La rappresentazione del paradiso terrestre : dal giardino al paesaggio

Lucia Corrain 

https://doi.org/10.25965/visible.291

Full text

Eccoti tela, colori e pennello,
La natura è tua ; e con polso fecondo
tu usa, per creare, gli elementi del mondo. […]
Quel che il terreno con piacere accoglie
Sappiate riconoscere, prendete senza doglie.
Della natura è meglio, e nel contempo è essa.
Tela perfetta che non ha pari a se stessa.
Così sceglier sapevano i Berghen e i Poussin.
Mirateli, studiatene i capolavori en plain :
E ciò che alla natura la pittura attinge,
Le renda, riconoscente, colui che dipinge.
Delille, I giardini, ovvero l’arte di abbellire i paesaggi

Note de bas de page 1 :

Lichacev, 1981, p. 5.

Pressoché tutti gli studi che mettono al centro del loro interesse il giardino rimarcano costantemente che qualsiasi suo allestimento è sempre stato un « tentativo di creare un mondo ideale di mutui rapporti fra uomo e natura »1 ; a sua volta questo mondo individua il naturale prototipo semantico nell’Eden, ossia nel giardino primigenio in cui Dio aveva voluto collocare il primo uomo.

Ma, con più precisione, che cos’è un giardino ? Come afferma Rosario Assunto :

È l’ideale a cui aspira l’esigenza di fare arte nella natura, della natura, con la natura […] : il recupero, mediante l’opera nostra, di un’immagine della natura intatta, ma insieme spogliata di ogni selvatichezza, domestica, ma non artificiata ; l’ideale diciamo, di una natura che sia insieme quale ci figuriamo fosse all’origine, prima di una storia interpretabile come successivamente accresciuta lontananza dalla natura ; e insieme quale si spera di restaurarla al termine di una storia il cui processo sia stato convertito da estraniazione della natura e progressiva lontananza dalla natura in restaurazione e riconquista di una natura a noi e con noi e in noi conciliata in se stessa e a se stessa (1981, p. 14-15).

Note de bas de page 2 :

Per una trattazione più articolata dell’argomento, cfr., fra altri, Parret 1998, p. 178-180.

Con un presupposto edenico tanto radicato, può essere interessante guardare come la pittura ha messo in scena il paradiso terrestre. D’altra parte, i legami tra l’arte del giardino e l’arte del dipingere sono sempre stati piuttosto stretti, se non, almeno in certi periodi, addirittura correlati. Nel settecento, a titolo di esempio, i teorici del giardino invitavano espressamente gli architetti del verde a « riprodurre » i quadri di paesaggio di Poussin e di Lorrain e non a progettare nuovi e originali giardini (Lichacev 1981, p. 194-195). E per Kant, la pittura, seconda specie delle arti figurative, deve essere suddivisa in pittura propriamente detta (l’arte della bella descrizione della natura) e in arte dei giardini (l’arte del bell'arrangiamento dei prodotti naturali)2.

Note de bas de page 3 :

Non è forse inutile ricordare che il paradiso terrestre è diverso dal paradiso tout court. Du Verdier, Divers leçons, Lyon 1580, lo precisa con efficacia : « C’è grande differenza fra il regno celeste e il paradiso. Il regno celeste, infatti, è al di sopra del firmamento del cielo, il paradiso al di sotto […], in terra. […]. D’altra parte, la voluttà del regno celeste consiste nella visione di Dio e nella beatitudine eterna che si gusta insieme agli angeli felici ; le delizie del paradiso consistono in piante e alberi desiderabili e nel grande e meraviglioso fiume che lo bagna. Inoltre, il regno celeste non è mai stato visto da occhio alcuno né udito da orecchio. […] Il paradiso è stato visibile da Adamo ed Eva con gli occhi corporei. Ahimé ! Rimarrà senza abitanti » (p. 16-20).

L’obiettivo di fondo di questo lavoro sarà, dunque, quello di indagare come la pittura abbia rappresentato, lungo il filo del tempo, il mito del paradiso terrestre ; e più precisamente come un luogo immaginato e immaginario, a quanto si sa visto solo dai progenitori, possa trovare una o più modalità di concretizzazione nella resa visiva3.

Il testo più antico che narra lo stato edenico dell’uomo è il primo libro della Bibbia ; ma sicuramente il racconto della Genesi va riconnesso a un mito più generale e lontano nel tempo, dal momento che secondo Arturo Graf :

L’immaginazione di uno stato di felicità e di innocenza di cui gli uomini avrebbero goduto nell’inizio dei tempi, e dal quale sarebbero poi decaduti la ritroviamo […] su tutta la faccia della terra, dovunque siano uomini. […] Gl’Indi, gli Egizi, i Cinesi, le varie famiglie dei Semiti, i Greci, i Latini, i Celti, i Germani conobbero il mito : se, lasciato il vecchio mondo, attraversiamo i mari, troviamo il mito in America, in Oceania, nelle plaghe di terra abitata che cingono il Polo (1892, p. 1).

Il primo libro della Genesi racconta che Adamo ed Eva, prima del peccato originale, avevano avuto il privilegio di vivere nel paradiso terrestre : « Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato ». Un luogo dove « il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male », e rispetto al quale l’uomo aveva ricevuto il compito di coltivarlo e custodirlo. A quanto pare, dunque, una vera situazione paradisiaca, che teoricamente avrebbe potuto durare in eterno se l’uomo avesse rispettato l’unico comandamento che il Signore gli aveva imposto : « Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiarne, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiarne, perché, nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente morire ».

Note de bas de page 4 :

« Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison ; esso scorre intorno a tutto il paese di Avila, dove c’è l’oro e l’oro di quella terra è fine ; qui c’è anche la resina odorosa e la pietra d’onice. Il secondo fiume si chiama Ghicon ; esso scorre intorno a tutto il paese d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri : esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate ».

Considerando il ben conosciuto testo biblico - incipit di una miriade infinita e variegata di successive letture interpretative - , è possibile desumere alcune informazioni di ordine spaziale. La descrizione del luogo, il « paradiso », si può considerare, per certi versi, precisa : si tratta di uno spazio inglobante (l’Eden) entro il quale - a oriente - si trova lo spazio inglobato (il giardino). Un rapporto, quello di inglobante/inglobato che presuppone obbligatoriamente un confine, una frontiera fra le due parti, come del resto conferma il succedersi degli eventi narrati dalla Genesi : dopo il peccato, Dio « scacciò l’uomo, e dinanzi al giardino di Eden fece dimorare i cherubini e la fiamma della spada per custodire l’accesso all’albero della vita ». Anche « il fiume che usciva da Eden per irrigare il giardino » - e che poi « si divideva e formava quattro corsi » destinati, a quanto pare, a bagnare una parte di mondo - sembra, in maniera piuttosto vaga e parziale, delimitare un’area presumibilmente di ampie dimensioni, seppur non definita4. E ancora, l’albero della vita che occupa il centro del giardino, permette di ipotizzare un’articolazione topologica dello spazio in centro e periferia, dove il primo polo è ovviamente valorizzato. In sintesi, se da un lato il testo biblico presenta il paradiso alla stregua di un luogo circoscritto, contemporaneamente, per la sua singolare geografia, si rivela come uno spazio che può essere definito utopico, che non sembra corrispondere a nulla di definito e che proprio per questo lascia campo libero alle infinite interpretazioni succedutesi nel corso dei millenni.

Note de bas de page 5 :

La bibliografia a questo riguardo è vastissima, qui ci limitiamo a segnalare alcuni testi di carattere generale : Graf 1892, Delumeau 1992, entrambi con bibliografia precedente.

In questa sede ragioneremo sulle raffigurazioni pittoriche del paradiso terrestre, in un rapporto di dialogo con i numerosissimi testi scritti che vedono il dispiegarsi delle più singolari e bizzarre « descrizioni » del paradiso terrestre, selezionando tuttavia alcune problematiche che – a nostro avviso – sembrano di più evidente salienza per la rappresentazione pittorica dello stesso5.

Una precisazione, in primo luogo, è necessaria. La tradizione scritta dedicata al giardino delle delizie, fin dal suo esordio nel primo libro della Bibbia, presenta caratteristiche sufficientemente costanti. Al contrario, anche un semplice e generico sguardo alle numerosissime rappresentazioni visive del paradiso terrestre permette di constatare che queste ultime subiscono, lungo i secoli, almeno una sostanziale trasformazione riguardante proprio lo « spazio » : il paradiso terrestre, dall’ambientazione entro un giardino circoscritto, in auge anche oltre la fine del xv secolo, vedrà nei secoli successivi la sua « collocazione » in un ampio paesaggio.

Iniziamo cercando di riassumere le costanti che si registrano nei testi scritti, con la consapevolezza dell’inevitabile, ma obbligata, parzialità della sintesi :

i. La localizzazione geografica : praticamente l’Eden è stato collocato dappertutto, in ogni luogo del globo, come ben riassume, non senza un filo di ironia, un testo della fine del seicento :

Note de bas de page 6 :

La citazione è ripresa da Delumeau 1992, p. 221.

È stato messo nel terzo cielo, nel quarto, nel cielo della luna, nella stessa luna, su una montagna vicino al cielo della luna, nella regione intermedia dell’aria, fuori dalla terra, sulla terra, sotto la terra, in un luogo nascosto e lontano dalla cognizione degli uomini. È stato messo sotto il Polo Artico. […] Tanti lo hanno messo […] o sulle rive del Gange o nell’isola di Ceylon, facendo persino derivare il nome Indie dalla parola Eden […]. Altri in America, altri in Africa sotto l’equatore, altri nell’Oriente equinoziale, altri sulla montagna della luna da cui credevano nascesse il Nilo ; la maggior parte in Asia, gli uni in Armenia maggiore, gli altri in Mesopotamia o in Assiria, o in Persia, o nella Babilonia, o in Arabia, o in Siria, o in Palestina. C’è persino chi ha voluto fare onore alla nostra Europa e, superando ogni limite di impertinenza, l’ha collocato a Hédin, città dell’Artois, basandosi sulla somiglianza del nome con Eden (Huet 1691, pp. 4-6)6.

Ma al di là del luogo concreto, i testi scritti dall’alto medioevo in avanti, (Efrem Siro,  373 ; Filostorgio,  verso il 425 ; Cosma Indicopleuste, vi secolo ; Giovanni Damasceno,  749 ; Mosè bar Kepha, ix secolo), partendo dalla convinzione che l’ecumene abitato fosse circondato, in ogni sua parte, dall’oceano, posizionavano l’Eden e il suo giardino in un spazio esterno e lontano dallo stesso ecumene. Più precisamente, il paradiso terrestre era pensato in un luogo (un’altissima e inaccessibile montagna, un’isola, ecc.) fuori dalla portata degli uomini, oltre l’invalicabile oceano, che comunque possedeva un collegamento con la terra abitata in quanto i quattro fiumi, fuoriuscendo dal giardino, irrigavano il mondo allora conosciuto.

ii. L’ampiezza : il problema del luogo comporta, conseguentemente, anche quello delle dimensioni. A questo proposito, la costante più frequente riguarda le grandi dimensioni. Nessuno scritto parla di un vero e proprio giardino ; dunque, di un luogo che, per quanto grande, ha pur sempre un’estensione contenuta. Qualcuno, infatti, pensava dovesse occupare l’intera terra (Efrem Siro), qualcun altro lo considerava « un non piccolo territorio dal momento che veniva irrigato da una così grande fonte » (sant’Agostino), fino a posizioni di dimensioni intermedie (Lutero). Uno scrittore del seicento così si pronunciava :

Note de bas de page 7 :

La citazione è ripresa da Delumeau 1992, p. 228.

Sono molte le ragioni che mi convincono che questo giardino di felicità dovesse avere grandi e amplissime dimensioni. Prima di tutto, come insegnano Mosé e Giovanni Damasceno, Dio stesso piantò il giardino con le sue mani. Ora, tutte le opere di Dio, soprattutto le prime, furono grandi e degne della magnificenza del divino creatore ; inoltre, come dissero giustamente Agostino e ba¯r Kepha, il giardino non poteva essere piccolo se vi nascevano l’Eufrate, il Gange, il Tigri e l’Indo che sono i più grandi fra tutti i fiumi. Infine se lo stato di innocenza fosse perdurato […] vi avrebbe abitato se non tutta l’umanità, una gran parte di essa (Inveges 1649, p. 25)7.

iii. La vegetazione e l’ambiente : nelle numerosissime descrizioni, il giardino divino è sempre stato descritto denso di alberi, taluni addirittura con fronde d’oro e d’argento ; e dove non crescevano gli alberi c’era :

un campo sparso di minori piante, vestito d’erba e smaltato di fiori. I fiori, di solito, sono questi nostri, la rosa, il giglio, il giacinto, la viola, salvo che hanno colori assai più vivi e più soavi profumi. Gli alberi, o sono i nostri, con più perfetta natura, come si conviene al luogo, o son di specie meravigliose, incognite a noi, e sempre in grandissima quantità. Si credeva che le piante aromatiche, i balsami, venissero dal paradiso terrestre […]. Mandeville fa venir giù dal paradiso con la corrente del Nilo, l’aloe e Joinville […] la cannella, lo zenzero o gengovio, il rabarbaro, i garofani o altre spezie (Graf 1892, p. 31).

Anche in questo caso, come si vede, c’è il meglio del meglio, mantenuto sempre florido non solo dall’acqua che bagnava l’ambiente, ma anche dal fatto che :

Regna nel beato giardino una perpetua primavera ; non mai turbata da venti e da procelle. Il cielo che spande sopr’esso un lume sette volte più chiaro che non sia quello del nostro giorno, ma scompagnato da ogni fantasiosa, non vi patisce nube alcuna, e mai non lo ingombra la notte. Né mai per l’aria dolcissima si riversa grandine o pioggia, né mai vi s’ode il pauroso fragore del tuono e l’orrendo schianto della folgore. Tiene il luogo un’altissima quiete, una pace serena e sacra (Graf 1892, p. 25).

iv. Gli abitanti : anche riguardo a chi popolava il paradiso terrestre ci sono moltissime ipotesi ; tuttavia una frase della Genesi dice che : « Il Signore Dio modellò dal terreno tutte le fiere della steppa e tutti i volatili del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati ». Altri scritti non mancano di sottolineare l’armonia in cui vivevano le fiere più feroci e gli animali più mansueti, e che « un posto speciale hanno gli uccelli che empiono tutto il giardino dei loro dolcissimi canti » (Graf 1892, p. 72).

Riassumendo, dunque, l’età aurea iniziale era caratterizzata dalla natura clemente, dall’acqua generosa, dalla luce dolce, dalla primavera eterna, dai profumi soavi, dalla musica celeste, dai frutti abbondanti, e da una moltitudine infinita di altre cose preziose (il muro di recinzione d’oro, i sassi dei fiumi di pietre preziose, ecc.). Insomma, è proprio il caso di dire che c’era ogni ben di Dio. La vita in quel luogo rappresentava una completa e sempre presente esperienza sensoriale : tutti i sensi, stando alle descrizioni, venivano sollecitati, esattamente come scrive Jacopo da Varagine nella sua Legenda aurea, ben nota ai pittori :

Matteo si mise allora a predicare al popolo la gloria del Paradiso Terrestre con un grande sermone, dicendo che si alza al di sopra di tutti i monti, si trova vicino al cielo, e non ci sono spine e rovi, mentre le rose e i gigli non appassiscono mai ; la vecchiaia non procede, ma gli uomini restano sempre giovani, gli angeli fanno la loro musica, e gli uccelli vengono al richiamo (1255-1266 ca, p. 771).

In definitiva, si può dire che la vita nel giardino di Eden era caratterizzata da una condizione priva di tensioni, dove nulla era in eccesso, niente in polemica con qualcosa o qualcuno, dove si viveva in totale assenza di passioni, ma costantemente in un rapporto di armonia tra il tutto.

Dopo questa stringata incursione nella grande moltitudine di testi « paradisiaci » a disposizione, passiamo alla messa in forma visiva del paradiso terrestre con la finalità di ricostruire l’orizzonte di riferimento nel quale i pittori, nei secoli, possono essersi mossi. E i primi documenti ai quali si ricorrerà non sono veri e propri dipinti, bensì carte geografiche, o più precisamente mappae mundi, nelle quali il paradiso terrestre trova una precisa sistemazione nell’ecumene fino allora conosciuto.

Note de bas de page 8 :

Va ricordato che specie in questo periodo i mappamondi venivano realizzati all’ombra dei grandi monasteri, dove le conoscenze geografiche di sant’Agostino o di Isidoro di Siviglia erano rispettate alla lettera. Per un discorso più ampio sulla cartografia medievale, oltre a Delumeau 1992 e Graf 1898, cfr. Di Palma 1985.

La cartografia medievale, infatti, rappresenta un orbe terrestre congetturale, nel quale per lunghi secoli il paradiso terrestre è stato posizionato in un luogo ben definito, così rispecchiando le concezioni di Sant’Agostino, di Isidoro di Siviglia e di altri esegeti medievali. Nei mappamondi o planisferi, dal ix al xiv secolo, l’oriente si trovava dove attualmente è posizionato il nord ; e il giardino delle delizie, essendo all’origine dell’umanità, veniva posto in cima alla rappresentazione grafica (la stessa logica situa Gerusalemme al centro)8.

La mappa della cattedrale di Hereford (1300 circa) offre un’immagine già conosciuta anche in esemplari antecedenti : il paradiso terrestre è un’isola circolare, posta a est, al di sopra di quello che è ritenuto il mondo abitato, sotto il Cristo del giudizio universale e con i quattro fiumi che si originano ai piedi dell’albero della conoscenza, con il serpente attorcigliato ; Adamo ed Eva stanno mangiando la mela ; il giardino è protetto da un muro circolare, con una porta ermeticamente chiusa (fig. 1, XIII secolo, Asia Centro Orientale).

Fig. 1 Anonimo, Mappa Mundi di Richard di Haldingam detta di Hereford

Fig. 1 Anonimo, Mappa Mundi di Richard di Haldingam detta di Hereford

Note de bas de page 9 :

Lungo tutto il medioevo e il Rinascimento si ritrova frequentemente « la credenza che un luogo vicino al paradiso terrestre, che in qualche modo beneficia dei suoi privilegi, continui a sussistere in qualche remota parte del nostro pianeta, accessibile ai più audaci fra gli uomini » (Delumeau 1992, p. 17).

Anche il mappamondo del veneziano Andrea Bianco (1436), pur raffigurando un’aggiornatissima trasposizione delle coste del mar Mediterraneo, non trascura la rappresentazione, in alto e a est, del paradiso terrestre, affiancato dall’ospizio di san Macario: il luogo dove il viaggiatore medievale fu fermato dal cherubino mentre cercava di raggiungere l’Eden9.

Invece, il grande mappamondo del camaldolese fra’ Mauro (1459), assai dettagliato e aggiornato in base alle ultime esplorazioni portoghesi in Africa, è forse il primo a escludere dall’ecumene conosciuta il paradiso terrestre. E il caso è significativo perché, sebbene fra Mauro si sia rifatto a sant’Agostino (uno dei tanti fautori dell’esistenza del paradiso terrestre), mette in discussione gli schemi geografici della tradizione. Esattamente come il notissimo mappamondo di Martin Behaim (1492), il quale, utilizzando anche le descrizioni di Jean de Mandeville (che aveva dedicato un lungo scritto al giardino delle delizie), non rappresenta l’Eden.

Note de bas de page 10 :

La bibliografia sulla cartografia medievale è assai vasta: rimandiamo sempre a Graf 1878, Delumeau 1992, Di Palma 1985.

Insomma, a partire dalla fine del xv secolo le mappe e i mappamondi registrano una vera e propria « rivoluzione » : in maggioranza orientati a nord, cancellano « dalla faccia della terra » il giardino di Eden10. La progressiva scomparsa del paradiso terrestre si può considerare analoga a quanto si è verificato con i mostri, anch’essi fino a una certa epoca rappresentati nelle mappe e poi completamente cancellati. O ancora a qualcosa di simile a quanto è avvenuto con i folli di cui racconta Michel Foucault (1961) : dapprima esternati, messi al di fuori degli spazi abitati e successivamente internati nelle città. Vale a dire che prima l’alterità coincideva totalmente con uno spazio altro, esterno ed estraneo al mondo limitato e conosciuto. Ora, invece, l’alterità o perde diritto di esistenza, come nel caso dei mostri e del paradiso terrestre, o viene internata, come nel caso dei folli.

Note de bas de page 11 :

Olio su tavola, 1440 circa, cm 45x52, New York, Metropolitan Museum. Questa tavola era parte della predella della pala Guelfi, oggi conservata al museo degli Uffizi di Firenze.

Giovanni di Paolo nel suo dipinto, Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre11 rappresenta, nella parte alta sinistra, Dio attorniato da dodici cherubini, che punta il suo indice destro su una specie di planisfero (fig. 2).

Fig. 2 Giovanni di Paolo, Adamo e Eva cacciati dal Paradiso terrestre

Fig. 2 Giovanni di Paolo, Adamo e Eva cacciati dal Paradiso terrestre

All’interno di questo mappamondo sono rappresentate alte montagne e corsi d’acqua, ed è circondato da cerchi concentrici blu per l’aria, verdi per l’acqua e uno rosso per il fuoco, un cerchio con i sette pianeti, nonché da un altro conclusivo con i segni zodiacali. Nella parte destra, invece, in una scena separata, sono raffigurati i peccatori nudi così come insolitamente nudo è l’angelo che li sta sospingendo al di fuori del luogo delle delizie. Lo spaccato di natura che viene proposto è composto da sette rigogliosi alberi, ricolmi di frutti dorati, da un prato con una grande varietà di fiori e animali, e nella parte inferiore dai quattro fiumi che escono dal paradiso. Entrambi i settori della tavola sono avvolti in un’illuminazione viva, resa con colori smaglianti e rilucenti.

È questo un dipinto nel quale sembra sia stata fornita una « forma visiva » all’ambientazione paradisiaca : in assonanza con i testi scritti, infatti, il giardino di Eden sta oltre l’orbe. Più precisamente una rappresentazione congetturale del mondo con la « vignetta » a destra che funzionerebbe come una sorta di « zoomata » all’interno del paradiso, dove il lato destro e quello inferiore della tavola verrebbero a costituire, almeno in termini pittorici, il confine del giardino, di uno spazio altro, di un luogo oltre il quale vivranno Adamo ed Eva e i loro discendenti. Esattamente quel luogo che, in una visione di completezza, Dio addita dall’alto del cielo, privato di quella vegetazione che invece è una delle salienze del giardino dell’Eden.

Note de bas de page 12 :

Miniatura, 1416, cm 29x21, ms. 65, folio 25v, Chantilly, Musée Condé.

Il dipinto di Giovanni di Paolo, anche se in maniera ancora sfumata, introduce l’articolata e complessa problematica dei confini del paradiso. A partire dalla configurazione del giardino di Eden proposta nelle Très riches heures de Duc de Berry12 fino ai dipinti paradisiaci ottocenteschi si può, centrando l’attenzione sui confini, ripercorrere la trasformazione – a nostro avviso una delle più radicali – che ha subito questo motivo iconografico nel corso del tempo (fig. 3).

Fig. 3 Limbourg fratelli, Paradiso terrestre

Fig. 3 Limbourg fratelli, Paradiso terrestre

Note de bas de page 13 :

Cfr. Fontanille 1989, p. 75-77.

Nella miniatura dei fratelli di Limbourg, il recinto circolare d’oro delimita il luogo mitico, presupponendo addirittura un punto di vista, poiché nella parte anteriore del recinto si vede la parte esterna, mentre sul fondo solo quella interna. Gli attori (umani, vegetali, architettonici), oltre a suggerire un effetto di profondità sono ripetuti, disponendosi nello spazio secondo sequenze narrative che si articolano temporalmente da sinistra verso destra : all’estrema sinistra, la proposta dell’anticontratto : il serpente che tenta la donna ; al centro verso sinistra, la performance dell’antisoggetto : Adamo ed Eva che mangiano la mela ; al centro verso destra, la sanzione negativa inferta da Dio ; all’estrema destra, oltre la porta, la retribuzione negativa assegnata ai progenitori : l’espulsione definitiva dal luogo privilegiato13. Oltre il confine, nella parte inferiore, il giardino è circondato da montagne e da acque che anche nella loro forma miniaturizzata generano un rapporto contrastivo con la florida vegetazione dell’interno, nonostante quest’ultima non si configuri in base a un ordine, a un’organizzazione degli elementi naturali, come invece accade nel giardino.

Numerose altre rappresentazioni propongono il giardino paradisiaco circondato da mura di forma circolare, esagonale o quadrangolare, architettonicamente più o meno elaborate, talvolta con una delimitazione che si vede solo alle spalle dei due progenitori, ma che comunque permette di comprendere chiaramente la circoscrizione. All’interno delle mura il giardino è descritto in maniera più o meno dettagliata con animali, fiori, uccelli, sempre con l’albero della conoscenza, nell’area centrale, spesso vicino a una fonte dalla quale prendono forma i quattro fiumi. E con una luminosità diffusa e intensa.

D’altra parte, la stessa etimologia sembra dare ragione all’area circoscritta e delimitata : infatti, la parola

Note de bas de page 14 :

Cfr. per l’etimologia orientale Hammad 2003. È impossibile qui ripercorrere i molteplici sensi del paradiso terrestre; tra questi, uno in particolare è interessante nel quadro generale dei confini e riguarda il nesso che si viene a stabilire tra il paradiso terrestre e il chiostro dei monasteri : « il giardino del chiostro, con le sue quattro parti quadrate e la fontana centrale, suggeriva già un modello cosmico, e i commentatori spesso erano pronti a leggerlo come un diagramma del paradiso al quale i monaci sarebbero giunti attraverso la contemplazione » (Delumeau 1992, p. 161; Lichacev 1991, p. 8).

 paradiso, sinonimo di Eden, evoca […] l’idea di un parco reale, […] di un giardino chiuso, rinfrescato da acque correnti, zampillanti ; un luogo di refrigerio, di luce e di pace (locus refrigerii, lucis et pacis), un’oasi di palme nel mezzo del deserto ; con l’accesso interdetto da una barriera di fiamme, alta fino alle nuvole (Réau 1960, p. 79)14.

Note de bas de page 15 :

Olio su tavola, 1473-1475, cm 32.3 x 21.9, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Confrontando ora la miniatura dei fratelli di Limbourg con il quadro di Hugo van der Goes, raffigurante Il peccato originale15, si può notare una fondamentale differenza. La diversità, però, non è dovuta al fatto che nel dipinto del fiammingo è rappresentato un solo segmento narrativo (la tentazione in atto), ma al contesto entro il quale il peccato si sta compiendo. Non più un giardino, un luogo circoscritto da un confine netto come nel caso precedente o in molti altri esempi, bensì uno spazio aperto, più precisamente un vero e proprio paesaggio, che l’inquadratura scelta « ritaglia » da un continuum ancora più esteso (fig. 4).

Fig. 4 Hugo van der Goes, Il peccato originale

Fig. 4 Hugo van der Goes, Il peccato originale

Note de bas de page 16 :

E questo accade con tutti i segmenti narrativi del peccato originale (dalla creazione dell’uomo e della donna alla cacciata dei progenitori) e quand’anche l’inquadratura sia focalizzata sui principali protagonisti, lo squarcio naturalistico che si intravede possiede sempre le caratteristiche di paesaggio.

Pressoché tutte le realizzazioni pittoriche successive ambienteranno gli episodi riguardanti Adamo ed Eva in una veduta paesaggistica di più o meno vasta estensione16. Un cambiamento radicale, anche perché il trasferimento dallo spazio chiuso (giardino) a quello aperto (paesaggio), coinvolge in modo diverso l’osservatore. La presa di posizione dello spettatore, infatti, passa da una prensione di contatto, di vicinanza (giardino) a una di distacco, di lontananza (paesaggio). Da una visione che con un solo sguardo può cogliere nella completezza il luogo delle delizie a una che può necessariamente coglierne solo una parzialità. La distanza, infatti, è assolutamente una delle caratteristiche del paesaggio. Per potersi dire tale, il paesaggio, infatti, « ha bisogno di un consapevole porsi di fronte, di una presa di distanza dalla natura » (Lehmann 1999, p. 26) ; tanto che non viene mai attribuito

il carattere di paesaggio […] a un interno, quand’anche si trattasse dello spazio interno di un bosco. La distanza, la profondità spaziale deve essere segnalata almeno da un tratto di cielo, e del resto il cielo […] rappresenta un elemento paesaggistico assolutamente essenziale (id., p. 21).

Per essere più precisi, si potrebbe dire che nel paesaggio lo spazio è di lontananza partecipata, senza coordinate al di fuori di quelle date dal soggetto della stessa osservazione.

Per quanto anche successivamente al quadro di Hugo van der Goes, si possano ancora trovare delle persistenze rappresentative in forma di giardino, è innegabile la sinergia temporale tra la scomparsa del paradiso terrestre dalle mappae mundi e la sua ambientazione nel paesaggio. Sembra che si venga a instaurare un’equazione che funziona alla stregua di : « giardino terrestre » sta al mondo limitato e conosciuto come « paesaggio terrestre » sta al mondo in continua espansione.

A questo punto, l’attenzione va focalizzata, per la sua singolarità e particolarità, sul dipinto che Nicolas Poussin ha dedicato al Paradiso terrestre. Esso è appunto ambientato in un paesaggio ; ma come si vedrà, si tratta di un’ambientazione paesaggistica aperta, con parecchio cielo, che in qualche modo conserva la memoria dell’antico spazio chiuso.

Note de bas de page 17 :

Poussin realizzò i quattro dipinti a Roma, poco prima della morte, e li inviò al suo committente parigino nel 1664. La bibliografia sui quattro dipinti è vastissima ; si ricorda : Blunt 1966-1967, Thuillier 1994.

Il quadro di Poussin è parte di una quadrilogia raffigurante le Quattro stagioni (fig. 5-8), realizzata tra il 1660 e il 1664, interamente conservata al museo del Louvre17.

Fig. 5. Poussin, La primavera

Fig. 5. Poussin, La primavera

Fig. 6 Poussin, L’estate

Fig. 6 Poussin, L’estate

Fig. 7 Poussin, L’autunno

Fig. 7 Poussin, L’autunno

Fig. 8 Poussin, L’inverno

Fig. 8 Poussin, L’inverno

L’inserimento del paradiso terrestre nel ciclo delle stagioni, già di per sé una novità, conferisce all’Eden una dimensione più umana, e forse anche una sottile vena ironica, rispetto alle precedenti modalità di raffigurazione del paradiso delle delizie.

Note de bas de page 18 :

La primavera o il paradiso terrestre ; L’estate o Ruth e Booz, ossia l’episodio di Ruth, una povera serva moabita, che ottiene da Booz il permesso di raccogliere il grano nei suoi campi ; da lei nascerà Davide, antenato di Cristo. L’autunno o il grappolo di uva che Mosè ha portato dalla terra promessa, ovvero il ritorno di Mosè dal paese di Canae con frutti meravigliosi, per attestare la grande fertilità della terra promessa da Dio agli ebrei ; L’inverno o il diluvio, cioè il perimento dell’intera umanità, tranne di Noè di cui si vede solo l’arca.

Ogni stagione è pretesto, o contesto, per l’iscrizione di un episodio tratto dall’antico testamento18, e ciascun periodo dell’anno propone una diversa interpretazione del rapporto uomo-natura. L’estate dispiega una natura organizzata, disciplinata, coltivata, addirittura geometrizzata e addomesticata, in grado di regalare, grazie all’intervento dell’uomo, prodigiosi raccolti. L’autunno, con la finalità di magnificare le ricchezze e la generosità della terra promessa, propone una natura piuttosto arida, non coltivata, selvatica e povera, dove predomina la roccia sulla vegetazione. L’inverno, esaltando la natura cattiva, presenta una delle manifestazioni più funeste e distruttive, nel tentativo di prevaricare, fino a sopprimerlo, l’uomo. La primavera, infine, rappresenta una natura tranquilla, generosa, rigogliosa, addirittura lussureggiante, in cui l’uomo non sembra averci mai messo mano.

Ma ancora, uno sguardo d’insieme alla serie permette di evidenziare che solo nella Primavera sono assenti le costruzioni architettoniche ; e che sempre nella Primavera la linea dell’orizzonte si situa nella metà inferiore dell’intera superficie pittorica, mentre nell’Estate, nell’Autunno e nell’Inverno trova il suo posizionamento nella zona mediana della tela. Nella Primavera, inoltre, laddove lo sguardo dovrebbe trovare il suo punto di vista/punto di fuga, in realtà sono rappresentati alberi – incluso quello del bene e del male – che attraverso un parziale occultamento, impediscono all’occhio un sicuro ancoraggio.

Osservando ora in dettaglio La Primavera o il paradiso terrestre, si nota che l’effetto di equilibrio della composizione è il risultato di quella tanto « silenziosa » quanto rigorosa strutturazione geometrica che regola la disposizione sulla superficie di tutte le componenti del quadro. Più specificamente : la linea mediana verticale stabilisce che Adamo ed Eva siano non al centro ma, seppur di pochissimo, completamente parte del settore sinistro ; la diagonale, sempre del settore sinistro, articola la scansione della zona in ombra e di quella in luce ; il Dio-nuvola si dispone secondo la diagonale alto-sinistra basso-destra ; al contrario, l’orizzonte, appare meno vincolato dall’organizzazione geometrica strutturante l’architettura generale. L’insieme del quadro, dunque, è governato da un effetto di equilibrio « naturale » che sembra autogenerarsi e non prodursi sulla base di una rigorosa impalcatura geometrica. Insomma, il tutto sembra realizzarsi secondo il tipico modo di Poussin che – come ha notato Louis Marin (1995, p. 145) - costituisce la cifra stilistica dissimulata, che l’artista francese ha impiegato in molte sue realizzazioni pittoriche.

Note de bas de page 19 :

Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio, allorché passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo fuggì con la moglie dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Allora il Signore Dio chiamò l’uomo e gli domandò : « Dove sei ? ». Rispose : « Ho udito il tuo rumore nel giardino, e ho avuto paura, perché io sono nudo, e mi sono nascosto ». Riprese : « Che ti ha indicato che eri nudo ? Hai dunque mangiato dell’albero del quale ti avevo comandato di non mangiarne ? ». Rispose l’uomo : « La donna che tu hai messo vicino a me, mi ha dato dell’albero e io ho mangiato ». Il Signore Dio disse alla donna : « Come hai fatto questo ? ». Rispose la donna : « Il serpente mi ha ingannato e ho mangiato ».

Sul piano narrativo, la tela mostra i due protagonisti - Adamo seduto ed Eva inginocchiata che indica, con la mano sinistra alzata, l’albero proibito - in completa assenza del serpente ; ciò che rappresenta, cioè, è un segmento antecedente alla tentazione e al peccato, come conferma anche la nudità dei due personaggi19. Il terzo attore, il Signore Dio-nuvola, disposto sulla diagonale della tela, guarda altrove : il suo corpo e il suo sguardo, infatti, sono rivolti in direzione opposta al luogo in cui si trovano i progenitori. Rappresentato in un arditissimo scorcio e sdraiato sulle nuvole, egli guarda la parte di paradiso sullo sfondo completamente rischiarata da una illuminazione aurorale (De Tolnay 1962, p. 262), come dimostra la luce aranciata che si intravede fra l’apertura degli alberi in primo piano a sinistra. Ed è significativo che Dio sia concepito come luce, al punto che la nube su cui è adagiato non proietta alcuna ombra sulla terra, ponendosi in un rapporto di rima con la luce del sole levante, nell’altro settore del quadro. In questo modo, la presenza del divino-luce viene a diffondersi nel complessivo sfondo della superficie pittorica, ma non nel primo piano. Esattamente dove sono Adamo ed Eva, infatti, la luce si manifesta anche con un’intensità minima creando, specie nel settore sinistro, un contrasto oppositivo con l’ombra.

Per ritornare al problema dei confini enunciato precedentemente, sono necessarie considerazioni ulteriori. Rispetto al paesaggio in generale, Fontanille, in un suo recente saggio, ha individuato tre aspetti salienti :

i. un paesaggio, ponendosi come semiotica-oggetto derivante dal mondo naturale, implica […] quanto meno un principio di interazione tra energie (fra cui quelle luminose) e materie substrato ; ii. una presa di posizione di un osservatore che impone a una porzione del mondo naturale un centro di referenza, una profondità e degli orizzonti ; iii. la costituzione semiotica del paesaggio dipende da un’attività percettiva e dalla copresenza di un corpo percepiente e di una porzione del mondo sensibile (2003, p. 79).

Come strategia, anche il paesaggio dipinto - e in particolare quello che la storia dell’arte definisce realistico - prevede la copresenza di un corpo percepiente, una porzione di mondo sensibile e di un centro di referenza, di una profondità e di un orizzonte, solo che in Poussin, e forse più in generale in pittura, il punto di osservazione di un paesaggio, presupposto e condizione della veduta stessa, entra in conflitto con la rappresentazione dello squarcio di mondo che dovrebbe essere per eccellenza descrittiva. Vale a dire che c’è una sorta di conflitto tra il soggetto contemporaneo (il pittore) e l’« oggetto » lontano (il paesaggio).

Ma per il momento guardiamo come funziona il centro di referenza nel Paradiso terrestre di Poussin. Nello sfondo prevale, percentualmente per l’orizzonte ribassato, la dimensione celeste ; mentre nel primo piano predomina quella terrestre. Il primo piano, inoltre, è anche il luogo in cui si viene a creare la sensazione di una continuità dello spazio rappresentato con quello dell’enunciazione, grazie a quel corso d’acqua che, fuoriuscendo dal paradiso terrestre, va allargandosi laddove si presuppone essere il pittore/osservatore, laddove la tela lo « taglia » esattamente sulla soglia estetica.

Note de bas de page 20 :

Una conferma della stretta relazione fra Primavera e Inverno si può individuare nelle rime oppositive che si creano fra Dio e il serpente. Dal punto di vista topologico, infatti, il primo è in alto/destra mentre il secondo è in basso/sinistra ; dal punto di vista materico, invece, Dio poggia sulla nuvola (inconsistente), il diavolo sulla roccia (consistente) ; l’uno è in piena luce, l’altro in ombra.

L’acqua del corso - oltre a configurare un « confine » per l’accesso allo spazio paradisiaco - crea un’evidente rima isotopica con il lago centrale ; una relazione, però, finalizzata soprattutto a manifestare la differenza di luminosità fra le due : rilucente e specchiante quella interna, in ombra quella posta sul limitare fra interno ed esterno. Ritornando alle quattro stagioni, inoltre, si nota che l’acqua crea un rapporto di rima anche con l’inverno ; per l’appunto, la stagione in cui l’acqua è proposta nelle sue peggiori prestazioni, ma anche unico quadro, insieme alla primavera, a rappresentarla. E sempre con l’inverno, la primavera intrattiene un’altra relazione, che si potrebbe definire di causa-effetto : nell’ultima stagione dell’anno, infatti, a sinistra e in bella evidenza, è rappresentato proprio quel serpente che è assente nella stagione inaugurale20.

A questo punto, però, per dare un significato al tutto, è necessario riconsiderare il testo della Genesi. Nell’ottica di noi moderni, la lettura del racconto biblico lascia facilmente spazio a un incalzante interrogativo. Per Adamo ed Eva la vita inizia dentro o fuori dal paradiso terrestre ? In altri termini, ha ragione Dio quando, imponendo ai progenitori di non mangiare dell’albero della conoscenza prefigura la loro morte ? Ha ragione il serpente quando, all’opposto, prevede per i disubbidienti, la possibilità di maggiori conoscenze ? Adamo ed Eva trasgredendo agli ordini divini, entrano nella vita mortale. Connaturati in essa sono l’inganno e l’evoluzione temporale : fattori che nella vita mortale daranno libero sfogo all’interrogazione sul senso. La monotonia del paradiso terrestre, ossia dello stato edenico eterno escluderebbe, infatti, ogni possibile percorso di senso, se è vero che il senso è trasformazione del senso dato. Al di fuori dell’assoluto presente del giardino delle delizie, la vita diventa così vita che si consuma nella ciclicità della natura.

L’ironia con cui interpretiamo il racconto biblico potrebbe essere la stessa con la quale Poussin, dopo il diluvio universale (Inverno), ci fa approdare sulle rive del paradiso terrestre (Primavera), esattamente nel momento antecedente a quello in cui dobbiamo andarcene. Il peccato originale, infatti, è sul punto di compiersi e Dio, in alto, indica verso l’orizzonte. Ma in Poussin, come si è visto, il Dio che caccia dall’Eden i peccatori è un Signore che addita la luce : come a dire che il paradiso terrestre è meta di un eterno ritorno in cui non ci si ferma, ma si è solo di passaggio. E allora, in questa lettura il paradiso terrestre, perdendo l’identità biblica, diventa l’equivalente della bella stagione, della primavera, appunto. Di qualcosa di destinato a durare non in eterno, bensì per un tempo determinato, che però si ripete ciclicamente.

Ed è solo così che le potenzialità narrative interne al racconto biblico vedono proprio nel serpente l’elemento chiave. Non a caso, assente nel paradiso, esso striscia sulla roccia a sinistra dell’Inverno, cioè nel momento del dispiegarsi delle forze avverse della natura. In definitiva, è proprio grazie al serpente (simbolo del rinnovamento ciclico) che Eva mangerà il frutto proibito, affinché - dopo l’ira di Dio che con il cataclisma vorrebbe cancellare l’uomo dalla faccia della terra - tutto possa ricominciare. Vale a dire che se Dio firma la cacciata, e la Primavera è il suo regno, il serpente ancor più che la fine della beatitudine, firma l’inizio della vita più infima per l’uomo.

In quest’ottica, il « paradiso terrestre » come ciclicità, come eterno ritorno, nella configurazione pittorica di Poussin, pur proponendo un’ambientazione in un evidente spaccato di paesaggio, conserva i confini del « giardino » : essi coincidono con l’inizio degli altri « quadri ».

Note de bas de page 21 :

Cfr. Leonardi 2003, p. 17-19.

In questa ricostruzione visiva sul paradiso, portata avanti necessariamente per sondaggi, uno sguardo al Giardino dell’Eden e alla Cacciata dal giardino di Eden entrambi realizzati Thomas Cole tra il 1827 e il 1828, permette di allargare gli orizzonti verso un ambito geografico quale quello americano, considerato fin dalla sua scoperta una sorta di naturale Eden, nonché la nazione per eccellenza delle grandi estensioni paesaggistiche21 (fig. 9-10).

Nel primo dipinto, Adamo ed Eva in miniatura e con le braccia sollevate, sono situati sulle rive di un corso d’acqua. Il paesaggio che li circonda e sovrasta è lussureggiante, con un’infinità di tipi di alberi e di fiori, tutti resi nel culmine della loro fioritura, del loro massimo rigoglio. Uno squarcio paesaggistico con una considerevole estensione in profondità, chiuso da un’alta montagna che fa da vera e propria quinta. Anche qui, esattamente come in Poussin e in altre rappresentazioni, la resa della profondità spaziale del paesaggio inquadra anche il piano di osservazione, il luogo più prossimo allo spettatore, che in precedenza è stato quello del pittore. E anche qui come nel Paradiso terrestre dell’artista francese, l’impossibilità di sfuggire al filtro enunciazionale si evidenzia nella zona orizzontale in primo piano più in ombra, nel ramo nodoso del possente albero a destra, e negli arbusti a sinistra, anch’essi decisamente meno in luce.

Fig. 9 Cole Giardino dell'Eden

Fig. 9 Cole Giardino dell'Eden

Fig. 10 Cole Cacciata dal Giardino dell'Eden

Fig. 10 Cole Cacciata dal Giardino dell'Eden

Questa stessa ombra segmenta, addirittura articolandola in due settori ben distinti, la Cacciata dal paradiso, l’altro quadro di Cole che entra in uno stretto rapporto con il Giardino dell’Eden e nel quale, come lo stesso titolo informa, gli antenati sono già fuori dai suoi confini. Essi si trovano, infatti, in una zona di natura rocciosa, arida e praticamente tutta in ombra : un’intensa mancanza di luce che risalta ancora più forte per l’effetto di contrasto che crea con l’abbagliante luminosità dello scorcio di paradiso che si vede a destra sullo sfondo e con i lucenti raggi del cherubino custode delle porte.

L’osservazione simultanea di queste due tele permette di constatare che il paradiso è « circondato » da quello che potremmo definire il « mondo altro », il luogo dove gli uomini saranno obbligati a vivere dopo l’espulsione. Di conseguenza, nel caso qui preso in considerazione, il tutto sembra configurarsi come un luogo luminosissimo (paradiso) inglobato da un luogo in ombra (resto del mondo) e, in termini pittorici, l’osservatore è invitato a considerarne concretamente i confini, dal momento che basta uno spostamento, un cambiamento di punto di vista per essere inghiottiti dall’ombra, ed entrare nell’« antiparadiso ». Ancora una volta, con una conformazione morfologica diversa dalle precedenti, la contestualizzazione paesaggistica del paradiso terrestre non sa/non può rinunciare ai confini. E nello specifico di queste due tele attesta, un po’ come nella quadrilogia di Poussin, la transitorietà e la fugacità dell’età dell’oro. In qualche modo, sono i confini a semantizzarla dal punto di vista dell’osservatore umano e terreno.

E in fondo, questa nostra considerazione sembra trovare una conferma nell’ultimissimo esempio che proponiamo. Sebbene sia stato realizzato prima di quelli di Thomas Cole, la rottura cronologica è motivata dall’eccezionalità : è, infatti, un paradiso terrestre dipinto sul pavimento della chiesa di san Michele ad Anacapri (fig. 11).

Fig. 11 Chiaiese Paradiso terrestre

Fig. 11 Chiaiese Paradiso terrestre

Eseguito da Leonardo Chiaiese (quasi sicuramente su cartoni di Giuseppe Sanmartino), nel 1761, è composto da mattonelle maiolicate (le « riggiole » napoletane) di venti centimetri per lato. Questo « tappeto » di ceramica, che segue la composita planimetria della chiesa, propone, pressoché al centro, l’implacabile arcangelo che scaccia Adamo ed Eva, al di sopra del quale è rappresentato l’albero della conoscenza con il serpente tentatore attorcigliato intorno al tronco. Tutta la scena è ambientata in una veduta di paesaggio con abbondanti corsi d’acqua e con una ricca vegetazione, culminante in un cielo tempestato di stelle (anche se l’illuminazione generale è diurna). Lungo il percorso naturale si radunano tutti gli animali del paradiso, da quelli domestici a quelli selvatici, che assistono a quanto sta accadendo e che - aspetto veramente intrigante - hanno in parecchi casi caratteri umani : l’occhio e l’orecchio dell’elefante e in generale gli occhi di molti altri animali sembrano essere più vicini a quelli degli esseri umani.

Note de bas de page 22 :

« Maledetto sia il suolo per causa tua!/Con affanno ne trarrai nutrimento,/per tutti i giorni della tua vita./Spine e cardi farà spuntare per te,/mentre tu dovrai mangiare/graminacee della campagna./Con il sudore della tua faccia mangerai pane,/finché tornerai nel suolo,/perché da esso sei stato tratto,/perché polvere sei e in polvere devi tornare./L’uomo diede a sua moglie il nome di Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi./E il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie delle tuniche di pelli e li vestì./E il Signore Dio lo mandò via dal giardino di Eden, per lavorare il suolo donde era stato tratto ».

Innanzitutto è interessante notare che questa resa visiva dell’Eden dispone ancora di confini, esattamente quelli della stessa chiesa, entro i quali però, e a differenza di tutte le precedenti rappresentazioni paradisiache, lo spettatore/fedele non è segregato nell’esclusivo ruolo di osservatore. Anzi, qui egli è addirittura obbligato a « percorrerlo », dal momento che il paradiso coincide esattamente con il piano di calpestio della chiesa, che si articola in un vestibolo e in un vano ottagonale. Da un certo punto di vista, un modo per attualizzare una pratica propria del giardino, quella del percorrere, del passeggiare22 ; e da un altro, di rimarcare l’idea che il paradiso è sempre un luogo con confini in qualche modo delimitati, siano essi spaziali e/o temporali.

Ma, più in generale, cosa significa per il fedele « passeggiare » nell’Eden ? Cosa significa percorrere uno spazio nel quale hanno soggiornato solo i primi uomini ? Uno spazio che qui coincide pienamente con la chiesa, per eccellenza il luogo di manifestazione della fede in un mondo altro. Per tentare una spiegazione, è necessario recuperare il simulacro del tragitto che dovrebbe percorrere il fedele. Entrando nel luogo sacro, lo spettatore è accolto dapprima, nel vestibolo, da una scena idilliaca, con i tranquilli e familiari animali domestici (pecore, capre, mucche, ecc.) ; man mano che procede incontra il mitico liocorno (affiancato dall’orso e da una scimmia), poi i peccatori e un’infinità di altri animali e uccelli appartenenti a mondi meno conosciuti, fino a « calpestare », nella zona più vicina all’altare maggiore, ed esattamente al centro della chiesa, l’albero con il serpente. Calpesta, cioè, il diavolo tentatore : il responsabile principale della fine/ » cancellazione » del giardino delle delizie. E il percorso dell’osservatore raggiunge così l’altare maggiore, con il tabernacolo dove è custodita l’ostia consacrata, il corpo di Cristo, il figlio che Dio ha mandato sulla terra per redimere l’uomo proprio da quel peccato originale nel quale l’umanità si trovava fin dal tempo del fallo commesso dai nostri progenitori.

Al termine di questo tragitto è emersa una constatazione che se da un lato individua una caratteristica costante del paradiso terrestre, dall’altro sembra rilanciare una problematica già enunciata, ma che abbisogna ancora di attenzione.

Come abbiamo visto, anche quando, in un preciso momento cronologico, i confini del paradiso terrestre oltrepassano quelli propri della dimensione giardino, quando cioè l’ambientazione entro cui hanno vissuto i primi uomini valica gli spazi racchiusi e opta per una più o meno ampia visione paesaggistica, il confine del giardino delle delizie, in forme variabili, attesta sempre la sua presenza.

Note de bas de page 23 :

Riprendo questa definizione da Girardi 2005, p. 33. Per la teoria dell’autonomizzazione del genere paesaggio nel Seicento, cfr. Stoichita 1993 e per l’analisi di un quadro paesaggistico notturno cfr. Corrain 2004.

Più precisamente, tale confine è, almeno fino al paesaggio ottocentesco, parte integrante della messa in rappresentazione del paesaggio, che non riesce a sfuggire al vaglio enunciazionale all’origine del dipinto stesso, non può cancellare le marche dell’inquadratura dalla quale ha avuto luogo la stessa osservazione. Insomma, dal momento che la veduta paesaggistica nasce a partire da una « cornice genitrice »23, questa viene a caricarsi, nel singolare ed esclusivo contesto del motivo iconografico del paradiso terrestre, del valore di confine che lo circoscrive dalla parte dell’osservatore. Una componente propriamente metapittorica, che congiungendosi con questo specifico motivo iconografico, dà vita a un elemento fortemente significante nell’economia dello stesso Eden. E parallelamente una proprietà che rimette in campo una questione di fondo. Se è vero che nella sua resa pittorica, il giardino delle delizie è connaturato alla presenza di confini più o meno decisi, perché nel corso del tempo il giardino (chiuso) viene sostituito dal paesaggio (aperto) ?

Note de bas de page 24 :

Oltre alla chiusura, un’altra caratteristica saliente del giardino è quella della sua strutturazione interna ; la bibliografia al riguardo è vastissima, ci limitiamo a segnalare Zangheri 2003. Per la problematica delle delimitazioni dei giardini cfr. anche Acidini Luchinat, Galletti, Giusti, 1996.

Una possibile, nonché parziale, risposta può essere individuata sia nelle trasformazioni pittoriche della resa spaziale sia in quelle degli stessi giardini. Il paradiso terrestre del medioevo riflette una logica che, per certi versi, è analoga a quella della città ; entrambi giardino e città sono circondati dalle mura e isolati da uno spazio altro. Lo spazio inglobato è quello fruibile e organizzato, al contrario di quello inglobante esteso, parzialmente fruibile e disordinato. E la traduzione in pittura di uno spazio mai conosciuto e mai visto, ma che nell’immaginario risponde a componenti di equilibrio e armonia, deve necessariamente sottomettersi alla forma giardino, appunto l’unica organizzata. Successivamente, in parallelo all’ampliarsi della conoscenza del mondo, in ambito espressamente pittorico la prospettiva trasformerà la resa dell’organizzazione spaziale. Il continuum spaziale, anche naturalistico, non troverà più una forma di segmentazione nella recinzione, nella delimitazione murata, ma nella strutturazione geometrica dello spazio, la quale a partire da un punto di vista (quello dell’uomo ?, di Dio ?, di tutti e due ?) organizzatore, commisura il mondo anche nella vastità della lontananza. Un sistema di traduzione della volumetria sulla bidimensionalità della superficie pittorica, contemplante nel suo stesso ordito l’idea dell’infinito, che si incarna nell’orizzonte, in quella linea di accoglienza del punto di vista/punta di fuga senza la quale non esisterebbe nessun paesaggio. Nonostante il paesaggio nei paradisi terrestri qui presi in considerazione, non possa negare le « cornici genitrici » dell’atto di produzione, manifesta sempre l’idea di una natura nella quale l’uomo non sembra avervi messo mano. A differenza dell’ambientazione nel giardino, il paradiso terrestre paesaggistico, infatti, maschera il carattere di costruito, di artefatto umano che le mura o ogni altra forma di confine necessariamente gli conferivano, nonostante al suo interno l’organizzazione naturalistica non sia mai stata di tipo strutturato e geometrico24.

Un più diretto rapporto con l’osservatore si viene a creare ora con la rappresentazione « moderna » della natura specie quella allo stato eccelso. E le forme attraverso cui il paradiso paesaggistico si dà diventano pertinenti in riferimento non più alla simmetria interna delle cose presenti nel giardino, ma piuttosto in riferimento alla sintassi sensoriale (Fontanille 2003) che l’immagine della natura paradisiaca attiva sull’osservatore. Non a caso è proprio in ambito prospettico che sorgono osservazioni sulle possibilità curative del paesaggio, in particolare del paesaggio primaverile o paradisiaco :

La vista di fontane e ruscelli dipinti darà maggior sollievo a chi è affetto da febbre. È facile farne esperienza : se una volta, di notte, sei a letto cercando invano di dormire, prova a rievocare con la fantasia le acque limpidissime, che ti sia accaduto di vedere, d’una fontana o di un ruscello o di un lago, e subito il senso di arsura di quella veglia scomparirà, lasciando il posto al sopore finché cadi dolcissimamente nel sonno (Alberti 1486, p. 804-806).

Un passo che Leon Battista Alberti fa precedere da considerazioni più generali sulla pittura di paesaggio : gli « animi » dell’osservatore « sono maggiormente deliziati dalla visione di dipinti che rappresentano la campagna amena, i porti, scene di pesca, di caccia, di nuoto, di gare agresti, con foglie, con fiori » (ibid).