Semiotica dello spazio e semantica storica del giardino: esplorazione di metodo e note per una ricerca

Pierluigi Basso Fossali 

https://doi.org/10.25965/visible.290

Sommaire
Texte intégral

1. La significazione dello (e nello) spazio

1.1. Una cartografia diagrammatica del valere

Note de bas de page 1 :

Si rinvia a Bertrand (1985) e Fontanille (1999).

Note de bas de page 2 :

Naturalmente lo stesso può essere detto della temporalità e dell’attanzializzazione rispetto alla spazialità : la significazione si interroga solo a regime e non può risalire al di qua di se stessa senza perdere contatto qualitativo con il senso stesso. Riconosciuto ciò, si potrà assegnare alla spazialità, in seconda battuta, un apporto del tutto sui generis alla significazione.

Assumere come spettro investigativo la determinazione spaziale dei valori significa non solo affrontare l’accoppiamento tra dimensione enunciata dello spazio appreso e dimensione enunciazionale dello spazio fenomenologico in cui si inscrive ogni valorizzazione1, ma operare una riduzione prospettica sulla costituzione di un orizzonte figurativo significante. È ben chiaro, infatti, che alla diagrammatica spaziale dei valori si associa sempre e inevitabilmente una diagrammatica temporale (per esempio, in termini di antecedenza, contemporaneità, successione) ; per di più, ogni valore spaziale e temporale non accede al valere se non in funzione dell’attanzializzazione di uno scenario fenomenologico. Affinché si stagli uno scenario semantico, è necessario che all’asimmetria di posizioni topologiche e di stadi temporali si possa associare un’asimmetria di carichi modali, ossia di attribuzioni/assunzioni dei valori. In questo senso, anche lo spazio fenomenologico è una costituzione percettiva che è significante proprio perché costituita all’insegna della temporalizzazione e dell’attanzializzazione. Non si costituirebbe un dominio interocettivo ed esterocettivo senza un confronto polemologico frutto di un minimo di attanzializzazione (un corpo che fa fronte a un sistema di forze) e non vi sarebbe la possibilità di discriminare una prossimalità da una distalità delle relazioni senza la temporalizzazione delle connessioni attanziali che istituisce una divaricazione di modi di esistenza, per cui anche ciò che è assente è valente per ritenzione di una presenza trascorsa o per prefigurazione di una presenza a venire. In definitiva è impossibile costruire una determinazione della spazialità significante in modo autonomo2. Oltre tutto, al carattere spurio di una semiotica dello spazio si deve aggiungere la sua variegata costituzione polisensoriale secondo campi sensoriali che decidono della circolazione dei valori e della loro valenza.

Note de bas de page 3 :

Usiamo il termine esistentivo per demarcarne l’emancipazione da un quadro ontologico. La stessa esistenza del mondo è un piano significante di sussistenza delle cose costituito in ragione di una com-presenza e di una accoppiamento di memorie soggettali e oggettali.

  1. Se la condizione di accesso alla significazione è l’attanzializzazione significa che essa è istitutrice delle valenze, cosa che chiarisce immediatamente come la semantica e la sintattica profonda del percorso generativo greimasiano siano in realtà il frutto di una prospettiva tutt’al più archeologica ed elettiva, ma pur sempre generativamente seconda.

  2. Il carattere congiunturale delle articolazioni semiotiche, rispetto a una prospettiva di semantizzazione specifica, comporta che l’obiettivazione di una diagrammatica del valore, da una parte, e l’assunzione soggettale di una determinazione di valenze, dall’altra, si diano in realtà come un accoppiamento di determinazioni bilaterali, vale a dire dipendenti tanto dal corpo percipiente quanto dal mondo-ambiente.

  3. Alle valenze esistentive3, elaborate per la stessa pregnanza dualistica del confronto interattanziale, si aggiungono sempre delle valenze terze che dipendono dalla prospettiva asimmetrica di ogni semantizzazione, dato che questa è necessariamente mediata dalla competenza modale dell’attante enunciatore.

Note de bas de page 4 :

Cfr. Fontanille (2003).

È proprio tale asimmetrizzazione competenziale che traduce la bilateralità delle determinazioni in un doppio scorrimento del percorso generativo del senso, il quale deve essere pensato come costitutivamente correlato all’articolazione congiunturale di un piano dell’espressione e di un piano del contenuto. Quando i valori sono ricondotti alla topologia delle loro relazioni, abbiamo un quadro di salienze diagrammatiche localizzate e assunte come valenze a partire da un punto di vista che si trova una competenza assegnata: in questo caso, si staglia un dominio d’esperienza4 (lo spazio è allora condizione di emergenza dei valori percepibili). Quando i valori dipendono dalla messa in gioco di un piano fittivo che si modella sulla base di un’assiologia e un quadro di relazioni convenzionali, ecco che abbiamo un quadro diagrammatico di significazione pregnante che media e riarticola le salienze percepibili (in tal caso, si tratta di uno spazio enunciato dipendente da un gioco linguistico, all’interno di ciò che con Fontanille potremmo chiamare un dominio d’esistenza).

Note de bas de page 5 :

Peirce, Collected Papers, 4.549.

Note de bas de page 6 :

Ci permettiamo di rinviare a Basso (2002, cap. 7).

Il problema specifico della significazione antropica è che questi due domini di articolazioni semiotiche – in base ai quali lo spazio è contemporaneamente una rete di relazioni salienti assunte e una rete di relazioni pregnanti proiettate - sono colti da una osservazione di secondo ordine (interpretazione) la quale gestisce la significazione mediante una pluralizzazione degli accessi al senso. Ecco allora che ogni costituzione pertinenziale di uno spazio sarà a sua volta messa in prospettiva secondo delle valenze specifiche (diagrammatiche, esistentive e convenzionali), così come, a loro volta, le valenze saranno messe in prospettiva secondo la gestione del senso propria della pratica in atto (possibilità, attualità e destinalità5). Con ciò siamo giunti a una qualche ricomposizione di un quadro teorico unitario tra semiotica generativa e semiotica interpretativa. I movimenti interpretativi sono un quadro di ribattimento incrociato tra prospettive di semantizzazione, per cui possiamo vedere i percorsi generativi e bilaterali del senso (rispettivamente sotto il regime di esperienza o di esistenza) all’insegna del musement peirciano, che è poi il superamento stesso dell’inferenzialismo logico : vale a dire, il regime della significazione antropica si pone come la gestione comune (e finanche la modellizzazione reciproca) dei materiali più eterocliti : percetti, ricordi, prefigurazioni, ecc6. Dall’altra parte, la prospettiva greimasiana consente di cogliere i regimi di semantizzazione e le osservazioni di secondo ordine sulla significazione come interne ai territori stessi dell’enunciato ; ecco che l’enunciazione enunciata si palesa come una gestione di valenze (diagrammatiche, esistentive e convenzionali/mediazionali) che opera per declinazione figurativa, asserzione e assunzione dei valori.

L’asimmetrizzazione dei fronti interattanziali (soggettale/oggettale), costruita dall’iniziativa enunciazionale, si fonda sulla tensione tra assunzioni - che articolano valenze sulla base di paesaggi di forme costituibili - e delegazioni - che costruiscono, sulla base della fungibilità dei materiali esperibili, dei mondi enunciati fittivi. In definitiva, non esistono che concatenazioni di assunzioni, delegazioni e ri-assunzioni. Il regime interpretativo della significazione antropica innesta, infatti, una demoltiplicazione degli accessi al senso ; in particolare, le osservazioni di secondo ordine sulla significazione comportano :

  1. una risoluzione dei locali ammanchi di senso in termini di retroduzione (riconduzione) di un « progetto per proiezione » (delegazione) a una « diagrammatica del valere » (assunzione), come nel caso, per esempio, dell’emozione (cfr. Basso, 2006b) ;

  2. un portato eteroreferenziale del piano di delegazione verso il dominio d’esperienza; infatti, al superamento delle condizioni di presenza sensibile dei valori - in virtù della loro traducibilità in un campo fittivo di operazioni discorsive - corrisponde una rimodellizzazione delle valenze esperibili.

In pratica, le condizioni del valere dei valori enunciati sono correlative delle condizioni di enunciazione del valevole. Non abbiamo allora che concatenazioni di semicircuiti « assunzione-delegazione », enantiomorfi e sfalsati. Infatti, i regimi di valorizzazioni non costituiscono una catena, dato che non si inanellano : ogni semicircuito di semantizzazione è, infatti, separato da uno iato mediazionale e da una torsione enunciazionale, ossia da una lacuna tra esistenza ed esperienza che solo la narrativizzazione può cercare di suturare. Da questo schema si evince, se non altro, la demoltiplicazione degli accessi al senso propria dell’ecologia semiotica antropica.

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A : assunzioni            D : delegazioni             I : interpretazioni
Esp : dominio d’esperienza             esi : dominio d’esistenza
I1→I: narrativizzazione
M→A : attante di controllo nella costituzione di un piano d’esperienza saliente
M→D : attante di controllo nella costituzione di un piano d’esistenza pregnante
↓ prospettiva epistemologica di una semiotica dell’esperienza
↑ prospettiva epistemologica di una semiotica del testo
↘↗↘↗ prospettiva di una semiotica delle pratiche
* Lo spessore dei semicerchi indica come la correlazione espressione/contenuto sia presente per ogni transizione da assunzione a delegazione e viceversa, e come tale transizione sia sempre sottesa da uno spazio.
** La parte superiore e la parte inferiore dello schema non rilevano affatto di un dominio sensibile e di un dominio intelligibile, ma indicano semplicemente l’imputazione di un radicamento delle valenze (in atto o in memoria), e la dissimilazione tra stadi della soggettivazione del valore (percetti, affetti, concetti, ricordi, ecc.). Il continuo passaggio dell’interpretazione narrativa da un campo di imputazione all’altro indica una gestione delle valenze del tutto sottratta a un mero inferenzialismo (è il musement peirciano).
*** L’enantiomorfismo tra parte superiore e parte inferiore indica come il ritmo della semantizzazione si esplichi sempre in una pulsazione tra retroduzione affettiva del progettare e iniziativa di rimodellizzazione del sentire.
**** L’oscillazione tra regimi monoplanari e biplanari della significazione è ripensata come continua e ritradotta in termini di poliritmia della sintassi esperienziale/esistenziale (assunzioni/delegazioni).
***** L’enunciazione linguistica è definita da almeno una concatenazione ADA / DAD e, in quanto enunciazione narrativa, essa prevede, per trasposizione discendente dell’interpretazione (I⇘), eredità di valenze (diagrammatiche, esistentive e convenzionali) in discorso e, per trasposizione ascendente (I⇗I), quadri epistemici delle valenze (possibili, attuali, destinali) trattate nelle prassi.

1.2. Configurazione e semiosfera

Siamo partiti dall’idea che la determinazione spaziale dei valori è inevitabilmente dipendente da una visione riduzionistica e siamo giunti fino a un duplice ancoraggio delle valenze rispetto a un dominio d’esperienza e a un dominio d’esistenza. Se ci domandiamo, rispetto alla trattazione precedente, quale sia il ruolo giocato specificatamente dallo spazio nell’ecologia della significazione, ebbene esso appare strettamente legato alla determinazione configurazionale degli scenari valoriali. Non c’è dubbio che l’aspetto configurazionale sia altrettanto importante di quello più strettamente narrativo, connesso all’esperienza temporale.

Ora, la configurazione non può essere ridotta a mereologia, e quest’ultima non si pone al di qua di una articolazione semiotica ; come ricorda Nelson Goodman (1951), non si possono identificare entità distinte senza opposizioni di contenuto. La relazione delle parti con un intero si pone, tra l’altro, come una prospettiva di semantizzazione certo discernibile, ma in ogni caso articolata con quella topologica (la presenza di un’entità dentro a un’altra non significa affatto che la prima sia parte della seconda). Le connessioni topologiche tra entità costruiscono una rete di relazioni qualitativamente competitiva rispetto alla proto-attorializzazione della mereologia (le parti divengono dei proto-tratti figurativi del tutto). Le modellizzazioni topologiche e mereologiche sono proto-figurative nel senso che individuano delle relazioni diagrammatiche, ossia un sistema di posizioni correlate (differenziali e gerarchizzate), ma ancora vuote di valenze narrative. La configurazione ha tuttavia una dinamica e una sostanza morfologica irriducibile a topologia e mereologia ; di fatto, solo quando reinnestiamo il livello morfodinamico la descrizione dello spazio rinviene quel paesaggio inter-attanziale che si pone alla base dell’orizzonte figurativo delle relazioni valevoli (ossia dotate di una costituzione asimmetrica e di carichi modali specifici). In tale prospettiva appare chiaro che la protofiguratività della mereologia non è affatto connessa a una antecedenza, a un percorso generativo che la colloca a monte dell’emergenza morfologica. Al contrario, la mereologia è costituzione tensiva e distribuzione moltiplicativa di ruoli protoattoriali (cosa che ne precisa la totale irriducibilità a una teoria degli insiemi).

A lato, si deve ricordare che la mereologia intesa in senso brentaniano, o comunque fenomenologico, non attiene esattamente alla relazione tra le parti e il tutto, ma alla tensione tra costituzione di una datità e tematizzazione delle proprietà che essa può esemplificare. Essa ci ricorda, per esempio, come la lettura plastica non possa mai sganciarsi da un piano figurativo di radicamento (contrasti cromatici sono sempre e necessariamente esemplificati da un piano di occorrenze figurative). Tra la Terza Ricerca logica e Le lezioni sulla sintesi passiva, Husserl estende e generalizza la soggiacenza delle costituzioni di datità all’interesse tematico. Ora, non solo ciò sembra prospettare una de-ontologizzazione delle datità significanti (al di là della doppia dipendenza della costituzione sensibile - il mondo-ambiente è un substrato che si offre e nel contempo si impone alla/sulla sua determinazione percettiva), ma può infine condurre, per via di una generalizzazione, a una concezione dello spazio che lo vuole determinabile solo sotto l’egida di un minimo di attanzializzazione. Se da una parte ciò consente una trattazione della spazialità secondo i diversi campi sensoriali che lo costituiscono (vedi prossimo paragrafo), dall’altra tale riflessione può finire col ridurre la relazione tra lo spazio e gli enti che lo abitano a un rapporto metonimico e quindi nuovamente « solo » mereologico. L’attanzializzazione sarebbe solo questione di taglia e lo spazio di per sé non sarebbe null’altro che una totalità partitiva o integrata con cui ci si confronta. In realtà, non basta rivendicare lo spazio come cartografia diagrammatica del valere rispetto ai valori costituibili, e neppure sottolineare la complessa relazione tra mereologia, topologia e morfologia. C’è ancora un residuo di analisi nella significazione dello/nello spazio, qualcosa che ha a che fare con la trasformazione orientata dei valori, ossia con il senso. L’ecologia semiotica ha una dipendenza spaziale specifica che non può essere ridotta al solo aspetto configurazionale. Lo spazio non è solo un vasto orizzonte inter-attanziale, ma registra ogni posta di significazione secondo una regionalizzazione dell’operabile. Ora, se una semiotica dell’esperienza ci permette di cogliere la spazialità come istituita secondo diversi campi sensoriali, se una semiotica del testo ci consente di cogliere come ogni spazializzazione di valori possa essere assunta quale piano di espressione fittivo di un piano di contenuti discorsivi, solo una semiotica delle pratiche potrà rendere conto della relazione tra spazialità e forme di vita. È bene chiarire che a questo livello non si tratta affatto di ribadire una topica narrativa (spazi eterotopici, utopici, paratopici, ecc.), già ampiamente evidenziata negli studi semiotici, né – come dicevamo – di esplorare l’attanzializzazione dello spazio. Al di là della distinzione tra spazio esperienziale e spazio fittivo dei giochi linguistici, dei domini d’esperienza e d’esistenza, lo spazio vissuto, implicato nell’omogeneizzazione semiotica tipica del musement, registra quella che Eugène Minkowski (1933, p. 373) chiamava l’« ampiezza della vita », ossia la semiosfera di valori operabili e operativi (così definibili in ragione della doppia dipendenza delle determinazioni semantiche, e quindi in virtù tanto della loro trasformazione, quanto del loro potenziale trasformazionale). Ora, la messa in opera dello spazio significante ha bisogno di una distanza critica e di una riserva valoriale. L’operabile ha bisogno dello sfondo del non operato, nonché della fluttuazione di determinazioni offerta dal caso, per darsi come quadro di creatività degli interventi. Parallelamente, l’operativo è tale solo se ha come sfondo tanto l’inattivo quanto delle determinazioni accidentali, cosa che gli consente di offrirsi come orizzonte pratico vigente.

Se ancora una volta temporalizzazione e attanzializzazione si intrecciano ineludibilmente con la spazializzazione, troviamo qui la possibilità di evidenziare il ruolo di quest’ultima all’interno di una semiotica delle pratiche. Se lo spazio, in quanto riserva distributiva di iniziative, si satura di istanze operative, l’attante-osservatore percepisce un’asimmetria modale insostenibile : lo spazio diviene unilaterale manipolatore che dissolve l’operabile. Se lo spazio, in quanto distanza critica, collassa divenendo un’immensa protesi per il soggetto, costui manca di un orizzonte operativo saliente che renda pregnante il suo intervento. Lo spazio è allora ambiente semiotico di delegazioni/assunzioni (semiosfera) che richiede a) un’asimmetrizzazione nell’iniziativa, b) una tensione tra zone di mobilitazione e zone di giacenza di valori, c) un’aspettualizzazione prossimale/distale delle relazioni inter-identitarie.

1.3. Aspettualizzazione e parametrazione dello spazio

Questo paragrafo sarà necessariamente schematico e apodittico ; esso si basa su una rapida e semplificata conversione dell’elaborazione teorica di Figure del corpo di Jacques Fontanille e si limita a trattare qualche tipo di aspettualizzazione dello spazio rispetto alle tante che possono essere individuate.

Cogliere lo spazio come un orizzonte figurativo e quindi come un quadro di relazioni inter-attanziali, significa immediatamente pensarlo non come datità ontologica, ma come cartografia diagrammatica del valere dipendente sia dai fronti identitari « incorporati » e contrapposti, sia dalla modalità di circolazione dei valori sensibili.

Anche la morfogenesi dei corpi, intesa come costituzione e stabilizzazione locale di un incontro tra materia ed energia, è colta non come un processo ontologico, bensì come la determinazione di una memoria figurativa significata dall’esistenza semiotica di un attore. Allo stesso modo, la risoluzione figurativa di un corpo potenziale è data dalla sua determinabilità mereologica. La competenza di un attore viene evinta da un quadro topologico di relazioni antagonistiche con un altro attore e relata all’attualizzazione di una dinamica cinestetica e di una rete cenestetica, le quali mettono in campo due forme topiche dell’attanzializzazione corporale (la carne e l’involucro). È soltanto la presa di iniziativa a sigillare l’autonomia del corpo e il dualismo identitario tra un sé-idem e un sé-ipse.

L’ecologia della percezione, avendo di mira la stabilizzazione di un quadro figurativo (mondo-ambiente), istituisce un regime di determinazioni (realizzazione) di identità corporali, e quindi attoriali. Tuttavia, la semiosi percettiva in atto si produce a forza di attanzializzazioni di corpi, regionalizzando i confronti (topica corporale) e stratificando le costituzioni sensibili per campi sensoriali dissimilabili, ma potenzialmente indipendenti dai canali modali localmente attivati (uditivo, visivo, tattile, ecc.).

Note de bas de page 7 :

Rinviamo alla conclusione del paragrafo precedente.

La spazialità esperienziale viene categorizzata, dunque, sia secondo una sintesi ecologica delle identità relate, sia attraverso un’analitica evenemenziale, sia in ragione di una diagrammatica astratta. Tale categorizzazione è funzione del processo di spazializzazione dei valori : la configurazione è sempre una costituzione. Ma parlare di spazializzazione dei valori non significa ancora aver fatto luce sulla semantica dello spazio, la quale – come detto – si radica nell’« ampiezza di vita », ossia in un fascio asimmetrico di valorizzazioni7. Ciò significa che la spazialità ecosemiotica è dipendente da un sistema di regionalizzazioni dell’operabile/operativo (campo ad incassamenti) che si reclama alla formazione di campi sensoriali di secondo o terzo grado (Fontanille 2004, p. 169), del resto gerarchizzati tra loro proprio in funzione di un’aspettualizzazione e di una valorizzazione asimmetrica.

Note de bas de page 8 :

Cfr. Fontanille (2004, p. 157-160).

Se prendiamo allora l’ancoraggio deittico offerto dal corpo proprio in quanto corpo-punto (topica) e lo mettiamo in connessione con un campo sensoriale reciproco8, otteniamo una forma di aspettualizzazione spaziale stabile dell’operabile/operativo.

valenze diagrammatiche*

sovrapposizione

contiguità

dispiegamento

estremità

valenze esistentive

collimazione

adiacenza

profondità

orizzonte

valenze simboliche

spazio identitario

spazio transizionale

spazio prossimale

spazio distale

* Lungo tutto il testo il lettore potrà reperire in controluce una rilettura della tipologia dei segni elaborata da Peirce ; per ragioni di spazio dobbiamo qui rinviare a Basso (2006a). Ci limitiamo a riportare lo schema che sta alla base di tale rilettura :

prospettive sulle valenze

dipendenti dalle →

tre categorie cenopitagoriche

Primità

(valenze diagrammatiche)

Secondità

(valenze esistentive)

Terzità

(valenze mediazionali)

configurazione

(diagramma)

qualisegno

sinsegno

legisegno

prodotto

icona

indice

simbolo

membro di una memoria culturale

(discorso)

rema

dicisegno

argomento

costituzioni

pertinenziali

del segno

Se assumiamo invece la cinestesia del corpo-carne e la mettiamo in connessione con un campo sensoriale intransitivo, abbiamo, per esempio, una diagrammatica del limite, una analitica esistentiva del termine e una ecologia simbolica del confine ; se la mettiamo in connessione con un campo sensoriale transitivo abbiamo una diagrammatica della bordura, una analitica della soglia e una simbolica della frontiera. In apparenza abbiamo solo una tensivizzazione, rispettivamente, dell’estremità e della contiguità ; in realtà, abbiamo un sistema di incassamenti, e quindi di aspettualizzazioni e valorizzazioni identitarie alquanto diverse. Lo stesso può essere detto riguardo alla messa in tensione del dispiegamento ; se assumiamo la cinestesia del corpo-carne e la mettiamo in connessione con un campo sensoriale interno, oppure esterno o ancora reciproco abbiamo una diagrammatica del dispiegamento passibile di diverse attanzializzazioni e quindi di differenti valenze (dal penetrabile/impenetrabile, al livellato/striato fino al liscio/ruvido, ecc.). Se assumiamo la cenestesia del corpo-involucro e la mettiamo in relazione con un campo sensoriale ricorsivo, ecco che avremo spazi aderenti o inaderenti (forma), inglobanti o meno (contenente), aperti o chiusi (filtro).

Il raddoppiamento nella convocazione di istanze corporali e campi sensoriali può apparire un’inutile complicazione teorica fintantoché non ci si misura con la natura specifica dell’interpretazione, con il raddoppiamento prospettico sulle valenze (assunte, delegate) e dei domini di afferimento (esperienza, esistenza). Dalla morfodinamica all’operabilità/operatività dello spazio, tutto sembra mostrarci la correlazione tra dimensioni spaziali di cui l’una è lo sfondo prospettico dell’altra, e ciò in virtù di una asimmetrizzazione tra sistema e ambiente o tra prese di iniziativa soggettali in uno scenario inter-attanziale. Da un lato, le stesse proprietà delle istanze corporali sono passibili di interdefinizione ricorsiva (ad esempio, l’azione di filtraggio o di contenenza dell’involucro prevede una mobilitazione e messa in tensione di materie ed energie, così come non c’è profondità senza cinestesi e non c’è inglobamento senza cenestesia). Dall’altro lato, l’asimmetria tra sistema e ambiente, tra passato e futuro, tra localizzazione ed orizzonte è risolubile solo per analogizzazioni reciproche dove ciò che è parametro del valore e ciò che viene parametrato sono in posizione potenzialmente scambievole. Del resto, anche l’aspettualizzazione temporale funziona solo sulla base di una temporalizzazione dei processi che funge da parametro per apprezzare la loro linearità, la loro memoria interna, la loro durata o puntualità, la loro stessa (im)perfettività. La retorica dello spazio è allora la figuralità propria ad ogni connessione tra spazi-parametro e spazi operati/operanti. Tale dimensione figurale emerge già nel caso della localizzazione e si manifesta pienamente, per esempio, davanti alla predicazione del carattere « angusto » di uno spazio. Lo spazio angusto è, da un lato, uno spazio strategico mal tarato rispetto ai valori operabili mirati, dall’altro è uno spazio affettivo operante visto che esemplifica una ristrettezza dimensionale nella circolazione dei valori che viene analogizzata dallo spazio corporale interno interessato alla respirazione (affanno).

2. Semiotica del giardino : una prova di metodo

2.1. Piccola analisi lessicografica

Note de bas de page 9 :

Cfr. Fabbri (2004).

Obiettivo della presente indagine lessicografica è quella di ricostruire una delimitazione minima del campo semantico del giardino. Innanzi tutto, tale indagine si rende necessaria perché il giardino si situa all’intersezione di domini e di pratiche diverse (architettoniche, agronomiche, ludico-estetiche, ecc.), finendo per assumere nel tempo statuti difformi e per essere valorizzato in modi alquanto variegati. In ultima analisi, tuttavia, tale indagine lessicografica si vuole come un’archeologia discorsiva, tesa, cioè, più a dischiudere dei percorsi semantici che il passato può rendere nuovamente disponibile (quand’anche in termini di sentieri interrotti) che a razionalizzare la pregnanza di una categorizzazione minimale e transtorica, fondata su un’origine9. In tale prospettiva, il nostro primario obiettivo sarà quello di caratterizzare il giardino attraverso un fascio di categorizzazioni aperte e molteplici, in grado di mappare direzioni di senso proprie delle pratiche che lo hanno storicamente prodotto e riconcettualizzato. Sulla base di questa cartografia, ci misureremo con l’obiettivo ultimo del nostro lavoro, ossia tematizzare il giardino come una sorta di oltrearchitettura, ossia come una ripertinentizzazione del naturale nell’edificare, giungendo alla nozione contemporanea di architettura naturale.

Più ancora delle altre arti, quella del giardino ha potuto essere immediatamente rapportata a una consegna originaria, quella divina : l’eden è esemplificazione di uno stato di natura conciliato con un mondo di valori divini, o - detto in altro modo - esso esibisce la residenza nel sensibile della stessa forma del contenuto che preforma i territori dello spirito. Il giardino è quindi costitutivamente il luogo simbolico di una conciliazione tra dimensione etica ed estetica, in quanto l’una si offre come porta d’accesso all’altra. In questo senso, ben si comprende come la parola ebraica eden significhi non solo « campagna », ma anche « piacere, delizia ». Nel giardino, troviamo un’etica della terra che si coniuga con un’estetica dei suoi frutti cosicché essa non teme eccessi, né abusi : i valori saturano domanda e offerta senza asimmetrie e senza valenze in grado di fondarsi autonomamente rispetto alla forma del contenuto della trascendenza. In tal senso, il peccato originale potrebbe essere riletto come una babele di giardini, nata per partizione del territorio (scrittura di confini) e per regionalizzazioni (domini di valenza) dei contenuti.

Tuttavia, la rottura di una semiotica edenica si dimostra emblematica di una ristrutturazione di entrambi i piani delle funzioni significanti ; la pretesa antropica di proprie valenze si coniuga con uno sconvolgimento dei valori costituibili sul piano dell’espressione, ossia con il riflusso da una parusia originaria. L’omni-disponibilità dei frutti sotto regime edenico si tramuta in deserto sotto l’egida di pratiche semiotiche antropiche. Ecco allora che il giardino non si pone affatto come un riflesso speculare partitivo e detensivo dell’Eden, dato che ha in memoria la « cacciata » dal paradiso, ossia la fuoriuscita da una semiotica senza arbitri differenziali e senza resto. Tale allontanamento fonda la civiltà come ciò che si lascia alle spalle l’oasi prototipica per affrontare il deserto, dove la validazione dei valori non può che affidarsi alla comprovazione di una « giustezza » locale (e sempre ridiscutibile) dei cammini (è il destino di Caino). È l’intorno desertico in cui si è gettati che richiede la fondazione della città. In una tale prospettiva, il giardino è la tensione limite della progettualità archittetturale, la quale, convertendo in forma spaziale il dominio di validità della legge, prova infine a riprogettare l’eden sulla base di una estetica della natura isomorfa alla propria organizzazione. In questo senso il giardino corrisponde a un massimo indice di civilizzazione, ossia si offre come traccia di una giurisdizione dove i valori « militarizzati » della città si possano coniugare con un’aisthesis sociale. La solidarizzazione tra forme di vita e forme del giardino nasce da una tensione fondativa costitutivamente ambigua ; il giardino si pone come esempio canonico di spazializzazione omeostatica di valori che testimonia più di un’assiologia laica, in grado di organizzare autonomamente la vita sociale, che di un’immagine edenica sfocata. In ogni caso, allo sbiadirsi dell’anamnesi edenica si contrappone la sedimentazione di una memoria “civile”, dove la casa è vista come una mediazione ineludibile, come una nuova condizione d’accesso al « naturale » (di fatto, anche quest’ultimo è oramai, inevitabilmente, un concetto culturale). Tale mediazione non è una riconciliazione che dissolve le discontinuità (indistinzione della soglia di casa), quanto si propone come inclusività dell’edificare rispetto al suo « fuori desertico », e ciò in ragione dell’estensione del potenziale salvifico reciproco (si riscatta la natura dal deserto ed essa, urbanizzata, si pone come ideale spazio salubre). In fondo, l’idea di una bio-progettualità conciliatrice tra naturale ed artificiale ha radici molto antiche e brilla oggigiorno in quel vivaio di forme ireniche che sono le architetture di vetro dei terraria e degli acquaria. L’esperimento in vitro dei vivaria è dato dalla conciliazione tra apprensione confinata, razionalizzazione delle pratiche vivaistiche e apertura al massimo di differenziazione della morfologia naturale.

Prima di affrontare alcuni episodi significativi dell’architettura contemporanea, è importante, in sede di preliminari, ribadire che il giardino è consustanzialmente una regionalizzazione, una partizione, un sottospazio che è sede di traguardi conciliatori : in questo senso, è stato concepito in quanto herkos, vale a dire « luogo recintato » e persino come paradeisos ; quest’ultimo è un termine di origine iranica (l’antico persiano pairidaeza) che significa « recinto murato », ossia spazio attorno (pairi) alle mura (daeza) di casa, e per derivazione, appunto, « giardino ».

Il giardino dismette il quoziente antagonistico intrinseco all’architettura (far fronte al deserto) e si propone come risoluzione coltivabile di un « senza-resto », ossia di un luogo « pacificato » e nel contempo in grado di promuove la pace (eirenikos). Il « sacrificio del luogo » per edificare deve essere risolto nel segno sia di una co-abitazione di forme di razionalità e sensibilità (l’uomo e il genius loci), sia di un’omeostasi tra riproduzione e consumo, fino alla piena sintesi tra chortos (orto), herkos (recinto) e kepos (giardino di piacere o di culto).

È ben evidente che non si può impiantare un discorso sull’oltre-architettura, sull’architettura naturale contemporanea, senza aver chiarito il campo semantico del giardino. Compito questo alquanto difficile, non appena si pensa alla messe di poetiche del giardino che la storia ci ha consegnato. Ma esistono alcune invarianti che possono in qualche maniera confinare (e contemporaneamente rilanciare) lo spettro di convocazioni discorsive del giardino come luogo di valorizzazione e scenario diagrammatico di valori. Questa duplicazione prospettica - assiologica da una parte e sorgiva di valori dall’altra - non è affatto innocente ; anzi già situa e sottende il campo semantico del giardino, tra l’operazione di partizione ed elezione di un luogo deputato, assoggettato e difeso (herkos) e l’operazione di re-introiezione di tale luogo come grembo (è il significato originario di kepos). Il giardino è il luogo di una tensione concettuale rispetto alla quale ogni tentativo di risoluzione definitiva verso un termine categoriale può essere ritenuta immediatamente sospetta di riduzionismo. Del resto, un paradigma concettuale che coglie le culture come costituite sempre da assi di tensione assiologica (e non risolte nell’abbraccio unilaterale e localmente definito di termini categoriali) si pone come una presa di posizione ineludibile per una semiotica. In termini lotmaniani, si tratta di pensare le culture come sistemi dinamici, ossia innanzi tutto come sistemi che dipendono dai processi che li costituiscono. Le categorizzazioni locali hanno una valenza culturale perché sono agite in un quadro polemologico-contrattuale.

In questo senso, spazializzazione dei valori e topica della loro sopravvenienza possono essere colte come labbra in tensione della stessa « voce » enunciazionale propria del giardino, essendo quest’ultimo ora assunto come loro tesaurizzazione, ora come fucina.

2.2. Il giardino come « spazio lodato » : valorizzazioni e aspettualizzazioni

Note de bas de page 10 :

È l’arte dei giardinieri di dare forme particolari (siano esse geometriche o figurative) alla chioma degli alberi e degli arbusti ornamentali.

Che il giardino sia un luogo posto all’intersezione di una serie di strategie di valorizzazione è tanto scontato che Bachelard lo inseriva all’interno di una topofilia (Bachelard 1957). In quanto spazio intrinsecamente « lodato » (ivi, p. 26), esso si porrebbe sotto le insegne di una retorica elogiativa di un attante osservatore collettivo la cui focalizzazione è tuttavia differentemente distribuita sul genius loci o sull’arte floricoltrice, topiaria10, architettonica del giardiniere. Che si assuma il giardino come sfida alla natura perché dia libero corso alla sua inventiva (ossia come tesaurizzazione della vocazione originaria del sito) oppure come sfida umana ai limiti del territorio in vista di una sua rifigurazione locale (microuniverso naturalistico elettivo), esso resta oggetto di strategie di valorizzazione :

  1. conciliative, dato che mettono in tensione valorizzazioni adattative rispetto all’ambiente (rispondono di una tattica) e valorizzazioni programmatiche di rifigurazione della natura (rispondono di una strategia) ; valorizzazioni estetiche e valorizzazioni etiche (canonicamente si predica il carattere « lussureggiante » del giardino) ; ecc. Il giardino è uno spazio della ricomposizione ;

  2. esclusive, ossia relate alla privatizzazione dello spazio, a favore di singoli attori sociali o di una determinata comunità ; in questo senso, il giardino è sempre la periferia di un fulcro istituzionale - la casa, il palazzo, l’ospedale, il monumento, ecc. - che assegna un ruolo identitario di fruitore: il giardino è uno spazio del privilegio ;

  3. a lungo termine, ossia dipendono da una tensivizzazione della duratività; in questo senso, un « giardino abbandonato » è ciò che segnala, forse più di qualsiasi altro oggetto culturale, un declino culturale o una deprogrammazione competenziale : il giardino è uno spazio della cura ;

  4. imperfettive ; la stagionalità del giardino gli impedisce di giungere a un compimento ultimo da sanzionare : il giardino è uno spazio del rinnovamento ciclico ;

  5. incoative ; le condizioni atmosferiche e luministiche fluttuanti inflettono costantemente le caratteristiche del giardino a premessa di nuove trasformazioni, così come i camminamenti interni allo spazio del giardino costituiscono una serie di punti di attacco percettivo diversificati: il giardino è uno spazio dell’incontro ;

  6. iterative; la visita frequentativa al giardino si articola facilmente a forme di ritualizzazione: il giardino è uno spazio della confidenza.

Il regime interpretativo della significazione antropica spiega perfettamente la ricorsività della percezione semantica di relazioni e della categorizzazione, e quindi anche le aspettualizzazioni a valle e a monte della costituzione del giardino come « spazio lodato ». In questo senso, possiamo considerare, ad esempio, come l’aspettualizzazione temporale dei processi, con le sue categorizzazioni :

  1. duratività/puntualità

  2. incoatività/terminatività

  3. iteratività/irripetibilità

  4. perfettività/imperfettività

possa porsi come sfondo percettivo che si converte (la prospettiva selettiva della focalizzazione parametrica diviene piano dell’espressione) in una apprensione/valutazione adattativa (costituzione di un piano di contenuti operabili/operativi) con le sue nuove categorizzazioni, prefigurative delle modalità :

contenuti operativi

contenuti operabili

a) stabile/incidentale →

dovere ← inconformabile/vincolabile

b) inaugurale/conclusivo →

volere ← appetibile/congedabile

c) frequentativo/episodico →

sapere ← appurabile/non confidabile

d) ultimativo/indefinitivo →

potere ← assolvibile/inottemperabile

Ecco allora che non solo ogni processo di valorizzazione può essere, a sua volta, aspettualizzato, così come è stato esplicitato in precedenza, ma può persino mettere in scena uno spazio soggettivo della valorizzazione operativo o operabile, tant’è che quest’ultima viene colta come dipendente nel primo caso da un sé idem e nel secondo da un sé ipse.

Note de bas de page 11 :

Il suggerimento viene da Maldiney (1993, p. 148), anche se la nostra argomentazione perviene a conclusioni diverse.

Note de bas de page 12 :

La panritmicità è tutt’altro che una nozione surrettizia o priva di storia, ed è stata in teorizzata nel Novecento in maniera estensiva e in domini diversi, come nel caso di Laban (2003), per quanto riguarda la danza, e Wyschnegradsky (1924-53), per ciò che concerne la musica (si veda, la sua nozione di pansonorità e in particolare quella di ultracromatismo ritmico). Essa costituisce lo spazio inglobante senza forma, rispetto al gesto possibile, in topologia prodromica della significazione.

Tuttavia, lo spazio non può essere ricondotto solamente a una semiotica del praticabile (operatività/operabilità) che contiene in sé una surmodalizzazione pervasiva del potere. Innanzi tutto, questo è un « potere di giudizio », tant’è che il giudizio percettivo è sempre la costituzione di uno spazio d’esistenza dove la mappatura diagrammatica dello spazio è già funzione di un’articolazione di contenuti fittivi (l’investimento potestivo di una programmazione pratica, quand’anche solo di ordine epistemico). Per contro, uno spazio sensibile liberato dal dominio del giudizio, per esempio uno spazio costituito in preda alle vertigini, deterritorializza le relazioni, preserva solamente una diagrammaticità da assumere nell’irrelazione attanziale. Si tratta di uno spazio ritmico11, dove i pattern si dispiegano indipendentemente da una prospettivizzazione che consenta una semantica del qui e del . Alla salienza del divenire si appaia la salienza del dispiegarsi, ed entrambe si rubricano esperienzialmente nel ritmo come avvento di una geografia possibile di pregnanze. Il ritmo è una forma di proposta di salienze spaziali e temporali che ribalta la dipendenza aspettuale dall’osservatore ; pone la parametrazione su cui si fonda l’aspettualità dalla parte del mondo-ambiente e la conduce anche oltre le soglie di discriminazione di paesaggi interattanziali, ossia oltre i limiti dello spettro del mirabile. La forma avventizia del ritmo (nel suo carattere straniero e temporaneo) innesta una precarizzazione della semantizzazione dell’esperito che richiede il soccorso dell’emozione ; quest’ultima s’appassiona del ritmo perché deve cercare di computare la destinalità irrisolta di uno spazio e di un tempo che ancora non si decidono a offrirci la posizione di « figuranti ». La drammatizzazione delle salienze ritmiche, attraverso l’emozione, è correlativa di questa impossibilità di fungere da comparse in uno spazio sensibile irrelato ; proprio per questo le pratiche calmierano questa sudditanza emotiva dal ritmo cercando di renderlo fungibile. Di fatto, la straordinaria operazione messa in campo dalle arti musicali, coreutiche, architettoniche è quella di pensare lo spazio come saturo di pattern potenziali, cosicché ogni gesto instaurativo non potrà che trovare un dialogismo selettivo ed adattivo con alcuni di essi. Si postula una panritmicità12 affinché ogni intervento in essa possa risultare localmente commisurabile, simmetricamente o asimmetricamente, con il profilo delle « risposte » di questa. Il ritmo diviene una parametrazione della scansione degli interventi istanziativi che si correla con la competenza percettiva solo passando attraverso una pan-spazializzazione di istanze potenzialmente concorrenziali. Questa assolutizzazione del ritmo, correlativa della globalizzazione di uno scenario inclusivo dell’istanziazione, consente non solo la valutazione incorporata (embodied appraisal) della misura ritmica (cosa che traduce l’apprensione della quantità in apprezzamenti qualititavi), ma anche una drammatizzazione delle relazioni diagrammatiche che afferma implicitamente la nostra cittadinanza semantica nel dominio plastico. Ecco allora che non c’è bisogno di reclamare alcuna trascendenza o ontologia dell’opera per mostrare come la significazione ritmica intrattenga una relazione con una visione « cosmologica » (panritmicità) ; nel contempo, la nostra trattazione evidenzia come tale cosmologia sia correlativa di una gestione del senso al di qua dello spettro di focalizzazione dell’inter-attanzialità.

Come si vede, malgrado uno spazio sensibile dominato dal ritmo sembra portarci al di qua di uno spazio dell’operabile/operativo, la semantizzazione antropica non può che ricondurci all’interno della fabbrica del costituzionale (semiotica dell’esperienza), del fittivo (semiotica discorsiva) e dell’operabile/operativo (semiotica delle pratiche). Ma ciò che ci intessa qui rilevare è che la cosmologia in miniatura del giardino e la valorizzazione della sua diagrammaticità (sia essa geometrizzante o mimetica della morfogenesi naturale) sono aspetti correlati, e non disgiunti, della sua semantica storica. La topofilia stessa, pensata alla base del giardino, si precisa e l’opposizione tra giardino della ragione e giardino della passione trova una base comune in una panritmicità ideale. Punto d’arrivo dei beni di cittadinanza, il giardino si pone come ricerca di un paradiso appena fuori della mura di casa in grado di riconciliarci con un regno che si porrebbe, di per sé, al di qua della nostra potestività.

2.3. Assi di caratterizzazione

Il giardino è in fondo emblematico della condanna conoscitiva di edenica memoria : tanto più tendo ad avvicinarmi alla sua natura (alle sue valenze costitutive) tanto più ho bisogno di renderlo fittivo, ossia di modellizzarlo in discorso, il che me lo restituisce al massimo come « naturalistico ». Allo stesso modo, tanto più tento di architettare autonomamente il giardino, tanto più la mancanza di fondamento ultimo della mia pratica ha bisogno dell’ancoraggio in un dominio di valenze vissute nell’esperienza del giardino. La non componibilità dei due circuiti - e quindi la mancata computabilità bidirezionale dell’efficacia del modello fittivo del giardino e del giardino come modello esperienziale - non è data solo dal divenire, dalla trasformazione della competenza del soggetto e del giardino, ma ancor più profondamente dallo iato tra forme di costituzione del valore eteronome, uno iato che è una sorta di sistole/diastole tra alienazione e introiezione dei valori, tra il decisivo e il decidibile, l’operativo e l’operabile. Da un canto, l’asimmetria enunciazionale, propria di una fenomenologia del corpo vissuto, rende gli esiti delle pratiche antropiche soggiacenti a valenze indefinitamente aperte, per cui ogni realizzazione non è che l’attualizzazione di un rilancio destinale rispetto al possibile. Dall’altro, l’epistemologia rovesciata della discorsività finisce poi per ribaltare la consegna alla rete di relazioni effettuali (assoggettamento) in una prensione analogizzante della trasformazione dello scenario esperienziale (soggettivazione), in grado di garantire una drammaturgia solidale del divenire nelle relazioni tra noi e l’ambiente. Se il discorso ha bisogno di concessioni per enunciarsi (nello spazio fenomenologico), esso sposta le sue condizioni di possibilità in una subordinata concessiva (nello spazio discorsivo) e autonomizza la reggenza predicativa di un dominio di valori fittivi entro cui ricollocare la polemologia tra valenze eteronome e autonome, con l’indubbio vantaggio di consentirne un’omogeneizzazione e una commensurabilità. Ecco allora che nel discorso delle culture possiamo ritrovare una solidarizzazione tra l’attanzializzazione del mondo e quella del soggetto, un accoppiamento di memorie (il mondo « tiene memoria » delle trasformazioni/iscrizioni che lo hanno interessato), una certa specularità identitaria nelle costituzioni mereologiche. Per tale ragione possiamo attribuire al giardino un’attanzializzazione e quindi dei carichi modali, una memoria e quindi una genealogia di valenze, una mereologia, e quindi un apprezzamento qualitativo della distribuzione e gerarchizzazione della quantità.

Possiamo ora riassumere questo excursus teorico nei seguenti assi di caratterizzazione :

  1. la spazialità del giardino può essere colta (i) come una configurazione sensibile (percepita ed efficace), (ii) come una traccia di pratiche di antropizzazione della natura o di un fare autoregolativo del genius loci, (iii) come un discorso (progettato o carpito). Tutte e tre queste costituzioni pertinenziali ne dischiudono delle dimensioni significanti, le quali si reggono su regimi di semantizzazione che vanno dall’assunzione dell’esperienza in atto fino alla delegazione di un’esistenza culturale del giardino, passando per un asse di mediazione ineludibile della costruzione identitaria che è la temporalizzazione (mnesia e prefigurazione) ;

  2. ogni significazione del giardino si pone all’insegna dell’accoppiamento con il suo osservatore, per cui essa deve essere caratterizzata bilateralmente, tanto più che il giardino può essere colto come enunciato, ma anche come spazio dell’enunciazione (del resto, esso preserva la sua identità solo perché gli vengono imputati uno statuto e un’identità culturale) ;

  3. l’osservazione di secondo ordine, propria di ogni interpretazione, conduce ogni pratica che costituisce il giardino come spazio significante a valorizzare il carattere diagrammatico, esistentivo o simbolico del giardino, al di là del fatto che sia in corso un’apprensione della sua configurazione, un’archeologia della sua produzione o un’ascrizione a un quadro di mosse discorsive. Del resto, il giardino, al di là della pratica che localmente lo assume e investe di senso, è definito da una stratificazione di queste costituzioni pertinenziali e di tali valorizzazioni.

  4. Con ciò siamo in grado di sostituire i) alla denotazione, l’esemplificazione offerta dalla configurazione, ii) alla presupposizione, l’archeologia del possibile (memoria significata), iii) all’abduzione (di codice, per esempio), la prestazione fittiva (musement) propria della narrativizzazione che, con le sue connessioni interpretative e sotto il quadro di pertinenze della pratica in corso, omogeneizza e correla i valori costituiti su più livelli e sotto diversi statuti.

2.4. Oscillazioni semantiche ed equalizzazione tematica del giardino

Note de bas de page 13 :

La disamina dei seguenti contributi è stata tagliata dal seguente articolo per ovvie ragioni di spazio.

Cerchiamo ora di sistematizzare i rilievi di questa prima perlustrazione del campo semantico del giardino, offrendone una caratterizzazione per fasci di proprietà, innanzi tutto spaziali. È bene precisare, tuttavia, che tale schematizzazione deriva, non solo dalla superficiale indagine lessematica, ma da uno studio incrociato di svariati contributi sul giardino: dai lavori semioticamente orientati (Lichacev, Parret, Zilberberg) fino a quelli più connessi a una estetica del paesaggio (Rosario Assunto, Venturi Ferriolo, Enzo Cocco, Sylvia Crowe ed altri), e in ogni caso tutti esplicitati in bibliografia13.

Le categorie pertinenti per la caratterizzazione sono state prescelte ai fini di una discriminazione del campo semantico del giardino e non per tratteggiare le diverse estetiche sotto cui esso è stato praticato come un’arte. In questo senso, non si mira nemmeno a tratteggiare una tipologia del giardino, quanto piuttosto a reperire dei range definizionali che sottendono la tensione culturale propria dell’inesausta rielaborazione offerta dalle pratiche. Nella stesura si è tenuto conto del fatto che la spazialità del giardino è sia oggetto di costituzione percettiva sia condizione per assumere una data prospettiva enunciazionale; è sia uno spazio che viene costituito come scenario di valori, sia uno spazio che modula la forma di vita del soggetto e la sua disposizione al valere. In questo senso ogni determinazione deve essere pensata come bilaterale, ossia posta nel segno dell’accoppiamento soggetto/mondo-ambiente. Nel contempo ogni determinazione concorre alla costituzione di valori; in tal senso, il quadro sinottico non rende conto della sinergia e dell’intreccio tra tali determinazioni, anche se può evidenziare dei plessi distinti (configurazionali e narrativi) a maggiore correlazione interna e passibili di surdeterminazione reciproca. Infatti, ogni configurazione si costituisce nella prospettiva di una trasmissibilità delle valenze e nel contempo ogni narrativizzazione non può che operare a partire dalla diagrammatica di valori esemplificata dalla configurazione presa di mira e variabilmente assunta. Tale surdeterminazione reciproca spiega allora quella convocazione dello spazio (il « giardino ») sia in quanto scenario figurativo enunciato, sia in quanto ambiente di esercizio dell’enunciazione in atto (in entrambi i casi è in gioco un quadro interattanziale « incarnato »). Ogni allotopia registrata su uno dei due livelli (enunciato ed enunciazione) non può che trovare risoluzione nella surdeterminazione dell’altro livello, cosa che rende il giardino suscettibile di acquisire lo statuto di spazio figurale e dispiegare una retorica dell’immagine.

Note de bas de page 14 :

Vedi schema in § 1.1.

Il giardino può essere inquadrato come uno spazio enunciato, e ricondotto con ciò a un’enunciazione presupposta; di tale inquadramento si può far carico una semiotica del testo. Il giardino può essere inquadrato come uno spazio fenomenologico da apprendere percettivamente e da assumere come condizione competenziale di enunciazione; di ciò si può far carico una semiotica dell’esperienza. Il giardino può essere inquadrato come uno spazio dell’operabile/operativo, e di tale inquadramento si può far carico una semiotica delle pratiche e delle forme di vita. Queste prospettive epistemologiche sulla significazione, certo non sovrapponibili, trovano tuttavia una risoluzione sincretica nella narrativizzazione ; tale risoluzione è resa possibile dal fatto che sul piano dell’esperienza la declinazione diagrammatica è un dominio di salienze interattanziali che devono essere assunte per venire poi delegate a un piano esistentivo e infine epistemico (ADA→DAD14) ; sul piano del discorso, la declinazione figurativa è ottenuta per un piano di delegazione simulacrale, di cui si possono predicare i modi di esistenza rispetto alle prassi enunciazionali, e che va infine assunta per porsi come un dominio di esperienza linguistica (DAD→ADA). La semiotica delle pratiche connette queste due direzioni di elaborazione di valenze costruendo una loro commensurabilità, una loro traducibilità (ADA↘DAD↗ADA) nonché - sotto l’egida dell’interpretazione narrativa - una loro gestione nel tempo.

Note de bas de page 15 :

Tutto l’impianto teorico che stiamo formulando mira a una euristica della costituzione delle diverse valenze; resta in questo senso inesplicito il problema del valore, il quale si costituisce grazie a apprensioni, discorsivizzazioni e manipolazioni comunicative in grado di operare delle distinzioni. Si noti anche come l’apprensione della diagrammatica del mondo sensibile è posta nel segno dell’apparenza (salienze) fintantoché non viene ribattuta su un dominio di esistenza in grado di dissimilare lo scenario dei valori dell’espressione dallo scenario fittivo dei valori del contenuto. Il superamento dell’apparenza viene ricondotto a un dominio fittivo e non a un dominio « reale ». L’apparenza è già un per me (una costituzione significante) e il tentativo di superare l’apparenza per evincere un piano di consistenza dei fenomeni non è che una modellizzazione (una costruzione) sulla base della quale predichiamo, in maniera regolativa, dei valori esistentivi.

  1. Entrando in un giardino, siamo iscritti nella sua configurazione sensibile, ossia nelle sue salienze topologiche, mereologiche e morfodinamiche15 (A) e nel contempo possiamo ricostituire tale configurazione e delegarla (AD) a spazializzazione di pregnanze (aspettualizzazione : ADA) ; infine, le valenze esperienziali (salienze) e esistentive (pregnanze) vengono omogeneizzate in quella che Minkowski chiamava « ampiezza di vita » (spazio dell’operabile/operativo : ADA↘DAD↗ADA) : le valenze spaziali della configurazione divengono « legali », « moneta corrente » all’interno delle pratiche. Queste osservazioni devono essere corredate da alcuni rilievi fondamentali che del resto abbiamo più volte ribadito ; a) alla esemplificazione di una logica spaziale, alla costituzione di una spazializzazione dei valori e alla elaborazione di una gestione delle valenze spaziali si devono coordinare diagrammatiche, aspettualizzazioni e operazionalizzazioni del tempo e dell’identità attoriale ; b) in secondo luogo, tanto nel dominio di esperienza che in quello di esistenza, il senso si produce solo all’interno di un accoppiamento, ossia di una dipendenza bilaterale delle determinazioni ; ma mentre la diagrammatica si consegna all’elaborazione antropica (le forme culturali si iscrivono in una diagrammatica di relazioni esemplificate ed assunte), è un regime di valori antropici che attribuisce a spazio, tempo e attori mondani una attanzializzazione e una operazionalizzazione delle valenze, nonché - come abbiamo detto in precedenza - una memoria.

  2. Siamo così giunti al secondo punto; entrando in un giardino siamo già di fronte a uno spazio costruito, memore dei processi che lo hanno condotto ad essere ciò che è. In questo senso, il giardino è un’eredità di valori la cui valenza è dipendente da una memoria esperienziale di relazioni diagrammatiche, da un’archeologia esistenziale (istanziazione e iscrizione del giardino), da una genealogia di istituzionalizzazioni simboliche circa le modalità di intervento sulla natura.

  3. Con il terzo punto arriviamo a cogliere il giardino come un’entità culturale a pieno titolo. Di fatto, quando entriamo in un giardino esso ci immette in una rete di relazioni culturali, dato che esso si propone, con un certo statuto, all’interno di domini sociali, istituzioni, pratiche, generi ; esso ha poi un’esistenza storica, connessa a specifiche pratiche produttive, che lo pongono in gioco come il prodotto di un’enunciazione (un testo) ; infine, il giardino si pone come discorso in grado di sommuovere e interpretare a sua volta i quadri culturali a cui afferisce o che intende tradurre ; un giardino che entra a far parte di pratiche argomentative, in grado di piegare l’enunciazione stessa che lo regge in osservazione di secondo ordine di ordine metatestuale, metalinguistico e intersemiotico.

Naturalmente, il giardino è tutte queste cose assieme (configurazione, prodotto, discorso) e solo esigenze analitiche e di semplificazione portano a discriminarne diverse determinazioni pertinenziali e valenze. È bene, tuttavia, non sottovalutare l’esigenza metodologica di superare delle analisi dizionariali, per aprirsi non solo alla lessicologia (in quanto doxa cristallizzata), ma a una ricostruzione archeologica (in senso foucaultiano) in grado di disimplicare una latitudine definizionale (intra- o eventualmente inter- culturale) e una tensione traduttiva e conciliatoria delle concettualizzazioni estreme. L’attestazione delle più diverse concezioni del giardino, espresse teoreticamente, doxasticamente o per diretta manifestazione testuale, deve così, da un lato, garantire una spettrografia delle oscillazioni semantiche e, dall’altro, disimplicare una sorta di equalizzazione tematica in atto. Non meno si presterà attenzione a casi storicamente dati di conciliazione delle definizioni estreme. Fatte le seguenti riflessioni, resta da aggiungere che la presentazione del giardino sotto diversi angoli pertinenziali non segue affatto un ordine generativo della sua significazione ; al contrario, essendo il giardino un’entità culturale ad alta elaborazione, la sua semantizzazione parte da un inquadramento statutivo, tematico ed infine figurativo ed estesico (determinazione del globale sul locale).

***

I. Configurazione

1. determinazione diagrammatica

i) Bilateralità delle determinazioni

Note de bas de page 16 :

Se in Peirce ciò è perfettamente riconosciuto (si veda la teoria dei grafi), anche in Greimas si notava come la topologia fosse condizione di possibilità per « parlare spazialmente di cose » anche « senza rapporto apparente con la spazialità » (Greimas 1976, trad. it. 129). È bene rimarcare che lo spazio diagrammatico è sempre dipendente da una costituzione percettiva (dominio d’esperienza) che viene ricondotta (dominio d’esistenza) a una sintassi figurativa ; non solo, esso non è mai una costituzione percettiva prioritaria rispetto a quella figurativa, la quale, a regime, è invece il piano ecologicamente preminente per la soppesazione e contrattazione di valenze.

Il giardino è innanzi tutto una configurazione sensibile che, lungo la sua apprensione percettiva, esemplifica un’organizzazione topologica, mereologica e morfologica. In questo senso, il giardino viene assunto, lungo la sua esplorazione percettiva, come una logica spaziale che imbriglia e inscrive il soggetto osservatore, manipolando i suoi posizionamenti e le sue stesse operazioni distintive. Al di là di costituirsi come spazializzazione di valori (il per me dello spazio), il giardino si offre allora come sintonizzazione del soggetto con forme di organizzazione, distribuzione e gerarchizzazione spaziale dei valori che hanno una valenza in sé stesse, dato che si offrono (o si sono offerte) come specifici pattern diagrammatici ad investimenti semantici successivi16. La disamina precedente ci ha permesso di cogliere le potenzialità inclusive del giardino (quale spazio fenomenologico che funge da sfondo all’iniziativa enunciazionale) nei termini di una panritmicità ; quest’ultima - è bene ricordarlo - non è una proprietà del giardino, dato che è il frutto di una imputazione prasseologica atta a consentire una cittadinanza e una gestione del senso nel dominio plastico.

ii) Latitudine definizionale

Il giardino, nei suoi estremi definitori, può presentarsi, da una parte, come una configurazione caratterizzata da una disseminazione topologica, una mereologia frammentaria e una capricciosità morfologica ; dall’altra, come una struttura iperorganizzata, con logiche ricorsive nello sviluppo morfologico, autosimilarità tra il tutto e le parti, pattern di distribuzione topologica delle figure coglibili da ogni punto del giardino. La costituzione del percetto « giardino » in quanto spazio diagrammatico organizzato o disarticolato risulta in ogni caso come dotata di una sua salienza, ossia viene assunta come qualcosa di valevole.

iii) Equalizzazione tematica

Di fronte alla costituzione di una configurazione sensibile non ancora stabilmente aspettualizzata, non ci troviamo nemmeno di fronte a una tematizzazione intenzionale, ma piuttosto a una tematizzazione-guida, dato che su di essa affonda la possibilità di prefigurare una prosodia esistenziale. Quest’ultima è la faccia eidetico-costituzionale della forma di vita di un soggetto, rispetto alla faccia intenzionale che è dominata dai regimi di valorizzazione ; con ciò si precisa il fatto che le salienze non sono valenze che si impongono, e nemmeno che si offrono all’analogizzazione : esse sono costituite all’insegna di una « coreografia comune », di una compartercipazione alla strutturazione ritmica dello spazio da parte di soggetto e ambiente. Il giardino è allora uno spazio inclusivo dove ogni gesto/evento ha una diagrammaticità co-significante e ristrutturativa del tutto.

2. determinazione figurativa (corporale, aspettuale e modale)

i) bilateralità delle determinazioni

Le modalità specifiche con cui il giardino si presta a fungere da scenario esperienziale sono : a) l’irretimento dell’aspettualizzazione spaziale dato per strutture d’interposizione, ombrature, nebbie, polverizzazione di sostanze in sospensione ; b) l’irretimento dell’aspettualizzazione attanziale e temporale dipendente dalle strutture di immissione nel giardino e dalla sua forma più o meno inglobante, nonché dalla tensività irresolubile tra configurazione d’insieme e dettagliamento.

Note de bas de page 17 :

Dato che ogni costituzione pertinenziale del giardino si articola con un fascio di valorizzazioni, essa è sempre dipendente dal ruolo identitario dell’osservatore (identità corporale, fruitiva, sociale, istituzionale, ecc.) e dal carattere occasionale o sedimentato nel tempo di tale ruolo.

Ogni apprensione delle apparenze salienti del giardino finisce per essere costituita come terreno di una spazializzazione di pregnanze ; alle valenze auto-organizzative della diagrammatica del giardino, si sostituiscono delle tematizzazioni intercorporali cogenti e colte asimmetricamente a parte subiecti. Il giardino diviene intorno ambientale ; la sua emergenza sensibile, secondo specifici campi sensoriali, si connette a una figura del corpo dell’osservatore, la quale funge da parametro per l’aspettualizzazione. Nel contempo, il corpo a corpo tra fruitore17 e giardino costruisce una modalizzazione dell’esplorazione percettiva e cinestetica. In questo senso, a sua volta, il giardino si attorializza, costituendo dei modi di esistenza delle proprie proprietà e una aspettualizzazione a partire dalla sua stessa corporeità, la quale continua a inscrivere (potenzialmente) il soggetto-fruitore.

ii) latitudine definizionale

Dal punto di vista di una aspettualizzazione cenestetica, il giardino è stato pensato come coglibile ora in quanto spazio aperto, ora come spazio chiuso; come dotato ora di un involucro ermetico rispetto all’esterno, ora di un involucro-filtro tanto poco selettivo da costruire, morfologicamente, una sorta di dissolvenza incrociata rispetto al paesaggio circostante. Dal punto di vista di un’aspettualizzazione cinestetica, il giardino è stato storicamente pensato tanto come uno spazio di cui siano percepibili i limiti invalicabili quanto come una partizione di territorio individuata da soglie attraversabili.

Note de bas de page 18 :

Bridgeman (1690-1738) inventò il famoso ah-ah, ossia un fossato artificiale in grado di delimitare la proprietà del giardino ma nel contempo di preservare visivamente la continuità tra giardino e paesaggio. La costruzione di improvvisi scorci in grado di rivelare al fruitore tale continuità dovevano garantirgli un effetto di sorpresa : di qui la denominazione (cfr. Dézallier d’Argenville, La théorie et la pratique du jardinage (1709), ripubb. Geneve, Minkoff, 1972).

Note de bas de page 19 :

Queste ultime osservazioni ci fanno passare dal dominio di esistenza della configurazione « giardino » al dominio di esperienza della sua costruzione discorsiva (ADA → DAD, se ci si riferisce allo schema del paragrafo 1.1.)

Note de bas de page 20 :

Ciò è già pertinente alla memoria esperienziale del giardino.

Il giardino può demarcare chiaramente i confini con l’intorno paesaggistico e con gli edifici, oppure può virtualizzarli, costruendo degli avallamenti in prossimità dei confini18. Per esempio, come ci ricorda Silvya Crowe, le statue possono essere inserite nel giardino in funzione di una aspettualizzazione spaziale terminativa19. Più in generale, il giardino regionalizza l’intensità e il modo di esistenza dei propri valori costruendo dei sistemi di accessibilità o di ostruzione dello sguardo, delle costruzioni in profondità o degli effetti-quadro. Naturalmente, il soggetto da parte sua mette in campo delle tattiche percettive, temporalmente distribuite, che rendono paradossale la stabilizzazione della configurazione-giardino20, dato che tendono al dettagliamento o alla visione d’insieme, alla cumulazione o alla elezione di « vedute ». Queste strategie di sguardo sono manipolate dal giardino (esso costruisce un sistema di inviti), ma non meno esse possono polemicamente desolidarizzarsi.

iii) equalizzazione tematica

Il giardino è uno spazio « organico », sia nel senso di coesa articolazione, sia nel senso di co-dipendenza funzionale delle sue parti. La sua « ecologia » di scala esemplifica convivenze simbiotiche incluse (l’uomo nel giardino) e includenti (il giardino nel paesaggio). Tale aspetto simbiotico enfatizza, in ogni caso, il luogo del giardino come terreno di una acquisizione modale e di invigorimento identitario pur nella co-dipendenza.

3. determinazione operazionale

i) bilateralità delle determinazioni

Una volta dipanata una determinazione attanziale delle relazioni tra soggetto e giardino, esse si declinano e vengono assunte in termini di spazio operativo/operabile. L’« ampiezza di vita » del giardino lo pone in gioco sia come uno spazio passibile di mettere in variazione la competenza del fruitore, sia come una configurazione manipolabile ed esercitabile come terreno dei propri piaceri e delle proprie pratiche estetiche.

Pur nelle sue diverse concezioni, il giardino è stato colto come uno spazio attiguo, ossia adiacente a un luogo topico primario, e inclusivo, in quanto spazio di pratiche identitarie ed elettive. In questo senso, esso si differenzia dal parco che può da questo punto di vista autonomizzarsi totalmente dal ruolo di complemento alla casa.

ii) latitudine definizionale

In primo luogo il giardino si differenzia dal parco in quanto non costituisce una regionalizzazione del paesaggio da tutelare in ragione della sua capacità di esemplificare ricchezza o rarità di specie vegetali ed animali oppure la ricostruzione, attorno alla casa, di un habitat autosufficiente per significare la coesistenza di civiltà e natura, di un luogo di messa in scena del sé e di uno spazio dove perdersi, ludicamente o miticamente, in un dominio della natura. Il giardino è a misura delle pratiche umane ; differenzia il calpestabile dall’incalpestabile, predispone luoghi di transito e di accoglienza, trasferisce spesso la logica della casa (il giardino-salotto, il giardino-alcova, ecc.) all’esterno. In ogni caso, l’efficacia del giardino (la sua operatività) è pensata come correlativa di una sua operabilità domesticata. Detto questo, l’aspettualizzazione del giardino consente di porlo in gioco come un microcosmo che attornia la casa, e che nel suo dispiegamento declina progressivamente a) la domesticazione (spazio transizionale), b) il ravvicinamento dell’estraneo (spazio prossimale), c) la costituzione di un altrove fittivo posto all’estremità : si tratta del romitaggio. Quest’ultimo viene persino posto, talvolta, al di là dei confini ideali del giardino, e quindi fin dentro il paesaggio.

iii) equalizzazione tematica

Malgrado le diverse forme di chiusura e di aspettualizzazione spaziale del giardino, esso è una configurazione-tipo spendibile come supplemento spaziale di un luogo topico in grado di invertire le relazioni e porsi come microcosmo inviluppante. L’esemplarità del giardino, assieme alla sua inclusività, suggerisce relazioni con spazi d’altra scala che a sua volta lo includono. Che si tratti di una dissolvenza incrociata con il paesaggio o la demarcazione muraria dei confini del giardino quale spazio privato, esso è un luogo prospettico partitivo ed esclusivo.

Soprattutto, il giardino è una configurazione spaziale ove la presa di iniziativa del giardiniere e la logica riproduttiva della natura devono esemplificare una forma di convivenza, di articolazione, di mutuo rispetto ; per questo il giardino è la prefigurazione di un’armonizzazione.

II. Prodotto

1. memoria esperienziale

i) bilateralità delle determinazioni 

In questo caso, il giardino viene colto pertinenzialmente come qualcosa che è in grado di esemplificare delle proprietà diagrammatiche non in quanto configurazione, ma in quanto prodotto stabilizzato nel tempo. Esso viene relato a una memoria esperienziale che è quella della sue frequentazioni ; allo stesso tempo il giardino si pone come memoria del suo apparire in disgiunzione rispetto a una estensione indifferente, a un sito di cui partecipa o a uno spazio-altro da cui si stacca. Lo spazio-giardino esemplifica una forma di articolazione di relazioni spaziali fondative, nonché procedure di ricapitalizzazione delle proprietà naturali di un sito.

ii) latitudine definizionale

Ricordiamo qui il famoso effetto sharawadgi (cfr. Marin 1976) garantito da un giardino che irretisce l’apprensione percettiva proprio perché privo di regolarità diagrammatiche. La parola pare derivi dall’espressione cinese sa-ro(k)wai-chi che significa « la qualità di impressionare attraverso la grazia priva d’ordine e di regola ». In Occidente, questa tematizzazione del giardino deriva - come noto - dall’opera di William Temple Upon the Garden of Epicurus 1692 e il sistema di valorizzazioni su cui poggia viene attribuito a una forma di vita contemplativa, estranea alla strumentalizzazione del mondo e votata al bios theoretikos. Anche dal punto di vista temporale, il giardino è l’accoglimento dell’accidentalità all’interno di un quadro di significazione dove la congiunturalità dell’evento è articolabile con una circolarità (la stagionalità). Il giardino, in questo senso, esemplifica una forma di vita che deve de-linearizzare le proprie poste (partecipa di un circuitare dei valori) e persino mettere in secondo piano le proprie mire a favore di una plasticità adattativa rispetto all’accidentalità del divenire.

Naturalmente, al contrario, abbiamo il giardino che è memoria esperienziale di una razionalizzazione della natura e quindi in questo senso si offre come sua esemplificazione. Per questo, si frequenta il giardino come luogo dove ritrovare un equilibrio, una relazione mediata con gli impulsi naturali, un’estesica/estetica serafica.

Nel caso del giardino alla francese la razionalizzazione delle partizioni del terreno si congiunge alla rettificazione delle forme vegetali propria dell’arte topiaria. Nel caso del giardino all’inglese, il giardino esemplifica una sorgività stocastica di diagrammatiche polemicamente sovrapposte che funge da sfondo all’emergere di una rima plastica fortuita, al libero sviluppo ritmico di forme aperte, al filtraggio rapsodico che costruisce inequivalenze nella manifestazione sensibile delle forme e nell’attestazione di profondità.

iii) equalizzazione tematica

Di fatto, il giardino è stato colto come memoria ecosistemica delle relazioni uomo/natura, al di là del fatto che, di volta in volta, si sia enfatizzata la necessaria subordinazione dell’ordine di ragione all’ordine di natura o viceversa. In questo senso, il giardino è un’icona di relazioni ecologiche stratificata nel tempo.

2. archeologia esistentiva

i) bilateralità delle determinazioni

Il giardino viene colto come un sistema di tracce le quali significano dei processi istanziativi che ne sarebbero alla base. Parlare di « memoria significata » equivale a riconoscere che si ha a che fare solo con una indicalità archeologica che articola la paradigmatica degli scenari possibili (realizzati o irrealizzati), responsabili del processo genetico del giardino, con la nostra competenza ricostruttiva. Inoltre, il giardino ha una propria regolarità di sviluppo e quindi lascia tracce del suo divenire nel tempo, così come si offre in quanto superficie di iscrizione di pratiche fruitive.

ii) latitudine definizionale

Innanzi tutto, il giardino trova come propria memoria significata (dominio d’esistenza) un gesto instauratore di partizione dello spazio in funzione di una sua riqualificazione. Pur avendo alle spalle un modello edenico, il giardino è sempre uno spazio derivato, anche se, talora, per via di una semplice elezione di un terreno a vera e propria « opera » di un genius loci. Quest’ultimo pare aver portato a una sorta di compimento, di forma compiuta l’operare della natura.

Note de bas de page 21 :

Schiller (1976).

Rispetto all’intorno paesistico, il giardino si demarca per variazioni quantitative e qualitative della morfologia degli elementi caratterizzanti, per l’organizzazione topologica, ecc. Ogni discontinuità segnala un intervento antropico (anche quando si tratta di una semplice preservazione, come nel caso dell’oasi). La tensione definitoria passa apparentemente per gli estremi di uno spazio riscattato (dal deserto) e uno spazio edificato, ma è tuttavia chiaro come il giardino nasca come bene cittadino, ossia esso si inscrive dentro uno spazio nuovamente operabile (la città rispetto all’inoperabilità del deserto) e che può restituire un ruolo a una natura operosa, rigogliosa, compressa in un fazzoletto di terra adiacente agli edifici. La memoria del deserto può tuttavia suggerire una « metafisica correttiva applicata », una tecnica e una linguisticizzazione del giardino che riscrive architetturalmente uno spazio naturalistico, sia esso a vocazione « realistica » o immaginifica. Il giardino diviene una riscrittura di un’ampiezza di vita che spetta anche a una natura deietta ; una riscrittura che dà il verbo a una natura isterilita. Naturalmente, la visione romantica ha ragionato al contrario nella possibilità che l’architettura, divenuta rovina, si assoggetti all’ordo naturalis. In effetti, Schiller distingueva il giardinaggio architettonico da quello poetico21; dove il primo impone la geometria e la retorica dello spazio, il secondo magnifica la libertà della natura (Hugo), assumendola a regola d’arte (Rousseau).

iii) equalizzazione tematica

La tensione definitoria tra rinaturalizzazione distintiva e sintesi bioarchitetturale di uno spazio prossimale si equalizza nella sua idealità, al di là che essa si radichi in un’origine mitica o in una utopia urbana come quella della città-giardino. Dal punto di vista temporale, il giardino si offre come a) come conciliazione o traduzione tra la produttività del tempo lineare, proprio dell’intervento antropico, e il tempo ciclico della natura, nonché – dal punto di vista attanziale – b) come articolazione tra accidentalità e progettazione.

Il giardino è una memoria di gesti instauratori che inaugurano un nuovo accoppiamento tra uomo e natura, una solidarizzazione nelle rispettive « fortune ».

3. determinazione identitaria e genealogia istituzionale

i) bilateralità delle determinazioni

Qualificare uno spazio significante come giardino significa ricondurlo a una famiglia di trasformazioni che ha un fondamento istituzionale (l’implementazione e l’istituzionalizzazione del giardino), ossia riconoscerlo pienamente come un oggetto operabile/operativo che vive all’interno di una trasmissione culturale.

Per quanto riguarda la temporalità, da una parte, abbiamo il giardino incantato (luogo immemore del passaggio del tempo) e, dall’altra, il giardino quale memorial naturalistico, opera bioarchitetturale di genere commemorativo che sancisce un mandato intergenerazionale (il giardino è un’opera di cui si eredita il compito di continuare all’infinito l’esecuzione). L’accoppiamento tra questi due aspetti è evidente e nel contempo paradossale : il giardino è un’opera che si perfeziona solo continuando iterativamente a compierla.

ii) latitudine definizionale

Note de bas de page 22 :

« Il giardino è la logica estensione dell’oasi » (Petruccioli 1994).

Note de bas de page 23 :

È la visione di Bacone.

L’ostinato (in senso musicale), sopra rilevato nella esecuzione del giardino, si articola con una perfettività solo asintotica dei processi di oblio e di ricordo: la necessità di procedere all’infinito alla cancellazione del proprio intervento o inversamente di ribadire costantemente il giardino come traccia testimoniale. Ciò sembra entrare il contrasto con l’affermazione che il giardino abbia in primo luogo l’oasi quale derivazione « archeologica22 » primaria. Il ruolo salvifico del giardino non si pone sempre al termine dell’attraversamento del deserto (più spesso il giardino si pone al termine di un progetto d’edificazione23) e anche l’affidamento al suo grembo (Kepos) è talvolta visto come una speranza vana, mal riposta nella coltivazione di piantagioni amene (Isaia, 17.10).

Note de bas de page 24 :

Nella tradizione ebraica la residenza che Dio affida all’uomo è gan, ossia un luogo recintato e securizzato.

La discontinuità del giardino rispetto all’intorno e la sua identità istituita e tutelata può giungere sino alla recinzione dello spazio definitorio : è il giardino in quanto herkos24, il quale sigla una privatizzazione dello spazio, un’esclusività delle fruizioni, una regolarizzazione temporale delle entrate e così via. Il giardino può essere istituito come spazio della collettività (bene di cittadinanza) oppure come un « piccolo paradiso privato », che è poi stato siglato nel tempo con il termine arabo-ispanico di Glorietta.

Note de bas de page 25 :

In realtà, l’hortus non indicava affatto l’orto privato, ma più propriamente il giardino, i quali venivano definiti da Plinio il Vecchio (Naturalis historia, XIX, 51) come «luoghi di delizie», rinviandoli alla tradizione epicurea.

Altri estremi definizionali del giardino che le tradizioni culturali ci consegnano sono da un lato il chortos, ossia l’hortus25 che rende disponibile i suoi frutti ; dall’altro, l’alsos, ossia il giardino sacro i cui frutti devono restare intoccati.

iii) equalizzazione tematica

Note de bas de page 26 :

Cfr. Venturi Ferriolo (1989, p. 73).

Il giardino come spazio di conversione di logiche economico-valoriali si offre come microcosmo omeostatico, dove la spesa dei valori può eguagliare, ma non superare la rigenerazione. L’inconsumabilità del giardino e la sua estetizzazione (esso trova un fine in se stesso), da una parte, e l’ottimizzazione della vocazione munifica e molteplice della natura, dall’altra, possono conciliarsi in un ambiente autotelico che dispensa piaceri senza intaccamento bilaterale delle istanze che lo costituiscono. Lo spazio sacro non è più devoluto (a divinità, a istituzioni, ecc.), ma assunto come proprio intorno : in chiave batesoniana, potremmo dire che il giardino è il prototipo di un cultura ecosistemica in grado di riscoprire laicamente una propria dimensione « sacra ». Questa equalizzazione tematica non è affatto legata solo al presente, ma in fondo risale alla tradizione di un giardino visto come paradiso pagano, è il giardino di Adone e di Afrodite, è l’hortus deliciarum26, ma soprattutto è il giardino di Epicuro a cui è stata attribuita la seguente asserzione : « Il mio giardino non sveglia la fame, la soddisfa ; non aumenta la sete a forza di bere, la calma dandole naturalmente il suo rimedio naturale. Ed è fra questi piaceri che sono invecchiato ». In ogni caso, al di là della dubbia attribuzione di tale frase, è con il suo testamento che Epicuro ha suggellato che la massima eredità affidabile ai posteri è proprio il giardino. Tale topos ricorre anche in Rousseau : « Pianta un albero e se non riesci a immaginare chi un giorno godrà della sua ombra ricordati che i suoi antenati hanno piantato per te senza conoscerti ». Il giardino sigilla allora una congruenza intergenerazionale delle pratiche nel loro testimoniare un lascito di benessere, di agio nell’ambiente naturale in cui si iscrivono.

Il giardino tramandato, secondo una perpetuazione tentativa a staffetta, è il tentativo di una sintesi tra il giardino eternato (ver perpetuum) o incantato (sospensione fittiva) e il giardino vocato all’impermanenza (simbolo della vanità di ogni progettualità).

Come, abbiamo visto, il giardino, sul piano delle pratiche simboliche, è di per sé uno spazio lodato in quanto luogo di ricomposizione di valorizzazioni discordi, luogo di privilegi, luogo di cura, luogo di rinnovamento, luogo d’incontri e luogo di confidenza. Sul piano dell’aspettualizzazione attoriale, il giardino è un luogo di risoluzione delle prestazioni della natura, ancorché attagliate all’apprezzamento del fruitore.

III. Discorso

1. statuto

i) bilateralità delle determinazioni

Il giardino non ha solo un’identità culturale, ma si presta a entrare in concatenazioni discorsive all’interno di un certo sistema culturale. È il giardino visto come possibilità, come risorsa. Nel contempo l’usufrutto del giardino come bene ereditato si offre come piano di esercizio di identità soggettali diversificate (identità corporale, identità estetica, sociale, istituzionale, ecc.) e di attivazione di specifici regimi di valorizzazione.

Spesso il giardino è stato definito una forma d’arte, ma la sua implementazione pubblica è paradossale, dato che essa non è solo un’opera relativamente “aperta”, ma è anche sempre legata a una storia di produzione in atto. Non si tratta solo della conservazione del giardino, ma più propriamente della sua continua rigenerazione biologica articolata con la sagacia delle pratiche di giardinaggio. Si può continuare a visitare un giardino abbandonato, sintomo del suo statuto irrisolto, del fatto che viene implementato come tale solo quando abbiamo il risultato in atto, e costantemente riproposto, di una « performance » accoppiata di natura e giardinaggio. Anche quando è concepito come luogo sottratto al tempo, il giardino assurge a ver perpetuum grazie a una eterna primavera, ossia a una massima performance di natura (è questo il modo con cui Bacone concepiva il giardino).

ii) latitudine definizionale

Gli estremi definizionali che possiamo cogliere nella semiotica delle culture sono il giardino come kepos (grembo) e il giardino come xenos, luogo estraneo. Da una parte il giardino diviene un’estensione inclusiva della propria identità o quantomeno un intorno spaziale attraversato da un complesso di forze centrifughe che riconducono il prossimale all’identitario ; dall’altra, il giardino si pone come uno spazio distale trasportato nell’agio di una relazione immediata con lo spazio identitario. In quest’ultimo caso, la distalità, per definizione non immediatamente commensurabile e interrogabile nelle sue valenze fondative, si trova domesticata (fuori della mura di casa) e pronta a collassare in capitale d’importazione (spazio transizionale) : è il giardino esotico. Ma come detto, è anche lo spazio ad essere efficacemente trasformativo dell’identità del fruitore del giardino; ecco allora che il giardino si offre come microcosmo che esemplifica una distalità, ravvicinandola a tal punto da consentire uno spaesamento del fruitore. Il giardino diviene un operatore di dissolvenza incrociata tra spazio identitario e spazio distale, saltando il campo delle familiarizzazioni (lo spazio prossimale) ; il luogo topico del giardino diviene infatti il romitaggio, che garantisce una solitudine estraniata.

La presenza di configurazioni labirintiche nei giardini – attestata già nel medioevo – si poneva come diagramma mimetico delle tribolazioni erratiche mondane, come esemplificazione di una via Crucis che può trovare il senso del proprio cammino solo attraverso una visione dall’alto (Lichacev 1991) o infine come grafo esistenziale rispetto agli impasse delle ragione.

iii) equalizzazione tematica

Il giardino come spazio di conversione di logiche identitarie si offre come uno spazio prossimale negato, al fine di costituirsi come microcosmo catalizzatore di una risemantizzazione identitaria, sia essa in funzione di una genealogia elettiva (kepos), di una neutralizzazione dell’incommensurabilità dell’altrove (giardino esotico), o di una immersione spaesante (giardino fantastico delle mirabilia).

2. testo

i) bilateralità delle determinazioni

Il giardino è testo in quanto prodotto culturale, situato all’interno di uno scenario di enunciazione ma anche in grado di esercitare una costrizione su quest’ultimo e di esplicitare il grado di assunzione dei valori rispetto alle posizioni enunciazionali. Ogni pratica discorsiva inclusa dal giardino risulta inevitabilmente enunciazione incassata e quindi non reggente.

In quanto testo, il giardino ha un’afferenza storica, un’afferenza linguistica e un’afferenza interpretativa ; nel contempo, esso è memoria debraiata di percorsi di senso che sono già stati possibili.

ii) latitudine definizionale

Il giardino può essere colto sia come un testo agito sia come testo agente. In quest’ultimo caso il giardino è dotato di una propria forza illocutiva, è spazio che prescrive dei percorsi e una dislocazione regionalizzata di pratiche (e fin dall’antichità queste ultime non sono mai state solo di ordine estetico-contemplativo).

Note de bas de page 27 :

Citato in Lichacev (1991, p. 9)

Note de bas de page 28 :

« Il giardino è tutto teso alla parola » (Lichacev 1991, 24).

Note de bas de page 29 :

La musica da giardino (o da parco) ha una lunga tradizione che va da Lully (Eglogue de Versailles) a Stockhausen (Sternklang), passando per il Mozart di Eine kleine Nachtmusik.

Secondo Jacques Delille (si veda il suo trattato Les jardins del 178227) i giardini « parlano, informano, conducono una conversazione, danno lezioni ». Il presunto « mutismo » del giardino, da esplicitare attraverso la decantazione di versi28 o l’esecuzione di musiche29, è stato frequentemente ribaltato nella sottolineatura della sua effabilità silente, e soprattutto della sua costitutiva sincreticità testuale. Per esempio, i giardini sono sempre stati fortemente legati alle sonorità : gli uccelli, le arpe eoliche, le cascate, i getti d’acqua, campanelli mossi dall’acqua, echi, animali meccanici che riuscivano a riprodurre anche il verso dei loro corrispettivi naturali, ecc. (Lichacev 1991).

Il giardino è sempre stato da una parte pensato come « libro della natura » in miniatura, dall’altro letto come registro sintomatico dei valori culturali di una civiltà e di un’epoca. Quest’ultima concezione ha condotto persino a concepirlo come un’opera palinsestuale, e non solo perché « manoscritta », ma anche perché si presenta come un testo in fieri, costantemente revisionato, e articolato su una « scaletta » di sottotesti (di sottospazi) da fruire sintagmaticamente (Scazzosi 1993).

iii) equalizzazione tematica

L’effabilità del giardino è demandata a una sovraiscizione reciproca di discorsi (naturale e culturale). Di fatto, il giardino viene progettato, ma non può ambire ad alcun regime allografico della produzione testuale. Non solo la sua esecuzione è bipartizan (divisa, cioè, tra l’ottemperamento delle prescrizioni progettuali dei giardinieri e lo sviluppo naturale in relazione alle condizioni ambientali), ma la stessa costituzione di uno spazio a luogo di iscrizione del giardino si pone, per ragioni ecosistemiche evidenti, all’insegna di una simbiosi irriproducibile. In pratica, il giardino concresce all’insegna di una autograficità bilaterale tra opera dell’uomo e opera di natura.

3. argomento

i) bilateralità delle determinazioni

Il giardino è uno spazio discorsivo capace sia di pieghe metatestuali sia di un portato eteroreferenziale rispetto al sistema culturale e ai diversi domini del sociale ; è in grado di assurgere a modello di relazione dialogica tra civiltà e natura, di rappresentare il potere politico, ecc. Il giardino supporta così dei ragionamenti figurativi e figurali. Nel contempo, esso si offre come un mossa argomentativa sul piano del dibattito politico, per esempio in chiave ecologista.

Per esempio, storicamente il giardino è stato visto come un testo in grado di asserire la necessità di ribaltare la « cura » : non è più la natura che deve far scudo all’uomo, piegandosi in architettura, ma è l’uomo che deve costruire un luogo, il giardino, dove prendersi cura della natura.

ii) latitudine definizionale

Il giardino ha un’origine mitica in molte culture e vanta spesso significazione allegoriche. Gli estremi che le tradizioni culturali tramandano sono individuabili nel paradeisos perduto e nell’eutopos agognato. L’autonomia delle valenze del giardino rinvia al genius loci (o persino alla provvidenza, qualora il carattere divino della natura sia ritenuto consustanziale) ; a questo paradeisos, dove l’uomo può ritrovare esemplificati i valori di natura come propria stessa origine, si contrappone la progettazione di un giardino utopico, ideale (eutopos), dove l’iniziativa dell’artifex intende pervenire a una distensione irenica del campo di forze naturali e del campo di forze antropiche, sia internamente ad essi, sia tra di essi. Da una parte il giardino si pone come emblema di una rinaturalizzazione (spazio riscattato alla natura), dall’altra come il sigillo di un microcosmo sintetizzato (spazio-ambiente costruito, assegnato all’esercizio delle diverse forme di vita).

iii) equalizzazione tematica

Il giardino come spazio di conversione di domini si pone come un tentativo di reversione di una logica di alienazione reciproca tra natura e cultura, origine e destino. Il giardino come termine complesso si spiega tuttavia solo sullo sfondo della neutralizzazione reciproca dei due opposti, ossia deserto e città (per questo il giardino non è uno spazio preservato, ma casomai contemporaneamente assegnato e riscattato). Inoltre, la tensione traduttiva del giardino resta pur sempre pronta a sbilanciarsi, da una parte, verso un oltre-architettura che finisce per pensare tutta la città come giardino, dall’altra, verso uno sguardo inclusivo che coglie la natura stessa come interna a una logica bio-architetturale.

***

3. La città-giardino tra utopia e distopia

Questo tentativo di contornare il campo semantico del giardino ci permette ora di addentrarci in quello che è divenuto una sorta di topos contemporaneo : la città-giardino. Già in sé, la dizione è significativa di un lungo percorso di trasformazioni e di tensioni semantiche ; il giardino, come spazio riscattato in favore della natura dentro l’architettura della città, come spazio periferico rispetto al centro istituzionale, conteneva fin dall’inizio una sorta di effetto-rebound che lo poneva come intorno inclusivo, come spazio lodato avviluppante. La città-giardino pare essere il punto terminativo di un processo che ha finito per imporre il modello del giardino alla città, quando il primo, inizialmente, non era che il risultato di un esercizio edificativo virtuosistico che si dimostrava in grado di riprogettare la natura (come recupero edenico o come anelito eutopico). L’arte del giardino viene riletta come percorso di sperimentazione in vitro (e in uno spazio transizionale/prossimale) di ciò che infine deve divenire dimora (spazio identitario). Da metacritica al funzionalismo spaziale della città-mercato, il giardino si offre come performatività di un ecosistema che fa tesoro di un’autografia accoppiata tra antropizzazione e rinaturalizzazione.

3.1. Il giardino tra naturale e naturalistico

In realtà, la semantica storica della città-giardino registra non pochi inceppamenti nel suo percorso d’affermazione tematica. In epoca romantica, soprattutto, il “giardino naturale” viene pensato come piena antitesi della città, tant’è che esso deve procedere in senso inverso rispetto a una rinaturalizzazione dell’artificiale : deve cioè dimostrare la capacità di dissolversi nel paesaggio. È l’opinione di Goethe, nel suo viaggio in Italia, espressa in particolare in occasione della sua visita a Caserta e parallelamente attestata dal dipinto Il giardino inglese di Caserta con vista sul Vesuvio di Hackert, compagno di viaggio dello scrittore.

Note de bas de page 30 :

Citato in www.gardenvisit.com/garden_history/garden_types/chinese_garden.htm e in Lodari (2000). Per la teoria implicita del giardino in Mishima si veda il poema « The Dew in That Flower Garden » (1945), il saggio « The Opposite of Beauty : Hong Kong’s Tiger Balm Garden » (sulla rivista Shincho, vol. 58, No. 4), e soprattutto Tennin gosui (The decay of an angel - Sea of Fertility IV, 1970).

A questo giardino come campionamento della natura, dipendente da un’arte che ne mima la complessità di dettagliamento così come l’armonizzazione dell’insieme, e che concilia la sofisticazione estetica con l’usufrutto di un bene condiviso (l’esclusività del giardino si risolve nella comune fruizione del paesaggio), si affianca un’altra tentazione di de-urbanizzare il giardino, certamente più radicale. È quella esemplarmente tematizzata da Yukio Mishima ; tanto più l’artista del giardino (progettista e giardiniere) esalta il proprio ruolo di artifex, in virtù della sua creazione di un vero e proprio microcosmo, tanto più dovrà tagliare il cordone ombelicale che correla il giardino al luogo istituzionale di cui sarebbe complemento, al fine che esso possa giungere a una propria autotelia. Ecco allora che Mishima può infine pervenire all’idea di un giardino monitorabile solo dall’esterno : « Il visitatore sente che anche l’intrusione dei suoi sensi nel giardino costituisce una violazione30 ». La totalità naturalistica del giardino come microcosmo potrebbe così ridivenire natura nel momento in cui essa è ri-inizializzata come programma in grado di procedere autonomamente in assenza dell’uomo.

Note de bas de page 31 :

Panofsky (1962).

Il romanticismo decadentista di Mishima è in fondo il ribaltamento di un idealismo immemore che ha pensato il giardino come mera elezione di uno spazio di natura. Questa idea, sostenuta ad esempio da Walpole, aveva naturalmente alla base l’idea che la natura è già giardino : l’operare umano potrebbe con ciò limitarsi alla partizione di una riserva del naturale. Come ha rilevato Panofsky, questo idealismo era di facciata, tant’è che lo stesso Walpole approntava la sua posizione idealistica in parallelo con l’analisi del lavoro di William Kent (in particolare, il giardino di Stowe), il quale non disdegnava affatto l’uso intensivo di architetture, sculture e quant’altro (Panofsky 1962)31.

Note de bas de page 32 :

In questo schema sono presenti più ordini di parametri : l’estensione delle occorrenze naturali e l’intensità della mira percettiva, nonché, come sfondo semantico, la regionalizzazione partitiva propria del giardino rispetto al tutto in cui si inscrive. Infatti, la totalità del giardino può essere predicata solo a prezzo di una simbolizzazione eminentemente antropica (dal naturale si passa al naturalistico).

Possiamo disegnare un quadro sinottico di queste diverse posizioni romantiche riguardo al giardino32 :

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3.2. La città-giardino

G. Sitwell, un antiquario e letterato inglese (1860-1943), ha significativamente stigmatizzato le ambiguità romantiche riguardo il giardino, mostrando implicitamente come l’unica strada percorribile fosse quella di un connubio con l’edificazione cittadina :

Note de bas de page 33 :

Sitwell (1988).

In realtà, è proprio qui che tutta la teoria del giardino paesaggistico fa naufragio. Non potete sperare di convincerci che la Natura abbia costruito la casa, e quindi perché insultare la nostra intelligenza facendo finta che la Natura abbia costruito il giardino ? Il punto estremo cui può giungere l’artificio è il falso-naturale33.

Note de bas de page 34 :

Si rinvia a Osborn, Prefazione al libro La città giardino del futuro di Howard (Howard 1898, p. XXIV).

Note de bas de page 35 :

Il Palazzo di Cristallo sembra l’antesignano del moderno centro commerciale, anche se significativamente esso è anche la sede del giardino d’inverno.

Ecco infine che con un allure quasi eretica si è pienamente formulata, sul finire dell’Ottocento, la progettualità (e non la mera utopia) di una città-giardino. Ebenezer Howard, con il suo libro Garden Cities of Tomorrow (1898), portava a modellizzazione economica una prassi denominativa che di tanto in tanto attribuiva l’epiteto o persino il toponimo di « città-giardino » a grandi centri (ad es. Chicago), a piccole cittadine (ad es. Christchurch in Nuova Zelanda) o a sobborghi (ad es. Long Island di New York34). Come si può vedere dal diagramma prototipico elaborato da Howard, la città-giardino è contornata da lotti agricoli a loro volta incluse da territori di nuova forestazione; dentro la città troviamo un circuito periferico di collegamenti che connette le case dotate ciascuna di giardini. Le sedi commerciali sono più centralizzate ma trasparenti (crystal palace35) in modo da allacciare, anche visivamente, l’intorno abitativo con il nucleo centrale costituito da un parco (central park). All’interno di questo parco, come si evince in realtà solo da un ulteriore schema (qui non riprodotto), vi è un centro delle arti e delle lettere assieme a ospedale e municipio, a sua volta includente il nocciolo parametrico di tutta la città : il giardino.

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Note de bas de page 36 :

Si rinvia alla Prefazione di Osborn, op. cit.

Note de bas de page 37 :

Nel libro di Howard i cittadini risultano piuttosto come tenutari di una concessione ad edificare e coltivare, ma è comunque indubbio che la concentricità ideale della città è quella che sigilla l’idealità di un « condominio » del giardino (la partizione della proprietà diviene una subordinata rispetto all’istituzione del giardino comune e della foresta inglobante).

La città giardino ha in sé sia una razionalizzazione economica, sia una un’utopia sociale. Ciò ne ha immediatamente rivelato la natura contraddittoria ; da un lato, realisticamente, essa poteva porsi come base progettuale per nuove città-satellite di grandi metropoli, dall’altro essa aspirava a raggiungere una piena autosufficienza, sposando l’autotelia ideale del microcosmo « giardino ». Nella definizione del 1919, da parte della Associazione di Città Giardino e della Progettazione della Città, si legge che « la terra è di proprietà pubblica o gestita dalla comunità36 » ; ci si riferisce direttamente alla parte agricola, ma è evidente che ciò vale simmetricamente per il giardino e il parco pubblico che si pongono come epicentro ideale della città giardino37. Essa è uno « sposalizio » tra campagna e industria nel momento in cui riconoscono la dipendenza comune dalla « nostra buona madre terra » (Howard 1898, p. 5).

3.3. Giardino pensile e giardino pubblico

Nella memoria storica abbiamo due preludi significativi della città giardino. In primo luogo, il giardino pensile, in qualità di appendice tensiva dell’edificio, non era che il tentativo di convertire (secondo una sorta di teosofia « operativa ») l’artificio/edificio architettonico nel connubio tra acqua e seme antropico (spirito umano), al fine di dar vita miticamente a quella unione tra terra e cielo che fin dall’epoca dei Sumeri era suggellata, iconograficamente, dalla « donna arborea » : donna che dà linfa (nutrimento), connettendo mondo terrestre e celeste. Nel giardino pensile, trascendenza della natura e giurisdizione dell’uomo potevano superarsi reciprocamente, ora in un oltre-natura, ora in un oltre-architettura.

Questo co-dominio in verticale, ha come contraltare, nell’orizzonte sociale, l’elaborazione storica del giardino pubblico. Città e agricoltura sono il ridisegnamento antropico del territorio, rispetto al quale il giardino si pone a suggello di un’emancipazione raggiunta. Innanzi tutto, questa tensione asintotica dell’architettura verso il giardino si registra come partizione della dimora, come emblema di civiltà e come traguardo di una cultura estetica.

Note de bas de page 38 :

Bacon (1625).

Senza [il giardino] costruzione e palazzi sono soltanto rozze opere manuali ; e si vedrà sempre che, quanto i tempi diventano civili ed eleganti, gli uomini pervengono a costruire sontuosamente, prima che a piantar giardini con gusto, come se il giardinaggio fosse più grande perfezione38.

Il giardino non si correda in seconda battuta di statue, edifici, iscrizioni, ecc., ma dipende da un viaggio al termine dell’architettura. In questo senso, le statue e gli edifici possono persino apparire come dei « residuati », articolati con sottospazi appartati (luoghi raminghi) e pronti a sconfessare la loro provenienza artificiale e il loro essersi imposti sul territorio per risignificarlo (archeologia esistentiva). Il giardino è esaltazione della riprogettazione del territorio e contemporaneamente palinodia del sacrificio di un luogo a fini edificativi.

In tal senso, il giardino non è mai la celebrazione di una « terra promessa » ; è già da sempre nella territorializzazione cittadina e nemmeno tende a sfuggervi. Il giardino ha piuttosto un’identità culturale (un’ipseità) che si espone in quanto spazio « promettente ». Il carattere rassicurante e seducente del giardino si è allora attivato nel segno dell’esclusività proprietaria.

Note de bas de page 39 :

Leopardi, Lo Zibaldone, vol. II, pp. 1096, Milano, Mondadori, 1972.

Note de bas de page 40 :

Rilke, Lettera a Lou Salomé, 18 luglio 1903. Per questi riferimenti letterari abbiamo attinto dal lavoro di Enzo Cocco (2003, p. 224).

Note de bas de page 41 :

Baudeleire, Les veuves, in Le spleen de Paris, p. 401.

Note de bas de page 42 :

Trakl, Sfacelo, cit. in Cocco (2003, p. 224).

Note de bas de page 43 :

Valéry, Monsieur Teste, Milano, SE, 1980, p. 42.

Ora, la diffusione dei giardini pubblici, in epoca industriale, è correlativa di un sentimento di depauperamento condiviso dello spazio vitale di tutta la popolazione cittadina. Il giardino pubblico è innanzi tutto uno spazio metropolitano che diviene cartina di tornasole della coesistenza tra industrializzazione e natura, nonché un luogo per « rifugiati ». Ecco allora che l’utopia di Howard, in cerca di un connubio tra capitalismo e ecologismo, ha come sfondo una distopia del giardino pubblico, additato da Leopardi come « vasto ospitale » (« luogo ben più deplorabile che un cemeterio »39) o visto da Rilke come « figura dello sfacelo e del patimento40 ». Così come il giardino diviene rivelatore di una natura sofferente, così esso si trova ad essere luogo di manifestazione sintomatica del disagio della civiltà. I suoi «remoti viali» sono frequentati, infatti, « da tutte quelle anime tumultuose e chiuse, in cui risuonano ancora gli ultimi sospiri d’una tempesta e che si ritraggono lontano dallo sguardo insolente dei gioiosi e degli oziosi41 » (Les veuves, in Le spleen de Paris, p. 401]. Se Trakl tematizza questa disgregazione accoppiata di soggetto e natura («Vagando nel giardino denso d’ombre sento appena scorrere le ore. Ma un alito mi fa tremare di sfacelo42 »), Valery parla del giardino pubblico come luogo di rovine e vaporizzazione dell’io (cfr. Cocco 2003, p. 224), frequentato da « assenti di ogni specie» che «cercano le loro scambievoli lontananze43 ».

Note de bas de page 44 :

Venturi Ferriolo (1989, p. 189).

Nell’industrializzazione imperante l’avvento del giardino registra la precarizzazione del valore salute44 tanto da assurgere persino a una sorta di « still life a cielo aperto » posta a preludio di un disastro della civiltà. Il giardino diviene sintomo di una « ospedalizzazione » del cittadino e di una lateralizzazione delle disposizioni cognitive e affettive non performative. La sospensione della temporalità ciclica del lavoro, garantita momentaneamente dalla frequentazione del giardino, enfatizza ogni richiamo (persino ogni refolo di vento) come additamento del tracollo della propria identità, sospesa tra ruoli attanziali sociali a cui ci si sottrae e ruoli attanziali individuali che non trovano più consistenza. Ecco che il giardino, da protesi identitaria del cittadino modello o delle istituzioni, diviene, una volta pubblico e decentrato dalla vita febbrile del lavoro, un luogo di residuati naturalistici e di aspersioni di soggettività residuale, altrove (dominio lavorativo) ben altrimenti immolata. Il carattere appartato del giardino non fa che sigillare una solitudine già raggiunta ; i suoi viali remoti non sono che diagrammi delle distalità tra soggetti e loro valori di base, distalità tanto comuni e oramai indefinite da poter equivalere ; il minimo di inter-attanzialità, vivibile nel giardino pubblico, è attivato dalle folate di vento, ma esse non trovano più nemmeno una carne che possa opporsi, portando il dominio del me nell’indefinizione di un intorno moribondo.

4. L’architettura naturale e gli edifici-giardino

Note de bas de page 45 :

Per uno studio dell’opera di questo architetto si veda in particolare Ambasz, Natural Architecture, Artificial Design, Milano, Electa, 2001, nonché il sito www.ambasz.com.

Il nostro excursus si conclude con una breve disamina di una tendenze dell’architettura contemporanea che sembra farsi carico e portare alle ultime conseguenze la semantica storica del giardino. In particolare, ci riferiremo all’opera di Emilio Ambasz45. La poetica di questo architetto è stata spesso etichettata come architettura ambientale o architettura naturale, ma si è talvolta anche avanzata l’idea che si tratti di una sorta di meta-architettura sotto forma di iper-natura. Dismessi tutti i panni costruttivisti, formalisti, morfogenico-matematici dell’architettura contemporanea, Ambasz - un po’ come Stockhausen nella musica - ritorna a una sorta di architettura delle origini che è in realtà un oltre-architettura mediato da tutta la tecnica disponibile.

4.1. L’eden progettuale : il giardino come vivaio di forme architettoniche ireniche

Note de bas de page 46 :

Il giardino è un’opera aperta e allografica, come hanno perfettamente rilevato gli studiosi di restauro delle architetture vegetali, anche nel senso che vi è un’iniziativa esecutiva lasciata alle piante. Questa delegazione di iniziativa può ricadere a pioggia anche sugli elementi inanimati, per cui fin dalla tradizione latina (Cicerone per esempio), si sospettano animazioni improvvise di statue, tra l’altro alquanto presenti nei giardini romani. Gombrich (1999), del resto, ha sostenuto che questa animazione delle sculture all’aperto dipende dal fatto che esse hanno funzioni tutelari, ammonitrici, ecc. ; più in generale, esse si attanzializzano in relazione di una specifica aspettualizzazione dello spazio del giardino.

Nell’« architettura naturale » di Ambasz è l’edificio a cooptare (e non solo ad ospitare) il giardino in quanto equilibrio tensivo tra forme viventi dei terraria, da una parte, e forme iscritte nell’inorganico proprie degli aedificia, dall’altra. Del resto, l’armonizzazione tra la costruzione di case (facĕre aedes è la base etimologica di edificio) e l’assegnazione di spazi che riproducono le condizioni di crescita in libertà della natura (terraria e aquaria) è sempre stato foriera di utopiche conciliazioni e trasposizioni, culminate - come visto - con l’idea di città-giardino. L’architettura naturale si pone al termine di complesse trasformazioni nella semantica storica del giardino, ciascuna delle quali si è posta come esito locale di specifiche « nevrosi » culturali. Ad esempio, a partire dall’epoca barocca, l’utopia di un dominio congiunto tra naturalia ed artificialia si è spesso tradotta in un anelito talmente privo di fondamento (illusionistico o comunque capzioso) da risolversi nella letteratura fantastica (le statue poste nel giardino si animano46, le rovine architettoniche acquistano vita riponendosi sotto l’egida della natura) o nella trasfigurazione elettiva e persino cultuale (grotte artificiali come rifugi naturali e configurazioni naturali che assurgono a templi) ; soltanto eccedendo il loro rispetto statuto, naturalia e artificialia potevano assurgere assieme a mirabilia. Per contro, in epoca contemporanea, il vivaio si pone come resistenza in vitro all’urbanizzazione imperante, e il giardino, o persino la città-giardino, trovano come sfondo semantico non più il capriccio formale del fato (proprio delle mirabilia), ma la contingenza di una compromissione ecosistemica tra uomo e ambiente.

Rispetto alla conversione dello statuto degli elementi naturali (dalle forze ambientali alle risorse energetiche, dall’albero al legno da costruzione, dai frutti alla merce, ecc.) e al « sacrificio dei luoghi » a fini edificativi, il giardino si è proposto come terreno di coesistenza e conciliazione tra il divenire della natura e le pratiche umane, all’insegna di una sovraiscrizione reciproca e irenica. Naturalmente, tale conciliazione è stata progressivamente colta nella storia come una tensione asintotica e bipolare, ossia proiettata, da un lato, a riscoprire la libertà bio-morfogenetica che informa l’architettura, dall’altro, a cogliere la progettualità « protoarchitetturale » della natura stessa.

Ora, se alla stratificazione integratrice della memoria naturale del paesaggio si è contrapposta solitamente la sfida immemore dell’edificazione in verticale, l’architettura naturale di Ambasz propone, invece, una loro conciliazione che fa del palazzo stesso un giardino. Ciò finisce, in realtà, col ribaltare entrambi i termini associati ; vale a dire, la « casa » tende a saldarsi con la morfologia del territorio e il giardino può assumere la forma di un edificio (e ciò anche a prezzo di rinunciare, in parte, alle proprietà funzionali di quest’ultimo, quali la praticabilità degli spazi interni). L’architettura interviene, in tal senso, con un tratto antropico che deve essere carico non solo di storia artistica, ma anche di « geologia » : deve firmare il proprio fare cancellandosi tra tracce millenarie. Per contro la natura-edificio diviene discorso architettonico che denuncia apertamente un rischio di impermanenza, quando non afferma persino la più indifesa vulnerabilità al tempo.

Il prezzo pagato odiernamente da tali ribaltamenti - presentati talvolta come discorsi architettonici terapeutici rispetto alla nevrosi progressista della trasformazione della natura - è quello di restare sulla carta o tutt’al più di « passare » al vaglio delle commissioni sotto connubi posticci e banalmente decorativi. Nella formulazione ossimorica di architettura naturale si palesa il rischio stesso di porsi come un mero « eden progettuale » : essa pare destinata, cioè, a restare « programma sulla carta », visto che il paesaggio culturale odierno è nient’affatto pronto a tradurla in pianificazioni e a sostenerne il costo economico, se non nell’esemplare unico, eletto occasionalmente a « monumento » della buona amministrazione (ai salvacondotti concessi, si sa, si sono sostituiti oggi, in tempo di democrazia, i « salva-coscienza » autogarantiti). Eppure, la « cittadinanza » del giardino nell’architettura degli ultimi trent’anni resta un campo di ripensamento complessivo dell’intervento sul paesaggio ; le poste valoriali e le forme di vita che stanno alla base di tale progettualità non possono che essere un campo di indagine significativo per la semiotica, soprattutto quando i progetti architettonici si destinano a restare exempla ficta e segni in controtempo.

4.2. Il giardino come argomentazione conclusiva della contemporaneità

In conclusione, esaminiamo qui brevemente alcune progetti di Ambasz. Il Fukuoka Prefectural International Hall (1990) non costituisce solamente una conciliazione tra giardini pubblici e giardini pensili. In fase progettuale, si è dovuto contemperare la necessità di garantire una nuova prefettura con la preservazione di un minimo territorio cittadino riservato al verde. Di fronte a una conurbazione decisamente agli antipodi rispetto alla città-giardino, si finisce per lasciare al giardino quel tanto di spazio che possa convivere con l’architettura funzionale e istituzionale. La soluzione di Ambasz è quella di realizzare una prefettura che è anche il giardino pubblico della città, attualizzando contemporaneamente un ribaltamento semisimbolico nella dominanza prospettica tra spazi decisionali istituzionali e spazi ricreativi della cittadinanza : quest’ultimi, infatti, giungono a sovrastare i primi. A una città eterarchica, dove ogni dominio sociale ha garantita una separatezza anche di ordine spaziale, qui si contrappone una convivenza, un’articolazione e una trasparenza reciproca. Tra il tempo stagionale (ciclico) del giardino e quello delle istituzioni (tempo del calendario) ci sarà possibilità di una narrativizzazione comune costruita per immediata sovraiscrizione reciproca. La distalità degli interventi decisionali potrà articolarsi con la prossimalità del loro monitoraggio, se non altro ideale. La compenetrazione di interno istituzionale ed esterno ricreativo funge da smentita di qualsiasi chiusura di palazzo e giardino. Nel contempo, lo stesso giardino pubblico perde il suo carattere appartato e ombratile ; non è più luogo di rifugio e di auto-occultamento rispetto alla scena pubblica.

Fig. 1 E. Ambasz, Fukuoka Prefectural International Hall

Fig. 1 E. Ambasz, Fukuoka Prefectural International Hall

Fig. 2 E. Ambasz, Fukuoka Prefectural International Hall

Fig. 2 E. Ambasz, Fukuoka Prefectural International Hall

Con il progetto del New Town Center e della Chiba Prefecture (1989), la ricerca di Ambasz si è fatta ancora più estrema, tant’è che il progetto è rimasto ineseguito. Non solo le diverse cellule strutturali degli edifici principali sono costituite da nicchie contenenti ciascuna delle piante, ma persino le mura di recinzione e gli edifici laterali si risolvono in stratificazione di cellule espositive di piante. I pattern architetturali, da un lato, sconfessano la finalità razionalizzatrice, destinandola a ubiquazione di elementi vegetali, i quali, tra l’altro, con la loro morfologia specifica, innestano una poliritmia irrequieta; dall’altro lato, tali pattern assumono localmente una capricciosità curvilinea, degna della flessuosità delle piante. L’arte topiaria (ogni singola pianta è rettificata ad arte) convive con la biomorfologia architetturale, così come l’imponenza degli edifici si contorna della esplicita vulnerabilità e provvisorietà delle architetture naturali. Le logiche architetturali e la bioformatività si intrecciano : ogni singola pianta è sacrificata al disegno dell’insieme, ma nel contempo sacralizzata dalla loggia che la contiene.

Fig. 3 E. Ambasz, New Town Center

Fig. 3 E. Ambasz, New Town Center

Fig. 4 E. Ambasz, Chiba Prefecture

Fig. 4 E. Ambasz, Chiba Prefecture

Fig. 5 E. Ambasz, Chiba Prefecture

Fig. 5 E. Ambasz, Chiba Prefecture

Nel 1998, Ambasz ha ridisegnato l’ENI Headquarters’s Office, ma anche in questo caso, il progetto (pur meritorio del secondo premio) è rimasto sulla carta.

Fig. 6 E. Ambasz, ENI Headquarters’s Office

Fig. 6 E. Ambasz, ENI Headquarters’s Office

Fig. 7 E. Ambasz, ENI Headquarters’s Office

Fig. 7 E. Ambasz, ENI Headquarters’s Office

Non abbiamo più a che fare con giardini pensili, ma con giardini in verticale che paiono dissolvere la parte interna dell’edificio, ossia quella funzionale. I venti piani del palazzo diventano miriadi di nicchie con protagoniste le piante e un gioco di specchi sembra costruire una dematerializzazione della struttura soggiacente (solo di lato è visibile). Per una compagnia petrolifera quale l’Eni, è chiara l’idea di un « sandwich » naturalizzatore in grado di simbolizzarne una conversione ecologistica. Nel contempo, una struttura in vetro, nella facciata principale, si protende dall’alto in avanti, ponendosi come spazio topico delle performanze, e in genere del comando : è un plancia sospesa tra le piante (condivisione assiologica e dipendenza dalla natura reggente) eletta a luogo di mosse trasparenti rispetto all’osservatore esterno.

Il Nichii Obihiro Department Store (progetto del 1987) è stato progettato tenendo conto del clima pressoché siberiano della città di Obihiro. Il centro commerciale diviene una sorta di macro-serra in grado di preservare un’eterna primavera. Questa riedizione del ver perpetuum appare simbolicamente sigillata dalla struttura « a cristallo » dell’architettura, struttura che a sua volta entra in relazione isotopica con la neve che copiosamente cade d’inverno sulla città. Il Department Store progettato da Ambasz, dall’esterno, dovrebbe assomigliare a una sorta di fantasmagoria, perché alla trasparenza si associa una demoltiplicazione delle sfaccettature che rende il vetro un attante di controllo sempre diverso rispetto all’incidenza della luce: ciò non fa che ribadire la sua struttura « cristallina ».

Fig. 8 E. Ambasz, Nichii Obihiro Department Store

Fig. 8 E. Ambasz, Nichii Obihiro Department Store

Fig. 9 E. Ambasz, Nichii Obihiro Department Store

Fig. 9 E. Ambasz, Nichii Obihiro Department Store

Il fatto oltremodo significativo è che un centro commerciale viene trattato come una serra tantoché viene sottoposto allo stesso trattamento riservato al Botanical Center Lucille Halsell Conservatory di San Antonio nel Texas (1982). Ma l’esempio più mirabile e stupefacente dell’architettura naturale di Ambasz è il Monument Tower Offices di Phoenix (1998), che ha conseguito nel 2002 l’American Architecture Award.

Fig. 10 E. Ambasz, Monument Tower Offices di Phoenix

Fig. 10 E. Ambasz, Monument Tower Offices di Phoenix

Si tratta di un complesso monumentale (celebrazione della Monument Valley) e nel contempo funzionale (34 piani di uffici). L’architettura diviene mimesi di una lavorio millenario del tempo sul paesaggio naturale (memoria significata). L’idea è poi quella di costruire, tra le strutture, una sorta di passaggio-breccia che drammatizza la costituzione di una piazza, dando al luogo-simbolo dello scambio mercantile la forma di un canyon. Tutta la struttura è ricoperta da alette frangisole monocrome : il risultato è un involucro monolitico (forma) e impenetrabile (filtro) che si pone contemporaneamente come una superficie multisfaccettata di rifrazione della luce solare. Ecco che, da un lato, tale trattamento della superficie non fa assorbire calore alla struttura (il corpo bio-architetturale perviene a un’auto-regolazione climatica « naturale »), dall’altro crea una sorta di continuo baluginare dei valori luministici rifratti. Ne dovrebbe sortire una sorta di palpito continuo dell’apparire di questi palazzi che ne assegna una sorta di instabilità figurativa in antitesi alla loro morfologia « rocciosa ». Mettendo fuori gioco le superfici a specchio dei palazzi contemporanei, il Monument Tower Offices rigetta una spettacolarizzazione della vita nelle strade per significare un palpito interno della vita lavorativa della città. Oltre ad essere previsti all’interno, su piani sfalsati, dei giardini d’inverno, gli spazi in cui questi si collocano sono caratterizzati da una particolare modularità degli ambienti atta a consentire che ciascun locatario possa costituire un proprio spazio-giardino (vi sono già le predisposizioni funzionali).

Il « giardinaggio dell’architettura » è servito come costruzione di una autografia condivisa tra firme naturali e artificiali in grado di costruire una dissolvenza incrociata con l’intorno paesistico. A questa operazione, già in auge con Wright, Ambasz affianca soluzioni più paradossali e solo apparentemente « fusionali ». L’architettura naturale ha consumato i residui romantici e sonda la semantica storica di giardini ed edifici in un bricolage delle rispettive semiotiche. Non purifica i segni rispettivi, ma li scambia vicendevolmente, interrogandone la portata. Le architetture naturali interrogano la precarietà dell’architettura e problematizzano la cura del luogo per la sua specifica vulnerabilità, contrapponendosi con ciò all’enfasi autoreferenziale del monumento (quest’ultimo autocelebra, prima di ogni dedica, il suo carattere tensivamente imperituro). Assurto ad edificio, il giardino non è più spazio lodato esclusivo ; da privilegio assegnato ex post, il giardino è, ex ante, forma connaturata della « fortuna » dell’istituzione e della casa. Il giardino non è più luogo di racconti mitici (spazio di conciliazione), né di episodi occasionali (luogo dell’incontro) ; il « giardino di facciata » si dà come spazio discorsivo interpellativo che questiona le forme di vita, e non più le esemplifica avviluppando il corpo del soggetto. Un intero centro commerciale viene trattato come un giardino d’inverno in serra (terraria ed aquaria), una via d’affari come un canyon. In quest’ultimo caso, il giardinaggio dell’architettura passa attraverso una determinazione figurativa che non rispetta più la scala microcosmica del giardino, tant’è che questo non può più assurgere a spazio della confidenza. Per contro, la rinaturalizzazione dell’edificio è mascheramento estensivo dell’attività febbrile che contiene e nel contempo fulgida appariscenza della sua intensità.

La memoria significata del Monument Tower Offices di Phoenix - iconicamente correlato alla Monument Valley - è aperta artificializzazione della geologia del territorio, mentre la sua « apparizione » sempre diversa (per via delle alette frangisole) sembra irretire e mimare la sedimentazione di una memoria esperienziale propria della cangianza del giardino. Come memoria esistentiva, quest’opera estrema di Ambasz pare significare la massima sofisticazione di calcolo statico e di sfruttamento dei materiali, nel mentre lascia contemporaneamente risuonare un effetto sharawadgi.

Il giardino, in Ambasz, diviene uno spazio identitario spaesante, vulnerabile e inconsumabile come un alsos (un giardino sacro). Il suo statuto aperto sembra, da un lato, aprirsi alla accoglienza e alla correlazione semantica con le pratiche quotidiane e istituzionali, dall’altro questa plasticità ospitativa pare inflettersi in una reinterrogazione delle loro coordinate. Infine, l’architettura naturale di Ambasz argomenta una crisi della dialettica tra edifici e giardini e della loro accorta distribuzione metropolitana ; ponendosi al tramonto dell’utopica città-giardino, trasforma la pelle comunicativa degli edifici da decorazione a giardino introiettato, e all’irenismo della convivenza tra forme dell’artificiale e del naturale sembra sostituirsi un sibillino espressionismo nella rispettiva dismissione dei ruoli. Alle statue terminative del giardino si sostituiscono le piante con foggia topiaria, mentre l’edificazione nasconde le proprie strutture interne ; affacciando solo una parte vitrea come una serra, essa sigla ciò che si ostenta come « sotto controllo » nel mentre rende fantomatica la propria assertività istituzionale.