relazione tra lingua e istituzioni sacerdotali, è possibile chiedersi quale valore semantico sia espresso attraverso l'opposizione /animato//inanimato/.

Note de bas de page 20 :

 La parola anima è etimologicamente connessa al greco anemos, “vento”, e rinvia chiaramente ad una concezione per cui vi sarebbe un qualche “soffio vitale”, una similitudine con le lingue semitiche.

Note de bas de page 21 :

 Cfr. A.J. Greimas, Sémantique structurale, op. cit. pp. 83-84, 118-119.

L'evidente relazione tra animatezza, “anima”, animismo20, tradita dalle già citate letture di Meillet (o di Hjelmslev), è superata nel quadro di una semantica strutturale. Secondo Greimas, “animato” è semplicemente un classema: una unità semantica semplice che, in combinazione con altre rende conto dell'organizzazione semantica del discorso, dello stabilirsi di livelli di coerenza testuale o isotopie21. E' un punto di vista particolarmente fecondo: come abbiamo visto, l'animatezza rende conto di fenomeni linguistici molto differenti, che in alcune lingue sono rappresentati entro la morfologia, in altre nella sintassi, in altre ancora rendono conto semplicemente dell'organizzazione semantica dell'enunciato, ossia della forma del contenuto.

Note de bas de page 22 :

 Cfr. A.J. Greimas, “Approche générative de l'analyse des actants”, op. cit., p. 268; si veda anche P. Bertetti, Lo schermo dell'apparire, Bologna, Esculapio, 2013, p. 60.

Note de bas de page 23 :

 Cfr. F. Marsciani & A. Zinna Elementi di semiotica generativa, Bologna, Esculapio, 1991, p. 75.

Un livello di coerenza semantico può naturalmente trascendere il limite della frase e rendere conto dell'organizzazione semantica come fenomeno trasfrastico. Questo passaggio cruciale spiega l'interesse dell'animatezza per la semiotica strutturale. Tra i diversi livelli di coerenza in cui l'animatezza è coinvolta, infatti, Greimas ne riconosce uno di grande rilevanza: quella del ruolo tematico22. Tra le tante figure coinvolte nel discorso, l'animatezza caratterizza non solo gli attori del racconto, definiti come entità figurative antropomorfe, zoomorfe o altro, bene individuati attraverso il nome, ma anche il loro ruolo tematico, il campo di funzioni che l'attore manifesta nel racconto, anteriormente ad ogni individuazione.. Gli esempi sono tanti: il “padre”, il “povero”, il “potente”, il “prete” ... Un testo narrativo può essere definito come una macchina che trasforma ruoli tematici, ad esempio da detenuto ad evaso23. Ora, secondo Greimas, senza un sema di animatezza non sarebbe possibile la conversione dei valori profondi e dei temi del racconto in questo tipo di configurazioni discorsive, di cui si fanno carico gli attori del racconto.

Direi che siamo ad un punto di svolta importante. Come vedremo in seguito, i tentativi di alcuni linguisti di ridurre l'opposizione /animato//inanimato al ruolo sintattico /attivo//inattivo/ si riveleranno inadeguati proprio a causa del livello semantico cui si colloca la questione dell'animatezza. Dunque l'animatezza segnala che, almeno virtualmente, il nome animato può svolgere le funzioni riassunte nel ruolo tematico. Ad esempio, ciò vorrebbe dire che il polacco Samochód (automobile) in quanto inanimato, non può costituire un ruolo tematico; l'acqua “udan-” non potrebbe, e bisogna ricorrere all'acqua “ap-”.

Note de bas de page 24 :

 P. Bertetti, op. cit. pp. 45-46.

E tuttavia, se Greimas tendeva ad attribuire una natura astratta a questi “organizzatori semantici”, Paolo Bertetti nota che non sembra possibile distinguerli facilmente dal figurativo; perciò la questione circa il rapporto tra essi ed il mondo dell'esperienza rimane aperta ed attuale24. L'idea di Meillet, per cui il legame vada cercato nel movimento, si rivelerà allora ancora feconda.

2. Movimento ed efficacia

Note de bas de page 25 :

 L. Hjelmslev, “La catégorie des cas”, op. cit.

Note de bas de page 26 :

 A. Martinet, Des steppes aux océans. L'indo-européen et les «Indo-européens», Paris, Payot, 1986.

Molti dati linguistici depongono a favore di una interpretazione delle relazioni semantiche astratte, come quelle di causa o fine, in termini di un movimento da o verso qualcosa: nell'interpretazione localista della lingua – la medesima concezione cui si rifà Hjelmslev – la semantica dei casi indiretti deriva da marche di direzione25. Martinet si spinge oltre e ricostruisce la genesi diacronica dei casi indoeuropei a partire da un antico allativo ed un antico ablativo: il genitivo ad esempio si sarebbe evoluto da quest'ultimo (il frutto del melo è ciò che proviene dal melo26).

Secondo la concezione che andiamo esponendo, alcune lingue operano una distinzione tra attanti-oggetto (inerti) e attanti dotati di movimento autonomo e/o di una capacità di muovere altri, di fare da polo di trazione. Non si tratta evidentemente di una caratteristica che designa la persona umana, o la distinzione /animato//inanimato/ collasserebbe su quella /personale//non-personale/: come abbiamo visto, entrambe le distinzioni sono rappresentate nella morfologia del Polacco. Quanto questa marca di animatezza sia ancora viva nella lingua è dimostrato dal fatto che le marche di automobili sono maschili, animate e impersonali:

kupiłem sobie Forda, a mojej żonie Fiata(ho comprato per me una Ford e a mia moglie una Fiat);

e non

*kupiłem sobie Ford, a mojej żonie Fiat

Cosa anima la Ford? Forse la inquadriamo inconsciamente entro una teologia? A ben guardare, la questione è molto più semplice: si tratta di un nome proprio. In polacco i nomi propri sono generalmente maschili animati, con l'eccezione dei toponimi. Il nome proprio di un'automobile o di un trattore è così avvicinato dalla lingua più al nome proprio di un animale o di un pianeta che al nome proprio di una città maschile inanimata come Kraków.

Può sembrare contraddittorio che la semplice automobile, in polacco, sia lessicalizzata come un termine maschile inanimato, mentre la marca di automobili sia un maschile animato, ma ciò non deve stupire: si tratta di una evoluzione recente della lingua, che può preludere ad una ristrutturazione del sistema. Finché le cose resteranno così, tuttavia, l'automobile in genere verrà colta per quanto in essa vi è di incapace di esercitare una efficacia, mentre della Ford verrà colto precisamente questa qualità relazionale: non una semplice protesi strumentale, ma una reale interfaccia con il mondo, alla quale estendiamo la nostra sfera soggettiva. Quando abbiamo un incidente alla guida, non diciamo che la nostra automobile è stata investita da una seconda macchina, ma che qualcuno ci ha investiti.

Il movimento non è inoltre da intendersi in una accezione esclusivamente fisica. Dal movimento reale all'essere mossi da una forza astratta, interna o esterna, che ci costringe ad agire, che ci muove, il passo è breve:

L'amor che move il sole e l'altre stelle;

Così, come è avvenuto per le marche dei casi, anche il concetto di efficacia può essere ulteriormente articolato in termini concreti oppure astratti.

2.1. Un'efficacia al femminile

Note de bas de page 27 :

 Per una ricostruzione del mutamento diacronico cfr. A. Martinet Des steppes aux océans, op. cit.

Note de bas de page 28 :

 Cfr. ad es. S. Luraghi, Introduzione alla linguistica storica, Roma, Carocci, 2002, p. 182 e ssg.

E' noto agli indoeuropeisti come la distinzione /animato//inanimato/ sia più antica rispetto a quella /maschile//femminile//neutro/ per quanto riguarda la declinazione. L'osservazione di sostantivi come /pater//mater/ rivela come la flessione del nome non seguisse distinzioni di genere. Il femminile avrebbe conosciuto una eterogeneità di origini; tra le altre, a partire da un suffisso (-h2) che designava i nomi collettivi, astratti, nomi di massa e plurali non numerabili27. La convergenza tra l'astratto ed il neutro andrebbe ricercata nel fatto che entrambi sono dotati di efficacia28:

La speranza di ritrovare superstiti ha spinto i soccorritori a continuare le ricerche;

Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e 'l primo amore.

Note de bas de page 29 :

 Facciamo riferimento alla concezione di A. Martinet, Economie des changemets phonétiques – traité de phonologie diachronique, Berne, Francke, 1955.

Dalla necessità di distinguere dagli animati, dotati di una forza interna che li rende in grado di muoversi ed agire, una classe di forze astratte in grado di muovere, dotate di una efficacia, nasce così una perturbazione della simmetria del sistema antico. Nell'ottica di uno strutturalismo dinamico, in grado di spiegare il cambiamento linguistico e culturale, diremo che la comparsa di nuove terminazioni comporta la trazione del femminile nella nuova categoria e una ristrutturazione complessiva del sistema alla ricerca di un nuovo equilibrio: tutto questo non senza relitti e tracce del sistema antico29.

Una traccia concreta del mutamento si avrebbe nelle lingue anatoliche, che distinguono solo tra un genere comune e un genere neutro: esse avrebbero conservato lo strato più antico dell'indoeuropeo.

2.2. L'efficacia di forze impersonali

Quanto all'efficacia di forze astratte, vi sono poi altri dati linguistici interessanti, che riguardano i verbi impersonali: in latino si danno casi di costruzione impersonale con il “soggetto” all'accusativo. Ad esempio, ciò riguarda verbi che esprimono un sentimento:

Me miseret (provo pietà);
Me paenitet, (mi pento);
Me piget (provo dispiacere);
Me pudet (mi vergogno);
Me taedet (mi annoio);

Costruzioni simili si trovano in diverse lingue indoeuropee. Ad esempio, in polacco abbiamo:

Boli mnie w boku (mi duole il fianco);
Mdli mnie (ho la nausea);

Rimanendo nel campo della malattia come “influenza”, come efficacia di una forza non concreta, in Polacco alcune malattie fanno parte del genere maschile animato:

On ma raka(egli ha il cancro);
On ma półpaśca(egli ha il fuoco di sant'Antonio);

Note de bas de page 30 :

 Per un approfondimento su questo specifico tema, si veda F. Galofaro “Pragmatics, Pain and Forms of Life. Philosophical Investigations on Chronic Pain”, Esercizi Filosofici 6, 2011, pp. 266-280.

Note de bas de page 31 :

 B. Snell, B. Die Entdeckung des Geistes. Studien zur Entstehung des europäischen Denkens bei den Griechen. Hamburg, 1946, n. ed. Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1975.

Evidentemente la lingua rappresenta come estranee al soggetto (sia esso corpo e/o mente) alcune sue affezioni come il dolore o la pietà. Il secondo attante, più che un oggetto, può essere considerato un anti-soggetto, con cui dobbiamo confrontarci30. Non sembra un caso che in età omerica i greci attribuissero le proprie scelte all'influsso di una forza esterna, interpretata in termini di divinità. Se ha ragione Bruno Snell, la lingua non consentiva loro neppure di nominare la propria facoltà di decidere; solo in seguito i poeti lirici avrebbero creato la distinzione psiche/soma, visto che il secondo termine in Omero non designa il corpo in opposizione alla mente o a qualche altro concetto di anima, quanto più propriamente il cadavere, le spoglie mortali31.

2.3. Animatezza o agentività?

Note de bas de page 32 :

 R. Lazzeroni, op. cit.

Come nota Lazzeroni32 in Omero la cintura, parte essenziale dell'armatura portata dal guerriero, ha due forme linguistiche, maschile e neutro. Il maschile zoster è in uso quando devia i dardi del nemico; il neutro zostron è riferito invece all'indumento inerte, tra i panni da lavare.

Esistono molti casi del genere nelle antiche lingue indoeuropee: in greco abbiamo aster/astra (astro); Oneiros/Onar (sogno); in Lingua vedica abbiamo Arci- / Arcis- (luce); Bhumi- / Bhuman- (terra). Lazzeroni spiega il fenomeno in termini di agentività (agency): il termine che regge un verbo di azione non può essere neutro. Nei casi in cui ciò accade si sviluppa una forma maschile. Sulla base di questi dati Lazzeroni riporta anche la distinzione propria dell'antico indoeuropeo tra radici animate ed inanimate ad un orientamento del sistema di tipo /attivo//inattivo/: il neutro non può ricoprire un ruolo semantico attivo. Il ruolo semantico inattivo sarebbe codificato dall'accusativo, come nel caso delle costruzioni latine impersonali che abbiamo affrontato sopra, o nel latino tardo, quando entra in crisi la codifica soggetto/oggetto.

Come scrive Lazzeroni, tuttavia, sarebbe errato ridurre l'opposizione tra animato e inanimato al solo ruolo semantico: ruolo semantico, ruolo sintattico e scala di animatezza/individuazione sono piuttosto i tre termini di una opposizione complessa, con soluzioni differenti da lingua a lingua. Guardando alle lingue slave, scopriremo ad esempio che anche i termini impersonali possono occupare ruoli tematici attivi, differenziandosi in questo dalla gran parte dei neutri. Ad esempio, in polacco il termine samochód (automobile) è un maschile impersonale, e può evidentemente ricoprire ruoli semantici attivi; gli animati possono assumere tanto ruoli semantici attivi quanto inattivi.

Quel che ci dice davvero il polacco è che l'informazione sull'animatezza non è fornita dal caso nominativo, bensì dall'accusativo. Se da un punto di vista del ruolo avremo sempre un complemento oggetto, la lingua ci informa quando questo “oggetto” è una “cosa” inerte o quando esso è qualcosa con cui intratteniamo una relazione differente. Per comprendere dunque la questione dell'animatezza occorre andare oltre la pura logica della relazione soggetto-oggetto e riconoscere una diversa, autonoma dimensione del linguaggio e dei sistemi semiotici: quella della relazione tra un soggetto e un non-oggetto, o tra un soggetto e un anti-soggetto.

2.4. “Animato” come non-oggetto?

Note de bas de page 33 :

 Cfr. A.J. Greimas & J. Courtés, op. cit.

Il polacco fornisce un buon controesempio rispetto alla possibilità di identificare l'opposizione /animato//inanimato/ con quella di ruolo semantico /attivo//inattivo/. Troviamo maschili inanimati che possono avere un ruolo attivo, come samochód (auotomobile); tale ruolo può essere giocato perfino da alcuni neutri, come dziecko (bambino, cucciolo di animale, senza distinzione di genere). La lingua sembra dunque veicolare una informazione differente attribuendo una marca di animatezza: animato è qualcosa che,  senza essere una persona, è comunque diversa da una cosa. In cosa consiste la differenza? Tanto l'animatezza quanto l'agentività sembrano rimandare ad una nozione di efficacia, ma è ben diversa nei due casi. L'agentività descrive l'Altro a seconda della sua capacità di ricoprire un ruolo semantico attivo o inattivo, definendo il soggetto come dotato di un proprio fare in opposizione all'oggetto. L'animatezza sembra descrivere l'Altro sulla base di tutt'altri presupposti: in particolare, come si è detto, il temine animato è dotato di una capacità autonoma di muovere un secondo soggetto, o di muoversi, nel caso della diatesi riflessiva. Per questo, da un punto di vista della teoria dell'azione possiamo descriverlo come una sorta di “non-oggetto” (e, in alcuni casi, anche un anti-soggetto, come si è visto in 2.2). Ricordiamo che secondo Greimas & Courtès33 la categoria proto-attanziale può essere articolata in almeno quattro posizioni logiche:

Fig. 1 – Articolazione della categoria proto-attanziale

Fig. 1 – Articolazione della categoria proto-attanziale

S1 = attante (oggetto);
S2 = anti-attante (anti-oggetto);
S1-1 = negattante (non-oggetto);
S2-1 = negantiattante (non-anti-oggetto).

Ricordiamo che il lato nord del quadrato in fig. 1 designa termini contrari ad es. /soggetto//antisoggetto/. Essi possono ritrovarsi in sincretismo in un unico termine complesso. Le diagonali marcano invece funzioni attanziali contraddittorie tra loro, che non possono conseguentemente trovare espressione in un solo termine. Anche questo sembra adeguato ai nostri scopi: a seconda che ci si trovi di fronte un oggetto o un non-oggetto, la frase assegna la marca di /animatezza//non animatezza/ senza sovrapposizioni possibili.

3. Collocare l'animatezza

La prima riflessione sulla natura dell'animatezza riguarda la sua collocazione in quanto fenomeno linguistico generale che emerge dalla comparazione.

3.1. Animatezza ed immanenza

Note de bas de page 34 :

 Cfr. “Sémantique générative”, in A.J. Greimas & J. Courtés, op. cit.; per quanto riguarda la linguistica, si vedano Ch. J. Fillmore “The case of the case”, in Bach E. & Harms R.T., Universals in Linguistic Theory, new York, Holt, Rinehart &Winston, 1968; J.M. Anderson, The Grammar of the Case. Toward a Localist Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1971; F. Rastier, “Semantica interpretativa. Dalle forme semantiche alla testualità”, in Paolucci, C. (ed.) Studi di semiotica interpretativa, Milano, Bompiani, 2007.

Come abbiamo visto, essa si manifesta alla superficie della lingua in modi molto differenti. Talvolta regola la sintassi, talvolta è rappresentata morfologicamente nella declinazione. All'eterogeneità di quel che riscontriamo sul piano della manifestazione corrisponde allora un unico principio immanente di “animatezza”: essa rende ragione ad un livello profondo dell'articolazione dei sistemi linguistici; si tratterà di una marca che regola la conversione dalle strutture profonde a quelle discorsive esprimendo una contrainte. Una concezione ben rappresentata in linguistica e che presenta molte analogie con il progetto di Greimas34. In quanto contrainte, essa gioca un ruolo nel definire la soggettività:

Sans se poser la question du caractère inné ou acquis des structures sémiotiques de base (…) force est de reconnaître que l'homme «entre en langue» et qu'il s'y trouve inscrit sans pouvoir en sortir (…). Du point de vue modal, on peut dire par conséquent que les contraintes sémiotiques ne relèvent ni du vouloir-faire ni du devoir-faire du sujet, mai bien plutôt d'un vouloir-devoir-être. (“Contrainte”, in Greimas & Courtés, op. cit).

3.2. Animatezza ed enunciazione

Come abbiamo visto, la non-oggettività veicolata dalla marca di animatezza coglie qualcosa del mondo della nostra esperienza: la non-cosalità, che si accompagna ad una nozione di efficacia associata al movimento, sia in termini concreti sia astratti. Si tratta di una qualità positiva, naturale o ontologica? Non è piuttosto una qualità relazionale, che presuppone qualcuno su cui tale efficacia si esercita e che “è mosso”, e qualcuno che sappia riconoscerla? E' difficile rispondere alla domanda partendo dalla lingua: noi siamo determinati dal sistema linguistico e non possiamo attribuire una marca di animatezza ad un termine a nostro piacere, ad eccezione di qualche raro caso. Tuttavia, abbiamo visto come in lingua vedica sia possibile scegliere tra due radici, una animata ed una inanimata; allo stesso modo il Greco di Omero permette di attribuire un caso maschile o neutro a seconda dell'animatezza. L'Italiano dispone di due costruzioni per parlare del dolore:

Io ho mal di denti
Mi duole un dente.

Nel primo caso abbiamo una normale logica della giunzione: un soggetto (io) è congiunto ad un oggetto (il dolore); nel secondo caso, il dente è tematizzato come un agente dotato di una propria efficacia sul paziente: non a caso quest'ultimo è espresso da un complemento di termine, un dativo di interesse (mi), non da un complemento oggetto. Il caso ricorda da vicino le costruzioni animate dello Spagnolo, che abbiamo già visto in 1.3. Dunque, quando il sistema della lingua consente al soggetto dell'enunciazione una scelta, egli può ricorrere a costruzioni che implicano un orientamento semantico attivo-inattivo, o, in maniera complementare, una costruzione che suggerisce un rapporto tra due ruoli attanziali entrambi dotati di una propria soggettività virtuale.

La dimensione dell'enunciazione svela un'efficacia di tipo diverso: un'efficacia riconosciuta da un determinato punto di vista. Si tratta di due soggettività differenti: quella rappresentata nella lingua e quella presupposta dalla lingua. Sono dunque in gioco due livelli, quello dell'enunciato e quello dell'enunciazione; e sono parimenti in gioco due attanti: un attante dell'enunciato,riconosciuto in quanto non-oggetto dall'attante-soggetto dell'enunciazione.

3.3. La relazione tra soggetti nel mondo dell'esperienza

Note de bas de page 35 :

 “Le passioni tra semiotica e filosofia”, ora in F. Marsciani, Minima semiotica, Udine-Milano, Mimesis, 2012, pp. 97-100.

In un saggio del 1981 Francesco Marsciani35 pone una domanda cruciale non solo da un punto di vista filosofico, ma anche per quel che riguarda la ricerca semiotica degli anni successivi: «a quale livello l'Altro smette di essere un soggetto?». Come abbiamo visto, la questione dell'animatezza fornisce alcune indicazioni per comprendere i diversi gradi di soggettività inscritti nel nostro linguaggio.

Note de bas de page 36 :

 Cfr.  “Extéroceptivité”, in A. J. Greimas & J. Courtés, op. cit.

Non sembra sufficiente considerare l'animatezza come un sema estracettivo, come una pura questione di figuratività, importata dal piano dell'espressione del mondo naturale a quello del contenuto della lingua attraverso una operazione di transcodifica36; la figuratività sembra scarsamente rilevante nel caso dell'animatezza di forze astratte, come la malattia; allo stesso modo, non è qualcosa di figurativo a distinguere l'acqua-animata (ap-) dall'acqua-inanimata (udan-). Un esternalista semantico come Putnam direbbe che si tratta sempre della stessa stramaledetta H2O. Tuttavia, anche Putnam dovrebbe ammettere che le due radici marcano una differenza nella nostra relazione col mondo e con i modi di classificare l'esperienza che ne abbiamo, e di selezionare in taluni casi come pertinente una caratteristica dell'acqua: il fatto che, in taluni casi, muova, trascini, mostri una forza propria che ci oppone una resistenza. Qualcosa che coinvolge senz'altro la dimensione dell'estesia e – in quanto termine complesso tra esterocettività e interocettività - della propriocezione. Si tratta del modo in cui ci relazioniamo all'Altro riconoscendone la soggettività, in una accezione che cercheremo di chiarire. Per questo ci rivolgiamo ad un modello che Eric Landowski ha sviluppato per comprendere le interazioni che si svolgono nella vita quotidiana, non convinto dall'esportazione acritica degli strumenti di analisi testuale al contesto dell'esperienza. Da questo confronto speriamo di comprendere in che misura la lingua rifletta l'esperienza di un soggetto calato nel mondo della vita.

3.4. Giunzione e unione

Allo scopo di inquadrare la relazione tra il soggetto dell'enunciazione ed il termine animato, ricorriamo aLandowski, secondo il quale la logica dell'unione è complementare a quella della giunzione tra soggetto ed oggetto descritta da Greimas:

(…) Je peux difficilement, moi sujet-corps à qui cet autre corps-sujet se montre (ou même, moi à qui il est en train de s'adresser), me borner à constater un tel état à distance, statiquement, à travers telle ou telle de ses manifestations extérieures. Que je le veuille ou non, je suis plutôt comme porté a le sentir ou à le ressentir, dynamiquement, de l'intérieur, non pas comme un phénomène dont je serais simplement le témoin objectif, désintéressé et au fond indifférent, mais plutôt comme une action ou au moins comme un mouvement auquel je m'avoue en quelque sorte déjà partie prenante, virtuellement ou potentiellement – y compris d'ailleurs si je m'apprête non pas à m'y livrer moi-même, mais au contraire à y résister. (Passions sans nom, op cit., p. 122).

La concezione di Landowski sembra calzante per alcune caratteristiche che si ritrovano anche nel linguaggio:

  1. La complementarità tra logica della giunzione (Soggetto - Oggetto) e logica dell'Unione (Soggetto – Soggetto) riflette la compresenza dei ruoli semantici attivo-inattivo ed animato-inanimato che riscontriamo spesso nel linguaggio;

  2. L'efficacia dell'Altro sul Soggetto è alla base del fatto che il Soggetto riconosce all'Altro il proprio medesimo statuto e non quello di Oggetto; ciò si rispecchia nella marca di animatezza conferita a dolori, malattie, agenti astratti, passioni, in modo diverso da lingua a lingua;

  3. Il legame tra efficacia e movimento coglie una caratteristica importante dell'animatezza: animato è ciò che muove, si muove, mi muove (e al quale io resisto o mi abbandono, esercitando una contro-efficacia):

Vi è tuttavia una differenza importante: Landowski descrive il legame tra Soggetto ed Altro nella vita sociale, non nel linguaggio. I soggetti del quotidiano vengono colti nella loro interazione dinamica, un processo costitutivo che può essere descritto come un aggiustamento reciproco. Nel linguaggio noi assistiamo all'esito, al portato di tutto questo, come ad una sanzione scritta di qualcosa che è già accaduto. Di conseguenza, occorre tenere distinte le due distinte nozioni di soggetto che si hanno in linguistica e nella logica dell'unione. Quella che Landowski ha in mente è una semiotica della materia, e i soggetti e gli oggetti di quest'ultima non sono immediatamente terminali di una funzione formale:

Sous le régime de coprésence dont nous nous proposons de dégager les principes, les «objets» ne seront plus en effet réductibles à de simples grandeurs interchangeables dont la valeur s'apprécie sur la seule base de critères d'ordre fonctionnel fixés en référence aux programmes d'action prédéfinis des sujets, Les mêmes objets y seront au contraire appréhendés en tant que réalités matérielles capables de faire immédiatement sens à raison des qualités sensibles que sauront y découvrir les sujets + mais des sujets eux aussi redéfinis du point de vue de leur statut et de leur compétences, car désormais dotés de quelque chose d'essentiel qui leur manquait sous le régime précédent: tout bonnement d'un corps, et du même coup d'organes sensoriels. (Passions sans nom, op. cit., p. 62).

Il soggetto della lingua sembrerebbe allora la controparte formale in grado di tradurre la materialità del soggetto sociale a valle della sua costituzione dinamica.

4. Problemi

Sembra dunque di poter reperire nel linguaggio gli esiti della complementarità tra la logica della giunzione di Greimas, che descrive la relazione tra il soggetto dell'azione e un oggetto inattivo, e la logica dell'unione di Landowski, che descrive le relazioni tra due attanti entrambi virtualmente attivi. Il soggetto dell'enunciazione seleziona – ove il sistema glielo permette – una marca di animatezza a seconda del rapporto che instaura con l'Altro, visto nel primo caso come un oggetto, nel secondo come un non-oggetto dotato di un'efficacia in termini di movimento. Discutiamo ora due possibili obiezioni che possono legittimamente essere suscitate contro questa interpretazione semiotica dell'animatezza.

4.1 Un universale?

Note de bas de page 37 :

 Devo la seguente obiezioni a Manar Hammad.

Note de bas de page 38 :

 B. Comrie, op. cit.

Una possibile precauzione sulla categoria di animatezza, così come si trova espressa nelle lingue, riguarda il suo grado di generalizzabilità semiologica37. Anche se autori come Comrie38 sono persuasi dell'universalità della nozione semantica di animatezza, è pur vero che essa si esprime solo in talune lingue ad un livello morfosintattico; inoltre, ciascuna lingua la implementa a modo proprio. La pertinenza dell'animatezza non è universale sul piano della manifestazione linguistica; come abbiamo visto essa si colloca ad un livello immanente e metalinguistico.

Note de bas de page 39 :

 Per un approfondimentosi veda Milner, op. cit.

Per meglio comprendere questo passaggio, occorre fare appello ad una caratteristica epistemologica di rilievo propria della linguistica e dello strutturalismo: proprio la non-universalità di un fenomeno sembra essere la condizione necessaria perché si possa descrivere una legge strutturale. Le regole del linguaggio umano somigliano superficialmente a quelle della fisica, ma non vi è niente di  “necessario” nella struttura linguistica, anzi: ritrovare una qualche struttura in un fenomeno equivale a spiegarlo solo se essa è contingente, culturale, e se le cose avrebbero potuto stare altrimenti. Ecco il potere esplicativo, in linguistica, della legge di Grassmann o di Verner: scoprirne la costanza nella famiglia indoeuropea è interessante solo nella misura in cui non riflettono caratteristiche universali, obbligatorie in qualunque lingua39.

Si tratta di una caratteristica comune allo strutturalismo, anche a quello non linguistico: ad esempio, la tripartizione di Dumézil di cui abbiamo parlato ci dice qualcosa delle società indoeuropee solo se non si ritrova in qualunque società; così l'animatezza è una struttura particolare della semiosi proprio perché non si lascia ridurre alla logica strumentale. A ben vedere, si confrontano qui due nozioni possibili di struttura: (1) come massimo comun denominatore di ogni fenomeno semiosico e (2) come il minimo comune multiplo dei fenomeni di senso. Nella prima accezione, descriviamo solo quanto i fenomeni semiosici hanno strettamente in comune, depennando la variabilità; nel secondo caso, proprio la variabilità è una funzione generata dalla struttura. La nozione (1) a mio parere è indifendibile su un piano scientifico: dubito infatti che si possa realmente pervenire ad universali culturali e di senso.

4.2. Quale soggetto?

Note de bas de page 40 :

 A.J. Greimas &  J. Fontanille, op. cit. p. 8.

Note de bas de page 41 :

 A.J. Greimas &  J. Fontanille, op. cit. p. 17.

Una seconda obiezione potrebbe riguardare la nozione semiotica di soggetto. Il linguista ha sicuramente notato uno spostamento progressivo del nostro ragionamento. Di presupposizione in presupposizione, a partire da una nozione di soggetto interna al testo siamo giunti ad una nozione di soggetto presupposto dal testo, quella di soggetto dell'enunciazione; siamo andati anche oltre, verso il soggetto dell'esperienza, gettato nel mondo della vita (Lebenswelt); infine ci si può chiedere se proprio il rapporto del soggetto con il mondo non ne presupponga la trascendenza: «(...) un soggetto operatore, capace di produrre le prime articolazioni della significazione40» : un soggetto legato al mondo non da un fare, ma da un sentire: «Prima di “porre” un soggetto tensivo di fronte a valori investiti in oggetti (o il mondo come valore), conviene immaginare uno strato di “presentimento” in cui si troverebbero, intimamente legati l'uno all'altro, il soggetto per il mondo e il mondo per il soggetto41».

Questa concezione, che per i due autori costituisce la precondizione della significazione, non sembra però giustificata dalla nostra analisi dell'animatezza. Sono ben rari i casi in cui il sistema linguistico lascia una scelta al soggetto dell'enunciazione; questi fenomeni rappresentano un'eccezione, e pertanto non è possibile in linea di principio disgiungere il soggetto dell'enunciazione dalla lingua che parla attraverso di lui.

Note de bas de page 42 :

 F. Marsciani,  Ricerche semiotiche I, op. cit.

In secondo luogo, porre un soggetto pre-semiotico svincolato dalla lingua e dal mondo non ci permette di rispondere alla domanda che ci siamo posti a partire dall'animatezza: quando l'Altro smette di essere un Oggetto e diviene un Soggetto? Come scrive Marsciani, si tratta di un problema in cui si era imbattuto lo stesso Husserl: la progressiva riduzione fenomenologica su un terreno trascendentale verso l'auto-intuizione di una coscienza egologica sembrerebbe fallire nel rendere conto della dimensione intersoggettiva dell'esperienza per slittare verso il solipsismo42. Per rendere conto dell'Altro, Husserl cambia strategia, balzando per così dire da Cartesio a Leibniz: il mondo consisterebbe allora nelle condizioni di compossibilità degli sguardi di una serie di soggetti monadici. Contemporaneamente questi soggetti non sembrerebbero presupporre una soggettività universale, bensì la dimensione dell'intersoggettività stessa, che in quanto tale non avrebbe più nulla di umano. Una conclusione dal sapore paradossale, per una fenomenologia che muove proprio dal corpo, dal sensibile, dall'esperienza; un esito alieno alla concezione umana della soggettività, che conosce, prova sentimenti, è dotata di volontà e di una coscienza che parrebbe costituire il senso. Questa soluzione, inoltre, non rende conto delle nozioni di efficacia, di movimento, di animatezza.

Note de bas de page 43 :

 V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia, Torino, Einaudi, 2002.

Non è chiaro come uscire dall'impasse. Secondo Costa, Franzini e Spinicci43, la dimensione estetica non presuppone un soggetto puro, quanto piuttosto un corpo in grado di entrare in relazione empatica con l'altro: il soggetto isolato dell'epoché appare agli autori come “utile astrazione metodologica”. Piuttosto, una semiotica che voglia porsi il problema dell'intersoggettività, dell'esperienza, del sensibile, del corpo, non è interessata ad un qualche Soggetto originario svincolato dal sistema semiotico, bensì già da sempre gettato in esso; d'altra parte, si muoverà verso una etnografia semiotica (con Marsciani) ed una indagine delle condizioni socio-semiotiche (con Landowski) dell'interazione tra i soggetti entro il mondo della vita, il mondo semiotico, ad un tempo formale e materiale, dove le nostre relazioni ci co-costituiscono continuamente come altrettanti attanti e che fa da teatro alla nostra esperienza quotidiana.