Morfologie materiche ed estetica dell’evanescenza. Il giardino del letterato cinese

Patrizia Magli 

https://doi.org/10.25965/visible.296

Sommaire
Texte intégral
Note de bas de page 1 :

Cfr. Hammad, 2003, p. 49.

Note de bas de page 2 :

Jullien, (2003) ; tr. it. 2004, p. 175.

La scelta di analizzare un giardino della Cina classica segnala una strategia di messa a distanza : quanto più un oggetto è inconsueto, tanto più appare con maggiore rilievo1. Tuttavia può capitare che, per questa sua lontananza, l’oggetto si presenti talmente privo dei punti di riferimento a cui l’analista è solito ricorrere, da porgli seri problemi sulle sue condizioni di descrivibilità. Ma proprio a causa di ciò, un oggetto distante può configurarsi come un’affascinante sfida teorica in grado di mettere alla prova non solo abituali categorie descrittive, ma perfino alcune nozioni concettuali date per indiscusse. Passare attraverso la Cina, dice infatti François Jullien2, è un altro modo di ripensare noi stessi, la nostra cultura.

Note de bas de page 3 :

Secondo Corbin (1983), il territorio è un palinsesto, scritto e ridisegnato in permanenza. Chi viene prima, si chiede Cauquelin (2000, p. 83) i paesaggisti o i creatori di paesaggio ? Esiste un continuo passaggio da un’arte all’altra e le risposte sono circolari : « Car si le peintre produit un modèle – par exemple les paysages modèles du Lorrain et de Poussin pour la gentry anglaise – le jardinier-démiurge produit à son tour une réalité qui sera modèle pour le peintre-paysagiste ».

Note de bas de page 4 :

Ne è un esempio il parco di Ermenonville. La Nouvelle Heloise di J.-J. Rousseau accompagna, duplicandone l’effetto, la stessa realizzazione. È, ad un tempo, un manuale di pittura, una guida per il paesaggio-architettura, e una guida per la passeggiata. Ecco dunque un tressage particolarmente significativo. Chi è stato il primo ? Rousseau scrivendo la Nouvelle Heloise ? Girardin leggendo il testo e formandosi l’idea di un paesaggio « morale » ? La pittura alla quale si riferisce ? Nerval non dice forse che il lago è stato ispirato al viaggio a Citera di Watteau ? Cfr. prefazione di M. Conan a De la composition des Paysages di E. L. de Girardin, Editions du Champ Urbain, 1979.

Note de bas de page 5 :

Cfr. Caquelin, 2000, p. 17.

I cinesi costruivano i loro giardini come una Weltlandschaft, come un « paesaggio del mondo » : distese pianeggianti, montagne rocciose, acque, architetture, tutto in uno spazio limitato. In questa rappresentazione totalizzante della natura, in Oriente come in Occidente, esiste una stretta relazione tra paesaggio, arte dei giardini ed esperienza percettiva3. Là come qua, l’arte fornisce un ordine alla percezione del mondo4. La natura, con i suoi limiti chiusure, tagli, inquadrature, punti di vista, combinazioni tra gli elementi, dice Anne Cauquelin appare « sous la forme d’un tableau »5 In altre parole, la rappresentazione della natura è una configurazione discorsiva soggetta a precise regole retoriche. Un esempio è l’invenzione della prospettiva occidentale che, fissando l’ordine della rappresentazione, ha contribuito alla nascita stessa del « paesaggio ». Più che il dispositivo geometrico imposto allo spazio, la prospettiva soddisfa le condizioni che impone un certo tipo di strategia persuasiva : il vedere secondo un determinato regime di visibilità.

Note de bas de page 6 :

Cfr. Weiss, 1992.

A questo regime appartiene l’arte dei giardini. Esemplare è il caso di Versailles in quanto passaggio dall’ordine oscuro della natura, come la foresta intricata da cui ha origine, ad un ordine trasparente, ai grandi spazi geometricamente organizzati dei parchi e dei canali. Metafisica delle grandi prospettive, Versailles è miroir de l’infini,6 ma di un infinito così come lo ha sognato il pensiero occidentale.

Ebbene, la Cina è rimasta logicamente distante da questa forma di sensibilità dal momento che non ha conosciuto la codificazione astratta dell’oggetto percettivo a partire dalle leggi prospettiche. La pittura cinese non si è costruita su « tavola », secondo diagonali convergenti in un unico punto di fuga, ma ha privilegiato la forma a rotolo che svolge il paesaggio secondo un processo graduale in continua transizione. L’osservatore è costretto a camminare e a sostare davanti al supporto orizzontale della pittura, e questo si dispiega a seconda del suo procedere. La costruzione del paesaggio entra così in un sistema di variazioni che accompagnano, passo dopo passo, la dimensione senso-motoria dell’osservatore. Ma la differenza nelle strutture della figurazione tra arte orientale e occidentale non è data solo dalle forme del supporto. A cambiare sono soprattutto le regole retoriche soggiacenti alla rappresentazione.

Note de bas de page 7 :

Cfr. Cauquelin (2000. p. 117).

Se questo è vero per il genere « paesaggio », così come lo è per la sintassi dello sguardo che « fa paesaggio » di una qualunque porzione del mondo naturale, a maggior ragione è vero per il giardino. Una delle verità essenziali del giardino, dice Anne Cauquelin, è che questo esiste per e a causa di qualcuno. Qualcuno l’ha intenzionalmente voluto, pensato, concepito, realizzato. Con il giardino, dalla dismisura, dal non conosciuto, dal senza nome che è la natura, si passa al misurato, alla norma, al nome, al denominato che è la cultura7.

A sua volta il giardino è un sistema di istruzioni semiotiche nei confronti del visitatore. Non solo grazie all’impiego di vari dispositivi deittici, come l’indicazione dei percorsi e le designazioni di fiori, viali, padiglioni e così via, ma soprattutto, essendo uno spazio strutturato, costringe ad azioni controllate, regolate, misurate. Se nel « far paesaggio », ad esempio, il punto di vista è scelto dall’osservatore, nel giardino le « vedute » sono installate nello spazio in base ad una strategia della visione intenzionalmente voluta e programmata dal suo artefice.

C’è dunque una sorta d’azione e reazione quasi diretta tra uno spazio così organizzato e i nostri comportamenti ; tra uno spazio così progettato e la coscienza stessa che abbiamo del nostro corpo e delle sue possibilità di agire. Lo spazio programmato, a sua volta, programma : comanda, attira, interdice. Distoglie il visitatore da una visione troppo contemplativa e lo invita a percorrere i suoi sentieri, vialetti attraverso un complesso sistema di accelerazioni, rallentamenti, attese, soste. Promotore di movimenti e di percorsi, questo spazio chiama ad un viaggio non solo concepito in base a indugi, arresti o punti di osservazione, ma anche a precisi scopi : ludici, contemplativi, ginnici, romantici o tutti questi insieme. Il giardino è dunque un vero e proprio progetto : ha un piano, una mappa, intenzioni, finalità.

La prima impressione che avverte il visitatore occidentale in un giardino della Cina classica, è come questo sia il risultato di una retorica più profonda di quella occidentale. Si tratta di una retorica polisensoriale. Nello stesso tempo, il visitatore accorto avverte che questa dimensione estesica non è fine a se stessa. Gli viene il sospetto che faccia parte di una più ampia strategia del senso di cui gli sfuggono sia le modalità che le finalità.

Note de bas de page 8 :

Cfr. Jullien, 1995 ; tr. it. , p. 7.

I cinesi, nella poesia come in politica, privilegiano infatti la formulazione involuta, l’espressione allusiva. Al confronto diretto, preferiscono l’implicito, il non detto, la sottigliezza di un approccio obliquo. Noi crediamo « naturale » accostare il mondo di fronte. Lo ordiniamo scegliendo un punto di vista privilegiato a partire dal quale lo organizziamo secondo una rete geometrica di coordinate. Ma, per dirla con Jullien8, che vantaggio potremmo trarne accostandolo invece di traverso ? In che modo una deviazione può condurre, più efficacemente, all’accesso ?

La domanda si complica soprattutto quando una strategia del senso che si avvale dell’implicito e dell’allusione informa strutture solidamente materiche come quelle di un giardino. È possibile segnalare un’estetica dell’evanescenza attraverso la corporea tridimensionalità di muri, padiglioni, ponti e gallerie in muratura ? Il giardino cinese infatti, ben lungi dall’essere aperto al lavoro spontaneo della natura, (come lo è, almeno in apparenza, il giardino romantico in Occidente), presenta una superficie estremamente articolata anche sul piano architettonico. In questo caso, ci potremmo chiedere di che natura sia l’ « accesso » a cui porta il non detto inscritto nei percorsi di uno spazio architettonicamente costruito.

Démarche scientifica e promenade estetica.

Note de bas de page 9 :

Cfr. Caroline Gyss, Che Bing Chiu (2004, p. 142).

Note de bas de page 10 :

Sentenza calligrafica di Li Shan (1686-1726).

In Cina, l’arte dei giardini ha perdurato attraverso i secoli, incontrando il suo massimo sviluppo tra l’epoca dei Ming (1368-1644) e dei Quing (1644-1911). Si chiamano giardini dei letterati, i giardini della Cina classica situati nella regione di Yangzhou e di Suzhou. Appartenevano ad alti funzionari dello stato che, ritirati a vita privata, si dedicavano all’estetica del paesaggio. Costoro si distinguevano, in particolar modo, nella pratica della calligrafia e della poesia. Nelle raccolte poetiche di numerosi grandi letterati quali Ouyang Xi (1007-1072), Su Shi (1031-1101), Huang Tingjian (1045-1105), i poemi che riguardano i giardini hanno grande rilevanza9. Il proprietario e artefice del giardino Jangnan a Suzhou, Qin Yao (1544-1604), fu così orgoglioso delle venti « scene » del suo giardino che compose un poema pentasillabico per ciascuna di esse. Nato dalla parola, il giardino tornava alla parola : era costruito per la sua descrizione, per la sua rappresentazione verbale. Sulle porte, addossate o inscritte agli stipiti delle entrate dei padiglioni, si trovavano frasi del tipo : « Poesia e calligrafia, ecco una dimora d’eccellenza ; nel giardino e nei boschi, nessun sentimento volgare »10.

Note de bas de page 11 :

Ritirarsi dalle preoccupazioni della vita pubblica per l’alto funzionario per lavorare alla propria perfezione in linea con gli ideali del confucianesimo, necessitava di alcune condizioni. Come dice Wuang Qiheng e Fu Jing (2004, p. 47) : « Cela a nécessité la recherche d’un intermédiaire permettant l’accession à l’idéal de la vie confucéenne et a façonné un lien indissoluble avec l’esthétique du paysage, devenue cet intermédiaire. C’est dans le cadre de cet intérêt exigeant porté à l’environnement de la retraite que c’est développé le jardin de lettré ».

Il giardino, sintesi e vettore privilegiato nell’incontro tra le arti, incarnava dunque la dimensione etica ed estetica del letterato. Ma chi erano i letterati ? La parola wen, primo carattere dell’espressione wenren che li designava, ha innanzitutto il significato di « vena, nervatura », intimamente legata alla genesi della scrittura. L’ideale, in calligrafia, era che i caratteri alludessero alle venature del legno o della pietra, oppure alle tracce di pioggia sui muri. Questa lieve modalità di emergenza del visivo, questo impalpabile « venir alla luce » delle forme è già tutta nella pratica pittorica : l’etimologia di ‘dipingere’ (hua) significa infatti « tracciare, disegnare »11.

I giardini che qui prenderemo in analisi, tra quelli visionati a Suzhou, sono il giardino del Maestro della Rete e il già menzionato giardino Jangnan del letterato Qin Yao, entrambi della fine del XVI secolo.

Note de bas de page 12 :

Cfr. l’opposizione tra esistenza ed esperienza di cui parla Jacques Fontanille (2003, tr. it. , p. 79).

Di questi giardini evidenzieremo due livelli descrittivi12.

  1. Innanzitutto si tratta di spazi costruiti, dotati di chiusura, limiti, bordi, distanze. Vedremo come la forma globale del giardino sia dotata di uno o più centri di referenza e come, all’interno di questo spazio, si configuri l’interazione tra energie (tra cui quelle luminose) e le materie-substrato. Essendo soprattutto il giardino un luogo di accoglienza, analizzeremo la rete di percorsi, di localizzazioni dei punti di vista, di padiglioni, di osservatori. A questo livello descrittivo, l’accento è posto dunque sulla morfologia del giardino, sulla sua composizione e sugli elementi che in esso funzionano come « istruzioni semiotiche » per l’osservatore.

  2. L’esperienza che facciamo del giardino tuttavia non si limita alla ricostruzione di una composizione spaziale, a quello che potremmo definire come una sorta di « modellino inerte ». L’esistenza alla quale accediamo è un continuo divenire. In tale prospettiva tutti i tratti plastici e ciascuna figura identificabile che essi compongono (le montagne, la distesa infinita delle acque, la via, ecc.) devono essere considerate come « scene » colte lungo un movimento. A questo livello dovremmo analizzare come i valori si attualizzano nell’incontro dei corpi dei visitatori, ovvero, nella compresenza del loro corpo sensibile e di una porzione del mondo naturale. Qui l’attenzione si concentra sull’osservatore, sul suo punto di vista, sulla sua esperienza fenomenologica.

Da un lato, è dunque necessario affrontare la composizione del giardino, vale a dire l’articolazione morfologica delle sue parti indipendentemente dall’osservatore ; dall’altra invece è necessario individuarne una « seconda » morfologia, una morfologia più profonda e segreta che deriva dall’esperienza che di questa fa un soggetto istallato all’interno del testo. Lo spazio acquisisce senso solo nel momento in cui contemplazione e movimento dell’osservatore partecipano alla sua costituzione ; quando la diversità sensibile delle materie e delle superfici che lo costituiscono è convertita nelle figure sensibili dello spazio vissuto : le testure e gli effetti visivi – l’opaco e il brillante, il liscio e il ruvido, il modellato e lo strutturato, lo striato e l’ondulato, sono proprietà plastiche che manifestano conversioni sensoriali solo grazie ai movimenti del corpo sensibile del visitatore. Queste conversioni permettono il riconoscimento di zone figurative come la tormentata verticalità delle montagne invece di semplici barriere di rocce, il cupo mistero di una foresta invece di un semplice bouquet di bambù, il sereno dilatarsi di una valle invece di un ridente fazzoletto di prato, il cammino che s’inoltra in anfratti oscuri invece di un angusto sentiero tortuoso. E così, la differenza tra un semplice stagno e l’immensa distesa delle acque spesso non è altro che il risultato di un elementare contrasto tra il brillante e il trasparente della superficie orizzontale dell’acqua in contrasto con la verticalità opaca di pietre ed edifici e il punto di vista dell’osservatore. Il « rugoso », l’«  irregolare », il « regolare », il « liscio », l’« appiattito » formano altrettanti contrasti o sequenze figurative determinando associazioni iconico-figurative che i letterati denominavano « scene ».

Note de bas de page 13 :

Cfr. Fontanille (ibid., p. 83).

La relazione tra questi significanti plastici e i « movimenti » dei visitatori produce il senso. In base a queste sue proprietà dinamiche, il giardino cinese si configura come una costruzione polisensoriale in cui la sensomotricità del visitatore funge da connettore tra tutte le informazioni sensoriali. Che si tratti di contemplazione, di una passeggiata o, più in generale, di un’attività da parte del visitatore, il giardino, per dirla con Fontanille, si configura come un campo di esperienza : il percorso determina una modalizzazione del soggetto della percezione13.

La pittura di montagne e di acque e l’arte dei giardini

Dove lo spazio è sottoposto ad un’ininterrotta metamorfosi è soprattutto il giardino del Maestro della Rete. Qui si assiste a continui cambiamenti di scene, prodotti dal gioco delle proporzioni, delle altimetrie, di spazi aperti e chiusi, di profondità e di distanze a seconda del procedere della visita.

Note de bas de page 14 :

I giardini iniziano con l’eremitismo. Nel Songshu, al capitolo « Yinyi liezhuan », (« Biografia degli eremiti ») si racconta che all’inizio dell’era Liusong (420-479) i letterati di Suzhou avevano raccolto dei fondi per mettere insieme delle pietre e canalizzare delle acque, piantare alberi e tracciare torrenti con lo scopo di costruire un giardino per l’eremita Dai Yong dove, « in poco tempo, piante e alberi sono prosperati, simili alla natura » (cfr. Wuang Qiheng e Fu Jing (2004, p. 57). In questo modo, concludono Wuang Qiheng e Fu Jing (ibidem) : « Le jardin n’était pas seulement l’environnement du reclus, mais était devenu une manière de recruter des reclus ».

Interamente circondato da un muro che ne faceva un luogo segreto che proteggeva la solitudine e meditazione del letterato, questo giardino si configura come uno spazio chiuso all’esterno per aprire all’interiorità14. Il primo muro ha funzione di schermo visivo, quello centrale separa, e l’ultimo, invece, segnala la lontananza. Tra la prima porta e il piano d’acqua, si incontra un padiglione (« padiglione dei Profumi Lontani ») che propone un primo punto di vista. Infatti non si ha mai una vista d’insieme perché subito all’ingresso del giardino una montagna artificiale di rocce giallastre sbarra la vista complessiva. Dietro la montagna s’incontra un piccolo stagno sinuoso. Bisogna contornare la montagna e camminare lungo lo stagno per giungere al padiglione dei Profumi Lontani ed avere improvvisamente la vista libera di spaziare sulla distesa aperta dell’acqua. Continuando si giunge alla « vista separata » (gejing) che corrisponde alle scene del centro con l’Isola dei Profumi e il padiglione per Riposare nello Stato Originale che sono entrambi le costruzioni più importanti del giardino. Queste zone sono separate e collegate tra loro, ad un tempo, dall’acqua, da isolotti, da alberi, ma anche da un sistema di gallerie in muratura. Qin Yao aveva attribuito a ciascun percorso, sentiero o ponte un nome, come, ad esempio, Qixingqiao (« ponte delle Sette Stelle ») o Baynjian (« torrente delle Otto Sonorità »). Le montagne artificiali, come gli ammassi di piante e i boschi di bambù, formano discontinuità. Si tratta, tuttavia, di discontinuità senza fratture in quanto ogni elemento risponde all’altro.

Le montagne artificiali sono edificate con pietre dal « tratto » frammentario, spezzato, discontinuo, dalle striature oblique su fianchi scoscesi che segnalano movimenti di faglie, erosioni brutali, insieme ad altre dal tratto arrotondato come se fossero levigate dalla carezza dei venti o dal lento sciabordare di acque calme. Queste ultime, a differenza delle altre, sono caratterizzate da tratti sinuosi come pieghe, rughe quasi organiche. Accanto allo stagno, le pietre sono disposte in strati orizzontali e si erigono sull’acqua come se fossero imponenti e tormentate scogliere dando l’impressione di vere e proprie montagne prive di base e viste da lontano. Oltre gli schermi costituiti dalle montagne artificiali, lo spazio del giardino è frammentato da muri che sbarrano la vista, pur essendo, nello stesso tempo, traforati da porte e da finestre a loro volta sbarrate e traforate.

Note de bas de page 15 :

Fontanille (2003, p. 77) L’ipotesi di lavoro concerne le diverse modalità di concatenazione dei modi sensoriali che sono in azione in questo spazio. Il tattile, l’udibile, l’olfattivo, il visivo producono combinazioni polisensoriali, comprese quelle connesse ai movimenti e alle mozioni intime. Il giardino si configura dunque come un’unità polisensoriale e, in quanto tale, possiamo trattarlo come un corpo-attante. Un « corpo-attante » per Fontanille è una configurazione composta da una struttura materiale dinamica e da un involucro. Sotto la pressione di forze esterne, ma anche interne, tale involucro è suscettibile di ricoprire diversi ruoli, fra cui quello di contenente, di filtro o di superficie d’iscrizione. L’involucro del giardino « contiene » materie e forme, « filtra », trattiene alcune presenze, ne lascia passare altre, è marcato da configurazioni interpretabili. I valori figurativi sono prodotti non dalla morfologia delle rocce o dai giochi di luce dell’acqua in movimento o perfettamente immobile, ma dalla loro interazione. Come fa rilevare Fontanille (ib., p. 78-9), Tanizaki dimostra che il paesaggio quotidiano orientale è dal lato dell’opaco, dell’assorbente, e delle luci impregnate ed estenuate dalle materie che attraversano; per contro, il paesaggio occidentale è dal lato del brillante, del liscio, del riflesso e delle luci vivide, non-mediate e scintillanti. Poco importa vagliare qui la pertinenza di questa distinzione culturale : è il suo principio a interessarci. Il valore attribuito da ciascuna cultura ai fenomeni luminosi dipende direttamente, secondo Tanizaki, dal rapporto che intrattengono le luci e le materie-substrato. Un tale principio può in seguito declinarsi:
1.in « valori orientali », per via di rapporti di impregnazione intima, reciproca e rallentata (l’
opaco, l’assorbente, l’attenuato e il rallentato);
2.in « valori occidentali », per via di rapporti di contrasto superficiale,
non-mediato e accelerato (il brillante, il puro, il liscio, il fulgido e il vivido).
Le interazioni luci-materie reggono e determinano il processo di costituzione semiotica del giardino. Il riflesso, per esempio, si pone per un osservatore come il significante luminoso di un significato passionale che verte anch’esso su una proprietà materiale, vale a dire
l’attrazione e il godimento del brillante e del levigato. A sua volta questo significato passionale dipende dall’intersezione con altre sensazioni (soprattutto tattili e sensomotorie). L’opacità, dal suo canto, è il significante luminoso di un significato di profondità inquietante e di mistero. I valori e le icone figurative del paesaggio, dice Fontanille, sono determinati in Tanizaki da regimi temporali: l’accelerazione e il rallentamento, l’istante e la memoria, ecc.

Note de bas de page 16 :

Si tratta della forza propulsiva dell’imperfezione che, contro ogni presunta estetica della vaghezza, deve essere ricondotta, secondo una prospettiva semiotica, a fenomeni di intelligibilità e di descrivibilità.

Sul piano orizzontale questo spazio è solcato da corsi d’acqua che si svolgono e avvolgono in meandri tortuosi. Questo tracciato sinuoso e contorto corrisponde allo stile dei Poemi di Xiaocangshan, corrisponde alla ricerca del vuoto, alla strategia dell’implicito. Ma come evocare, attraverso la consistenza materica di uno spazio costruito, forme allusive ?15 Come costruire con piante, sassi e una vera architettura in muratura, delle formulazioni evasive in grado di segnalare un’estetica dell’evanescenza ?16

Note de bas de page 17 :

La pittura cinese si è molto evoluta nel corso della sua storia. Nata come pittura di affreschi per templi e palazzi a scopo monumentale-ornamentale, è divenuta pittura di paesaggio su supporti costituiti da limitate superfici di seta o di carta. La pittura dei letterati conosce uno sviluppo affascinante a partire dal X secolo, durante le dinastie Song e Yuan.

Note de bas de page 18 :

Anche in cinese moderno, paesaggio si dice shan-shui-hua. Le figure del mondo naturale sono colte non come oggetti statici, ma secondo la loro dimensione processuale, in formazione-variazione: e così la montagna o « si eleva imponente », o « si impone arrogante », oppure « si apre generosa » o « si acquatta », « si estende », o è « massiccia », « vigorosa »; le forme dell’acqua che può essere « profonda e serena », o « placida e liscia », o « vasta come l’oceano », « turbinante », « oleosa e lucida », « zampillante », « a schizzi », ecc.; oppure le forme del vento che può essere « rapido », « violento », « limpido », « debolissimo », o delle nuvole « leggere » o « gravi », « fluttuanti », o « dense », e così via.

La risposta arriva dalla pittura. Del resto, tutti i grandi pittori letterati hanno realizzato giardini e i migliori maestri di giardini erano anche pittori17. Abbiamo detto, pittura di paesaggio. Tuttavia, in cinese, non esiste un termine per designare « paesaggio ». Questa pittura si dice di « montagna(e)-acqua (e) » (shan-shui), o « montagna (e) – fiume(i) »18.

Note de bas de page 19 :

Jullien, op. cit., p. 165-6. L’espressione del Laozi che Jullien ha scelto di mettere in esergo alla sua riflessione sulla pittura cinese, « la grande immagine non ha forma », sta a significare che « se vi è forma » vi è separazione. Se vi è separazione, o è l’uno o è l’altro (« se non è tiepido è fresco, se non è caldo è freddo »). Se l’immagine prende una determinata forma, « non è più la grande immagine », ma resta irrigidita nella sua opposizione e assume valore solo per differenza.

« I cinesi –- hanno scelto di pensare il paesaggio secondo un’interazione di poli, quelli dell’alto e del basso, del verticale e dell’orizzontale, del compatto e del fluido, dell’opaco e del trasparente, dell’immobile e del mobile »19. Il paesaggio è sempre colto come una forma in tensione che si dispiega per polarità : il pittore cinese non dipinge oggetti visivi, non dipinge un’unità concreta (naturali-materiali), ma forze e vettori di vitalità.

È facile infatti raffigurare la montagna sotto la pioggia o con il sereno, avverte laconico un critico cinese dell’epoca Song. È facile rappresentarla perché si presta a tratti decisi e tipizzati. Ben altra cosa è cogliere il momento in cui dal sereno una montagna tende alla pioggia o dalla pioggia tende al ritorno del sereno. Difficile è raffigurare il momento in cui tutto il paesaggio si perde nella confusione : emergendo-immergendosi, tra il c’è e il non c’è. Il pittore cinese, dice Jullien (2003 ; tr. it., p. 27), invece di raffigurare degli stati distinti, in opposizione reciproca, dipinge delle modificazioni, coglie il mondo al di là dei suoi tratti distintivi. Lo coglie nella sua transizione.

In che modo coglie questo aspetto evasivo dell’apparire o del dissolversi delle cose ? Lo coglie con leggeri tratti di pennello, tracciando forme che lentamente si sfaldano nei vapori e abbandonano i loro contorni, le loro individuazioni temporanee per raggiungere il fondo indifferenziato delle cose. Nel momento in cui la presenza si diluisce ed è attraversata dall’assenza. Di qui la funzione delle nebbie, delle nuvole, dei vapori che lasciano intravedere o che nascondono. In questa alternanza respiratoria, invece di immobilizzare l’oggetto, il pittore lo fa esistere all’interno di un esserci e non, attraverso un va e vieni di pieno e di vuoto.

Lontananze allusive e strategie visive dell’implicito

Note de bas de page 20 :

Cfr. Costa, 1999, pp. 89-103.

Note de bas de page 21 :

Jullien, ibidem., p. 134

L’estetica dell’evanescenza inscritta nello spazio del giardino cinese riguarda soprattutto la sintassi soggiacente alla sua morfologia. Vive negli interstizi, nei raccordi tra un luogo e l’altro che, come dice Antonio Costa20, ricorda la tecnica della dissolvenza cinematografica. Estranea ad una segmentazione topologica secondo le regole della geometria occidentale, la composizione, per i cinesi, riposa infatti sui nessi, sulle connessioni che collegano e separano, ad un tempo, i diversi elementi dello spazio. Rilevante, in questo senso, fa notare Jullien21, è il ruolo che svolge, nella lingua e nel pensiero cinese, la semplice preposizione « fra ». È la funzione che assolve la Porta della notte che lascia filtrare i raggi della luna. Le incisioni e le fessure sono un vuoto che, lasciando passare un po’ di luce, mantiene la possibilità del movimento all’interno delle articolazioni che strutturano gli esseri e le cose. « Questo vuoto interstiziale – dice Jullien (ibidem) - è immanente alla cosa stessa : la inizia alla sua assenza (…). In questo modo essa respira, si libera, si lascia attraversare ». È attraverso questa logica « fra » vuoto e pieno, « fra » il c’è e il non c’è, che l’artista cinese coglie un mondo in trasformazione. Lo coglie attraverso la fluidità degli spazi e l’interpenetrazione tra interno ed esterno.

Le « scene » che articolano lo spazio del giardino sono infatti il risultato dell’agire sulla dimensione concreta del pieno e su quella astratta, virtuale, del vuoto. Il vuoto lasciato dall’artista sul foglio di carta permette all’osservatore di completare l’opera partecipando in modo attivo all’atto creativo. Analogamente, il vuoto nella poesia è quell’istante di sospensione tra la successione delle parole e delle rime ; sospensione che dà sonorità e ritmo ai versi che si ordinano e si rispondono. Le « scene » del giardino sono, infatti, in continua metamorfosi ; si succedono l’una l’altra così come si succedono le sensazioni e i pensieri da loro evocate nel visitatore, come « lo scorrere delle nuvole o l’avvicendarsi delle onde ».

Note de bas de page 22 :

Escande, 2004, p. 64.

Questo sistema di rappresentazione del mondo è messo in scena dalla scrittura che dà origine ad una « lingua grafica » che è divenuta l’arte più nobile presso i cinesi alla quale si ispirano pittura e arte dei giardini. La scrittura è un’arte che concerne non una semplice « calligrafia », bensì, come dice Yolaine Escande22 coglie il mondo attraverso la lettura delle relazioni spaziali tra le forme.

Note de bas de page 23 :

Cfr. Escande (ibidem, p. 70)

Note de bas de page 24 :

Cfr. ibidem, p. 71.

Colui che desidera eccellere nell’arte della calligrafia, dice Wang Xizhi23, deve innanzitutto concepire la forma e la grandezza dei caratteri, la loro posizione e animare di movimento ogni tratto alfine che tutti i colpi di pennello siano legati tra loro da un comune slancio, senza interruzioni, attraverso fluttuazioni successive di angoli e curve. In questo modo, la composizione pittorica dei paesaggi, così come la struttura spaziale dei giardini, si ordina secondo lo stesso principio di fluidità che presiede l’ordine dei caratteri della scrittura ; è concepita come una successione ininterrotta di pieni e di vuoti in cui ciascun formante plastico dipende da quello che lo precede e anticipa quello che lo segue. Del resto, lo stesso supporto della pittura si dispiega secondo un principio di linearizzazione fatto di distanze da percorrere lungo lo svolgersi orizzontale del rotolo24. Le sezioni (duan) che vi si succedono, costituite ciascuna intorno ad un centro, permettono all’osservatore di riposizionarsi, ogni volta, nel centro della nuova sezione. Il movimento è sempre latente, poiché ciascuna sezione è già inizio della seguente e continuazione della precedente.

Note de bas de page 25 :

Jullien, 2003, tr. it. p. 67.

Note de bas de page 26 :

Ma come si ottiene il « lontano », il senso di una distanza in uno spazio circoscritto? come condurre alle « lontananze » attraverso gli artifici dell’« implicito » e, viceversa, come segnalare l’implicito attraverso la lontananza all’interno dei limiti concreti di un giardino?

Le stesse regole che governano le relazioni spazio-temporali in pittura, articolano lo spazio dei giardini. Il percorso immaginario che deve compiere l’osservatore della pittura, lo compie il visitatore del giardino. A differenza delle leggi della prospettiva occidentale, dice Jullien25, i teorici cinesi hanno sottolineato una sottile tipologia delle lontananze. L’evasività e l’allusione, a livello visivo, si attualizzano innanzitutto tramite un dispositivo spaziale : attraverso le lontananze vaghe e le loro modalità di cancellazione e indeterminazione26.

Note de bas de page 27 :

Cfr. Jullien, ibidem, p. 35.

Note de bas de page 28 :

Escande, 2004, p. 74.

Si legge nell’arte dei giardini : « Senza il tortuoso, nessuna profondità ». Per i cinesi, perché il paesaggio aumenti di profondità è sufficiente che le montagne lontane non siano legate a quelle vicine. Basta far scomparire e riapparire più lontano i sentieri che serpeggiano tra i monti o il corso con molte curve dei fiumi. Se tentate di dare altezza alle montagne, si raccomandano i pittori letterati, non fatela apparire tutta intera.27 E, allo stesso modo, se volete che l’acqua si distenda in lontananza, non fatela apparire in tutto il suo percorso, ma con i suoi itinerari « sinuosi e discontinui » in cui si nasconde e riappare. Ancora è bene che il sentiero « esca e penetri », « emerga e sprofondi » ; solo così il paesaggio sarà interiormente « attraversato » dal senso della distanza. Uno dei mezzi tecnici per suscitare l’implicito è dunque quello di far ricorso alle sinuosità dei sentieri, dei camminamenti, dei ponti, come applicazione diretta del tortuoso (qu)28.

Note de bas de page 29 :

Congzhou, 1984, p. 5 raccomanda di non lasciar apparire che una parte di una montagna o di un albero, cosa che conduce l’osservatore a completare lui stesso la visione. Nel giardino, l’implicito e l’allusione sono dunque criteri essenziali per suscitare lo stato di attesa.

Note de bas de page 30 :

Ibidem, p. 101.

Note de bas de page 31 :

Questi tratti costituiscono il fascino stesso della conversazione, cfr. Compte de Caylus, 1910, p. 149 e sgg.

Il vuoto delle nubi e delle nebbie non è solo l’indistinto in cui si perdono le forme all’orizzonte, ma respira all’interno di esse : le apre, le arieggia, le libera, le rende evasive. L’effetto di vaghezza non si limita dunque alla lontananza, ma il suo svuotamento opera anche dentro l’intimità delle cose. Nel non finito. In pittura, l’allusività è intimamente legata alla regola dell’incompiuto : l’uso del non finito evoca l’infinito29. Per il Laozi, lo stadio dello schizzo è quello in cui la pienezza non si è ancora frantumata e definita nella parzialità del finito. Vasari, nella sua descrizione della « perfetta maniera di dipingere », scriveva un vibrante elogio di questi contorni « che ci lasciano in sospeso tra il visibile e l’invisibile »30. È a questi « tratti distratti » dell’artista, paragonabili ai sottintesi o alle « parole in sospeso »31, che si deve l’attivazione dei meccanismi di cooperazione interpretativa.

Il vuoto pittorico si intende come lo spazio bianco lasciato nel tracciato, il non detto che si collega direttamente alle pratiche sperimentate dall’arte della scrittura cinese – che si tratti del « pennello secco », imbevuto di poco inchiostro, o del pennello « consumato » i cui radi peli consentono di ottenere un bianco di tonalità media. Questo « bianco volante », creato dai tratti dinamici del pennello, servirà come metafora anche alla critica letteraria per evocare il « vuoto tra le parole » e la portata allusiva del senso poetico. Così nei paesaggi, la montagna costituisce l’elemento principale e determina in genere il pieno, mentre l’acqua determina il vuoto nello stesso modo in cui la presenza di uno stagno in mezzo ai complessi architettonici dà l’impressione che l’acqua si estenda all’infinito.

La pittura cinese privilegia non solo il semplice tratto di pennello, ma la monocromia, rifiutando i colori vivi. I colori vivi banditi dalla pittura, lo sono anche nei giardini dei letterati. Grandi spazi sono riservati ai muri bianchi sui quali si stagliano rocce e piante e vasi. Nei trattati tecnici, infatti, si enumerano ben sei « colori » (dell’inchiostro) : il « nero », il « bianco », il « secco », l’« umido », il « denso », il « fluido ». Queste tre coppie di opposti e di complementari si generano reciprocamente, determinando, con la loro alternanza tra polarità, caratteri più condensati, più opachi o più materici. Oppure, al contrario, più sbiaditi, più vaporosi, più immateriali e dunque più dinamici. Nella pittura cinese, la minore o maggiore densità del colore serve a evocare spazi e distanze. La lontananza è resa cancellando e rendendo sbiadito il tratto di pennello : più è vicino e più l’inchiostro è carico ; più è lontano e più l’inchiostro è sbiadito. Ma, lontano, per i cinesi, significa anche oscuro, misterioso, profondo. Il « lontano » incarna la dimensione filosofica del mistero (xuan). Nel giardino, a questa dimensione partecipa la moltiplicazione di spazi grazie a schermi e barriere di rocce che lasciano intravedere la profondità, oppure grazie al tracciato di camminamenti sinuosi che rendono lenta la penetrazione nel segreto.

Il dispiegarsi come configurazione materica

La configurazione delle montagne-acque si concepisce dunque come una generazione reciproca di forze e di tensioni tra la roccia verticale e l’acqua orizzontale, tra l’aspra compattezza della prima e il carattere liscio e evanescente della seconda. La terra sta all’acqua come il pieno sta al vuoto. Ma gli elementi non sono entità stabili. Tra loro esiste ambivalenza e circolarità. I quattro elementi occupano nello spazio del mondo luoghi differenziati come l’alto e il basso, l’orizzontale e il verticale. A ogni elemento la sua modulazione. Ma anche la sua conversione. L’acqua diventa aria evaporando. La terra si smaterializza attraverso la trasparenza dell’acqua. Il giardino cinese mette in scena questa transazione da un elemento all’altro per associazione, addizione o sottrazione, per contiguità, per condensazione o frammentazione.

Note de bas de page 32 :

Questa pietra, slanciata, presenta una molteplicità di sfaccettature che giocano tra il vuoto e il pieno. Cfr. Chen Wei (2004, p. 115).

La somiglianza formale (xingsi) si stabilisce a partire da una traccia materica. La presenza di pietre e le montagne artificiali sono l’aspetto più saliente di questo spazio tanto che un letterato ha chiamato il suo giardino, Foresta di pietre e un altro Yuanshanyan come la pietra Yuanshan. A prima vista, queste rocce sembrano profilare un percorso, attraverso una forte presenza materica, verso la pura astrazione. Le pietre sono descritte con una vera e propria fisionomia antropomorfa. È il caso della celebre pietra Guanyunfeng tratta dal letto di un fiume, alta sei metri e mezzo, che è descritta come « svelta, dotata di un carattere solitario, altero e aperto »32.

Note de bas de page 33 :

Chen Congzhou è uno specialista di giardini cinesi, citato da Escande (2004, p. 63)

Note de bas de page 34 :

Per esempio, in un dipinto del pittore Wang Meng (1308-1385), dal titolo « Abitare le foreste Juqu », la montagna è rappresentata come una frammentazione, uno sbriciolamento di rocce perforate. Lo storico dell’arte dei giardini Han Baode considera che, senza la presenza di padiglioni che segnalano la scala di grandezza di queste rocce, lo spettatore potrebbe credere che si tratti della rappresentazione di una vera e propria montagna. Ecco dunque un esempio d’interazione tra arte dei giardini e pittura di paesaggio, ovvero di shanshui.

Secondo Chen Congzhou33, i pittori cinesi ricorrono a particolari tecniche pittoriche come quelle delle « rughe » (cun). Sono tratti che servono a suggerire pieghe, avvallamenti, accidenti, asperità di particolari montagne. I costruttori delle montagne artificiali dei giardini fanno ricorso a particolari tipi di rocce per esprimere, in maniera analoga, le altezze a partire dalle concezioni pittoriche dei pittori. Le forme delle grandi rocce si accordano a quelle delle montagne lontane in pittura ; il tratto a pennello impiegato per suggerire le montagne è identico a quello che serve per le rocce34.

I quattro momenti/tappe della « via »

I principi compositivi del giardino, dice Chung Wah Nan (2004, p. 211) si possono riassumere in quattro parole : « separare » (ge), « cercare » (xun), « guidare » (yin), « passare » (du).

Il primo concetto, « separare », « dividere », rinvia al procedimento architettonico che consiste nell’erigere barriere, nel mascherare, nasconder interamente o in parte. Insieme alle montagne artificiali, i muri assolvono la funzione di schermo. Ma una volta affermata la funzione di separare questa viene subito negata da una varietà di aperture che vi sono praticate come porte (la « porta della luna ») o finestre traforate che dissimulano e, nello stesso tempo, fanno intravedere gli altri spazi del giardino. Il fine è di creare l’impressione di mistero e aumentare il senso dell’attesa. Se attraverso le aperture del muro si intravede una corte, essa stessa chiusa da un muro traforato di aperture, si ha allora l’effetto di una successione tortuosa di corti che si succedono l’una all’altra, in una profondità infinita. Una sorta di « mise en abyme » ludica e poetica. La profondità reale è poca cosa. Talvolta solo qualche metro, ma il procedimento delle schermature crea un’illusione di profondità. Si tratta di nascondere e far intravedere, ad un tempo.

« Cercare » è l’attività a cui viene sottoposto il visitatore. Nella progressione del suo percorso è invitato ad una partecipazione attiva. Il sentiero sinuoso, seguendo le ondulazioni del terreno, prolunga nel visitatore, vero e proprio soggetto della ricerca, il tempo di attesa : la scoperta deve essere dilazionata. Ed è così che, dice Chung Wah Nan (2004. p. 212) : « Dans cet espace compartimenté incitant à la recherche, le promeneur, par son propre déplacement, prend part lui-même à la construction de l’espace du jardin ».

La nozione di « guidare » o « attirare » è il terzo tempo della « partizione » del giardino, che il maestro mette in opera dopo la tappa della « ricerca ». Esso include le idee di guidare, attirare, invitare, suggerire. L’invito comporta una sorta di appello semiotico che si avvale di un sapiente dispositivo deittico. Ad esempio, le aperture nei muri sono un mezzo per guidare. Lo sono analogamente le scritte che si possono trovare sulle porte come, ad esempio, « Accesso alla serenità », o « Entrata nel meraviglioso » suscettibile di attirare il visitatore e, nello stesso tempo, ne modula la competenza patemica. Le scritte e i nomi hanno la funzione di stabilizzazione iconico-figurativa. La deambulazione in questo spazio è infatti largamente aiutata dall’uso delle iscrizioni su tutti gli elementi scenici del giardino come su padiglioni, ponti e perfino rocce. Ogni scorcio è inventariato, commentato da iscrizioni su legno o pietra, collegati, messi in relazione gli uni con gli altri da percorsi preparatori. Senza iscrizioni calligrafiche, il giardino non può essere pienamente goduto o apprezzato. L’impresa di nominare un giardino e di attribuirgli delle inscrizioni poetiche presso i cinesi è un’impresa molto ardua. Il capitolo XVII del Sogno della Camera Rossa descrive il modo in cui le citazioni e i nomi dei luoghi sono scelti in un parco che sta nascendo. Iscrizione calligrafica su alberi, ponti, rocce, padiglioni, belvedere, tutto funziona come una sorta d’impronta dell’uomo sulla natura. Il nome del padiglione in genere è scritto orizzontalmente al di sopra dell’entrata, mentre i versi a contenuto poetico o morale sono posti verticalmente sui pilastri a lato dell’entrata. Queste inscrizioni spiegano come apprezzare la scena, dice Chen Congzhou (1984, p. 46).

I sentieri piatti e rettilinei sono assai meno invitanti di quelli sinuosi che serpeggiano tra rocce e vegetazione e non si sa dove conducano, risvegliando la curiosità del visitatore. Rocce, piante, arbusti, ponti, camminamenti sono dispositivi indicali del cammino oltre che atti a costituire una deissi di osservazione.

I suoni svolgono la stessa funzione, quella di guidare il visitatore. Il più facile da ottenere è senza dubbio il rumore dell’acqua. Che può variare da un suono flebile come il mormorio di un ruscello o lo sgocciolio fino allo scroscio di una cascata. È fatto in modo che il visitatore senta il rumore dell’acqua prima di vederla. Il frusciare dei bambù o dei pini nel vento, prima di incontrarli.

Note de bas de page 35 :

Chung Wah Nan, 2004, p. 213.

Note de bas de page 36 :

Cfr. Jullien, ibidem, p. 189.

Note de bas de page 37 :

Zong Baihua, 1981, p. 55

La quarta nozione, quella di « passare » è il procedimento più nobile, ma anche il più difficile. Attraverso la divisione, la ricerca, poi la seduzione, il visitatore è indotto a passare da uno spazio all’altro. Passa attraverso un’apertura nel muro, attraversa un ponte, supera visivamente un ostacolo. L’idea di « passaggio » rinvia ugualmente all’« altra riva » del buddismo. « Le visitateur – dice Chung Wah Nan - doit parvenir à dépasser l’état d’âme suscité par sa promenade physique ou spirituelle dans le jardin pour en atteindre un autre »35. Dice Guo Xi36 : tra i paesaggi, vi sono quelli che si attraversano, quelli che si contemplano, quelli in cui si passeggia e quelli in cui si abita. Ma « il luogo che si attraversa o si contempla non ha lo stesso valore del luogo in cui si passeggia ». Passeggiare implica più investimento cognitivo e patemico di quanto lo faccia un semplice attraversamento. Secondo Zong Baihua37, non soltanto la « passeggiata » (you) può produrre l’effetto di far emergere l’« attesa » (un lungo percorso orientato, infatti, non induce soltanto a « passeggiare », ma anche ad « attendere »), ci obbliga a « sostare », a « guardare » (wang). Le finestre non servono soltanto a far circolare l’aria, ma anche a vedere verso l’esterno, ad attendere un nuovo stato emozionale. Il verbo wang copre, ad un tempo, sia il significato di « guardare, osservare », che di « sperare, attendere ». Si tratta di un percorso che stimola uno stato di disponibilità. A partire dall’attualizzazione di una pluralità di punti di vista e di passaggi, ciò che è in gioco è il trattamento stesso delle prospettive temporali, fatte di accelerazioni e rallentamenti, di attesa, sospensione, scoperta. L’articolazione dello spazio, determinando regimi temporali differenziati, modula la dimensione passionale del visitatore.

Il « passaggio » è dunque una sorta di rivelazione che trascende la semplice ammirazione : dalla deambulazione all’osservazione, dalla curiosità e sorpresa all’emozione estetica fino ad un’esperienza di ordine puramente etico. Si tratta di una trasformazione attoriale che avviene attraverso variazioni di scena, sequenze spaziali, modulazioni di competenza.

Note de bas de page 38 :

Attraverso la rete di corrispondenze, l’arte dei giardini manipola gli elementi in modo da costruire un microcosmo e dominare la percezione. In questo modo, viene ridefinito il rapporto soggetto-oggetto. « Non vi è più oggetto percepito e soggetto che percepisce, ma correlazione e scambio tra polarità (..). il mondo non è ciò da cui la coscienza si stacca radicalmente, per poterselo figurare come puro « davanti » a sé, ob-iectum ». Dice Shitao: « è il paesaggio a esprimersi attraverso di me ».

Note de bas de page 39 :

Jullien, ibidem, p. 41.

La teoria dei quattro « tempi », che articola la generazione del giardino, integra l’osservatore/visitatore alla propria costruzione in quanto partecipante attivo. Gli attribuisce ruoli attoriali di visitatore, di viandante, di abitante38, ponendosi con lui in un dialogo continuo. Analogamente alle pitture di paesaggio, questo spazio diviene un campo di apparizioni e di sparizioni, indietreggia o avanza in profondità, raggiunge il centro di referenza o resta all’orizzonte. È fatto di anticipazioni (il suono dell’acqua prima di vederla) e di sparizioni (il cammino di collegamento da un padiglione all’altro). In questo modo, dice Jullien39, il giardino che non mostra le sue aiuole in ranghi serrati, ma lascia apparire qui un fiore sul muro, là un ramo tra le rocce, si configura come una presenza che si trattiene invece di dispiegarsi, che si svuota nell’assenza e non si impone, si dispiega grazie alla propria evasività. Procedendo per ritorni e variazioni, il giardino, come il tao, la « via », permane pur variando. L’essenziale, nella costruzione di questo spazio utopico, così come nella pittura di shanshui, non è il raggiungimento di una meta, ma l’andare. La saggezza ultima del Tao è infatti la via, perché Tao significa percorso, cammino, via.

Immagini

Fig. 1.

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Fig. 2

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Fig. 3

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Fig. 4

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Fig. 5

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