Intermedialità e telefoni portabili di nuova generazione: una ricerca di terreno

Giulia CERIANI 

https://doi.org/10.25965/visible.224

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Discorso sociale e intermedialità

L’intermedialità si pone, dal nostro punto di vista, nient’altro che come una forma peculiare di intertestualità : dove il sistema dei rinvii tra semiotiche autonome appare peculiarmente interessato dal fatto che queste stesse semiotiche – forme alternative di manifestazione – siano di fatto dei media, ovvero canali paralleli di trasferimento della significazione che si trovano d’improvviso ad essere combinati e ordinati. Con conseguenze tanto di natura interoggettiva, relativamente alla gerarchizzazione assunta dai singoli mezzi all’interno della struttura comunicazionale prescelta, che di natura intersoggettiva, per quanto concerne le opzioni relazionali messe in atto in tal modo.

Per questa ragione, l’intermedialità, sia essa visiva o pertinente a non importa quale sistema espressivo, è produzione significante più complessa della crossmedialità che peraltro ci sollecita sempre di più in questa congiuntura : perché è sistema e non mero affiancamento/incrocio di canali, e perché all’interno di questo sistema è suscettibile di rovesciare le priorità funzionali che ancora (forse per poco) focalizzano la destinazione di un mezzo su un senso ed eventualmente una funzione privilegiata. Fino, ci sembra, a poter evidenziare delle forme percettive proprie che cercheremo di evocare per quanto concerne il corpus specifico dell’analisi di terreno di cui faremo l’esempio.

Parleremo, in particolare, di una ricerca che abbiamo condotto per MTV Italia, attraverso un panel durato un mese. La ricerca ha avuto per oggetto la « deprivazione » da musica, e si è allineata al protocollo delle ricerche « about deprivation » relativamente frequenti nella sperimentazione scientifica.

Per quanto ci concerne, la metodologia ha previsto la selezione di un gruppo di 24 ragazzi, metà maschi e metà femmine, in quattro città italiane (Milano, Roma, Bologna, Catania), in età tra i 14 e i 30 anni ; tutti fortemente appassionati di musica, con parametri di ascolto molto alti. A questi ragazzi è stato chiesto di astenersi dall’ascolto per la durata di un mese, e di testimoniare a noi del loro progressivo stato fisico, psicologico e relazionale attraverso una serie di canali mediatici messi a loro disposizione : un telefonino multimediale, una segreteria telefonica, un forum on line ; oltre a un’intervista ciascuno di tipo etnografico, che li impegnava a trascorrere un’intera giornata con un nostro ricercatore, con il quale hanno svolto le attività per loro abituali in quel giorno.

Al di là dei risultati empirici, la questione che si è posta, allora, è la seguente : come una fonte sensoriale come la manifestazione musicale, che attraversa per definizione più mezzi (televisione, cinema, radio, ipod, lettori mp3, stereo, computer, telefonini, altoparlanti, ecc.), si trasforma o è sostituita – nel momento in cui è artificialmente sospesa – in modalità significanti che ne compensano l’assenza e che possono trovare spazio in consumi o comportamenti sostitutivi, dei quali in questa sede non interessa parlare, ma anche in forme di rappresentazione che attraversano nuovamente i mezzi, sui quali invece intendiamo riflettere : nel nostro caso in particolare il videotelefono, e poi la segreteria e on line (il forum).

L’ossessione della presenza

La questione centrale è, ci sembra, ancora quella della presenza. Ovvero del rapporto che si pone tra fenomeni visibili, dunque di manifestazione, e fenomeni di ordine logico, nel momento della loro rappresentazione.

Questo aspetto prende in considerazione due fattori : da un lato, l’ossessione della presenza che appare la cifra trasversale della nostra contemporaneità, stato di esistenza che definisce una volontà durativa delle fanie, e contemporaneamente (conseguentemente) di sospensione del dato diacronico ; dall’altro, le modalità di scivolamento da un mezzo all’altro che la convergenza multimediale impone, sorta di paradossale memoria presentificata entro la quale la potenza di convocazione dell’uno determina la sopravvivenza dell’altro.

Note de bas de page 1 :

Éric Landowski, Présences de l’Autre, Paris, P.U.F., 1997.

Presenza, come direbbe Éric Landowski1, « all’altro » più ancora che « dell’altro » : dove la musica, sostituita/evocata da una pluralità di manifestazioni che interessano più canali mediatici, interviene come copresenza virtuale, esattamente come all’interno dell’interfaccia del telefonino – mezzo sempre meno destinato alla parola – è una foto, o un film, il sistema semiotico scelto per presentificare l’oggetto assente. Assenza-presenza del mezzo e, insieme, assenza-presenza del codice di rappresentazione, deprivato. Dove, se sul piano della semiotica situazionale si tratta di riempire attraverso la musica una solitudine esistenziale che è anche incapacità ad esprimersi – come nel caso dei giovani da noi osservati –, sul piano della semiotica intermediale la questione diventa invece quella della ricerca di una presenza che è via di fuga rispetto alle possibilità di un mezzo sempre invariabilmente delimitato dai codici che concernono la sua sostanza dell’espressione : dove al telefonino non basta la voce e all’immagine che convoca per integrarla non basta la fissità fotografica e alla fissità fotografica si sostituisce l’mms verbovisivo, in una fuga di canali che non fanno che moltiplicare l’insufficienza dei singoli e l’insoddisfazione che spinge ogni convocazione a fare appello ad una ulteriore.

Segnali deboli, in ogni caso : si tratta di parvenze mediali che rinviano al media d’origine in modo comunque vada desaturato, quasi che ci fosse un prezzo (in parte banalmente causato dallo stato attuale dell’evoluzione tecnologica e delle competenze afferenti) per il quale la convocazione di un assente ne può essere solo parzialmente mimetica.

Di fatto, si tratta di altra cosa. Nella pratica intermediale, quanto meno in quella che abbiamo avuto modo di osservare, la volontà di presenza definisce tutta l’istanza manipolatoria, come che sia e a più livelli enunciativi : quello del mezzo che debraia la narrazione evocando più livelli testuali (l’interfaccia del telefonino, la voce, l’mms, l’sms che sovente lo accompagna ; oppure l’arena del confronto del forum on line ; o ancora il grande racconto all’assente che è quello proprio alla segreteria telefonica). Livelli dentro i quali non si perde tuttavia occasione di ritorno al qui ed ora, embrayage da enunciazione enunciata in cui la volontà di protagonismo si affianca alla promessa del canale intermediale, che è sempre promessa paradossalmente mediata : un film con la qualità di una ripresa dilettantesca, una foto mai a fuoco, un dibattito senza altra passione che quella degli emoticons, un dialogo senza interlocutore come quello aperto da una segreteria con un risponditore meccanico.

La rimediazione necessaria

Note de bas de page 2 :

J.D. Bolter & R. Grusin, Remediation, Understanding New Media, London, MIT Press, 1999.

Diremo allora che, forse, alla nozione ancora troppo vaga di intermedialità è possibile sostituire quella di rimediazione : nata da una rielaborazione di Bolter & Grusin2 di una prima intuizione di Mc Luhan – « il contenuto di un medium è sempre un altro medium » –, la rimediazione assume l’esistenza di una tensione dialettica. Non tanto, come vorrebbero gli autori, tra vecchi e nuovi media, quanto, a noi sembra, tra una forma mediale e l’altra fino alla realizzazione di una sorta di ibridizzazione che è la realtà del nostro presente. Non discontinuità gerarchica, allora, ma gradualità di presenza duttile e immediata, con gerarchie mobili e soggettivamente investite : secondo immediatezza (o trasparenza) o secondo ipermediazione (opacità).

La logica di presenza ha l’obiettivo di tenere in contatto il medium e ciò che rappresenta incorporando livelli di realtà diversi : la tecnologia allarga la dimensione esperienziale in senso puramente fatico, indifferente alla qualità di quella rappresentazione pur di fornire l’illusione di interfacciamento all’origine. Al contrario, l’ipermediazione consente di mettere in scena formati incorniciati da un frame di riferimento che mantiene la propria priorità di interfaccia mediatore verso narrazioni debraiate.

Note de bas de page 3 :

Id., p. 40.

Ed ecco che la rimediazione, nelle sue due modalità, appare concetto più duttile ed anche prudente di quello di intermedialità, nella direzione che ci sembra intuitivamente quella giusta : sviluppo di un medium singolo prodotto dalla convergenza invece che di una pluralità di forme mediali. Attore sincretico che andrebbe a confrontarsi con una modalità percettiva invariabilmente sinestesica, dove « nessun medium, e certamente nessun evento mediatico, sembra poter svolgere oggi la propria funzione di comunicazione in condizione di isolamento dagli altri media »3.

Ciò detto, è chiaro che l’immediatezza è una forma di intermedialità che mira alla naturalizzazione dei processi, là dove l’ipermediazione ne sottolinea l’artificialità : contribuisce, nel primo caso, la tecnologia umts dei telefonini di nuova generazione e la loro accessibilità/immediatezza di contatto, unitamente alla disponibilità alla trasmissione visiva di tipo dinamico. Al contrario, l’ipermediazione moltiplica le copresenze mediatiche su una sola interfaccia.

Dal canto suo, la rimediazione, nel suo complesso, – nella definizione di Bolter & Grusin – si applica alla rimodellazione di vecchi media nello spazio digitale, ottenendo anche una forma di intermedialità : una definizione che sembra a nostro avviso relativamente limitata rispetto alle sue potenzialità. Quella, possiamo dire, di rimodellare da un lato l’affabulazione come modalità sempre sincretica e multiattoriale, dove i singoli mezzi si affiancano nella gestione di un’interazione complessa ; e quella, dall’altro, di governarne l’interdipendenza non tanto sull’asse del rapporto da vecchio a nuovo, quanto su quello dello scambio delle funzionalità (in particolare per quello che riguarda il videofonino, nelle forme miste mms come nel rovesciamento delle priorità tra sonoro e visivo).

Le terrain

È così che nella ricerca di terreno da noi evocata – non specificamente dedicata all’intermedialità ma certamente al centro di fenomeni intermediali – si è sviluppata, in particolare all’interno del mezzo telefonico multimediale, una produzione di segnali visivi e verbovisivi (mms), oltre che audiovisivi : pronti a sostituire la parola, in apparecchi che hanno deformato la loro stessa ergonomia per dare spazio allo schermo dell’interfaccia visivo. La questione che si pone è : di che natura è questa produzione, quale è il rapporto che si instaura all’interno della manifestazione tra la forma mediale realizzata e il media che potremmo grossolanamente definire « d’origine » (la macchina fotografica, il cinema/la televisione o anche solo la videocamera digitale) ?

Il problema si pone certamente a più livelli, all’interno di una complessiva ridefinizione di genere che è probabilmente fondazione di un genere nuovo, ovvero di una classe di discorsi riconoscibile come forma peculiare di categorizzazione del mondo. L’immagine/il visivo di cui parliamo, nello specifico, crea attese limitate ed è gestito con obiettivi ristretti, dove ancora non si è imparato ad utilizzare proattivamente né la brevità del testo né la bassa definizione della risoluzione : oltre il genere, allora, è alle modalità enunciative che occorre guardare, e ancora oltre alle pratiche relazionali che queste sottendono : con il mezzo, con se stessi, con gli altri, con gli altri media (la stessa apparentemente innocente operazione di sincronizzazione che permette di travasare wireless quanto contenuto nel telefonino nel computer, e da lì rilavorare ad libitum il testo fruendo contemporaneamente di una forma testuale del tutto amplificata e rinnovata).

Quello che accade di peculiare nel nostro corpus è che l’intermedialità è praticata come opportunità di canale nella molteplicità, là dove il campione è stato sollecitato a produrre una serie di pratiche discorsive caratterizzate da medialità differenti : naturalmente, il discorso si è prodotto come una produzione bricolata, dove al grande vuoto della privazione da musica si è sostituito un eccesso di volontà di riempimento, quasi una sorta di amplificazione della cooperazione.

L’intermedialità si è costruita allora, paradossalmente, attraverso i diversi media (qualificandosi in modo « intramediato »), dove solo il loro complessivo e complementare utilizzo poteva bastare a integrare la mancanza fondamentale del sonoro musicale. Rapporto non più metaforico nella sua struttura logica, ma più precisamente metonimico o contiguo : rinvio nella pervasività mediale a cui la nostra piccola comunità di ragazzi monitorati sembrava istintivamente portata –per quanto poco evoluta tecnologicamente fosse di fatto.

Ed è, di fatto, l’espressione per frammenti ad appartenere pienamente a questa modalità di esistenza semiotica, frammenti che rappresentano altrettante porzioni mediali ormai impensabili nella loro singolarità. Per ragazzi, nel nostro caso, di fatto sempre connessi, in una logica di flusso che ha rivelato un fenomeno paradossale di ascolto distratto, di presenza-assenza, di duratività discontinua che appare tipica del loro tratto esistenziale e che può ragionevolmente indurci a riflettere su una soggettività debole : del resto puntualmente rovesciata nella produzione visiva e audiovisiva a cui abbiamo assistito.

Intermedialità visiva e sinestesia

Alcune osservazioni sono, per finire, da fare sul corpus intermediale prodotto, nella specie della natura della sua manifestazione. Sappiamo che lo stimolo alla produzione è stato quello dell’assenza/astinenza da musica, che i ragazzi sono stati invitati a testimoniare con mms e filmati, oltre che con messaggi verbali.

Ciò che ha caratterizzato questo corpus – al di là di essere evidentemente, e oggettivamente, una rappresentazione povera, estrema-mente scarna rispetto alla matrice filmica e fotografica – è quello da un lato di costituire una segnaletica sinestesica, dove la forma dell’espressione visiva serve a convocare forme del contenuto pertinenti principalmente anche al canale sonoro (il silenzio come metonimia dell’evacuata facoltà di musica) nonché secondariamente alla complessità degli altri sensi per immagini che sono anzitutto citazioni contestuali ; dall’altro, il fatto che queste forme espressive « ridotte » (anche nella dimensionalità, oltre che nella risoluzione, che il livello di evoluzione tecnologica dell’interfaccia attualmente condanna) rappresentano proposte che coinvolgono una modalità percettiva dedicata, in cui proprio l’intermedialità è la modalità di governo, con caratteristiche allora non riconducibili né alla sinestesia tout court né alla mera produzione di testi sincretici per come le conosciamo e pratichiamo fuori dalla nuova medialità.

Allora, per questa seconda opzione, potremmo dire di essere in presenza di sincretismi provvisori finalizzati anzitutto alla connettività, in senso fatico, dove il segnale visivo sollecita una sensibilizzazione del destinatario alla presenza dell’altro, e nel nostro caso particolare alla presentificazione del vuoto derivante dall’assenza da musica. Modalità estesica prima ancora che sinestesica, e sviluppata trasversalmente ai codici (verbale, visivo, grafico) prima ancora che ai mezzi telefono-fotografia in particolare. Ad aprirsi, è l’universo fluido e non pienamente esplorato, ci sembra, della relazione percettiva al digitale, dove la sostanza dell’espressione continua e manipolabile, della quale è in qualche modo impossibile stabilire quel grado zero che rappresenta la figura del mondo all’origine, abbatte definitivamente il ruolo del soggetto riducendone la produzione a puro pretesto di contatto ; ma contemporaneamente, creando le basi per nuovi gesti percettivi, privati di giudizio di valore e di capacità narrativa propria, puramente estesici in relazione alla selezione di micro-porzioni di mondo scarsamente controllate. Frammenti, come dicevamo più sopra.

Dove, in relazione a questo aspetto, ci sembra che l’intermedialità si ponga non più e non solo come gerarchia verticale (la filiazione) o orizzontale (la convergenza) che sia, ma come proposta di diversa relazione alla salienza espressiva : con specificità diverse da interfaccia a interfaccia ma certamente nel caso del telefonino di nuova generazione con la sovrapposizione delle funzioni di immediatezza e contatto (la trasparenza) con quelle di ipermediazione che caratterizzano un processo oscuro quale quello che si inserisce in un flusso puramente apparente. Senza alcuna sostanza attoriale (tranne e debolmente, nel nostro caso specifico, per l’occasione rappresentata dalla sollecitazione a manifestare quello che di fatto era ormai il fantasma della musica stessa).

Conclusioni

In sintesi, e per trarre qualche conclusione da quanto abbiamo dibattuto : ci sembra che l’intermedialità sia una modalità necessaria (anche se non sufficiente) della fruizione mediatica contemporanea, là dove pone la questione dell’interdipendenza inevitabile di supporti mediatici ognuno dei quali si pone all’interno di una volontà di « onnipotenza », da intendersi come attivazione a 360° delle potenzialità di governo del rapporto tra soggetto e mondo. Sorta di destino universalista che va, a quanto pare, ben oltre le premesse puramente tecnologiche della convergenza.

In questo contesto, la nuova medialità, in particolare nella sua espressione più vulgata ma anche più recente dal punto di vista delle pratiche quale quella dei telefonini di ultima generazione, focalizza una tipologia di rappresentazione visiva originale che è quella dell’mms come del filmato pensato per essere fruito e scambiato attraverso l’interfaccia del telefonino stesso : forme che definiremmo senz’altro di rimediazione, a partire dall’utilizzo « improprio » del mezzo fonico per tradurre il supporto visivo (grafico, fotografico o audiovisivo) e ancora, del mezzo orale per tradurre un messaggio scritto (il testo/didascalia dell’mms). Ma anche, forme di intermediazione o intermedialità, nella misura in cui ciascuna di queste rappresentazioni costituisce una nuova fania e una fania propria rinviante ad esperienze mediali già note per costituirne una propria.

Note de bas de page 4 :

H. Rheingold, Smart Mobs. The Next Social Revolution, Basic Books, 2002.

Che ha una caratteristica precisa : quella di essere più fragile, attualmente, sul fronte dell’elaborazione visiva, ma infinitamente più potente su quello della relazionalità indotta e della referenzializzazione interna e esterna. E’ così che il telefono di ultima generazione può essere definito come il nodo centrale delle smart mobs di cui parla Rheingold4, reticoli di interconnessione non vincolata né in senso spaziale né in senso temporale, dentro una semiotica delle situazioni che è quella, ci sembra, più necessaria in questa specifica congiuntura.

Si potrà riflettere allora, diremmo, sull’intermedialità non solo e non tanto come procedura di genesi dei media secondo una modalità logica di implicazione, ma si potrà pensare a questo fenomeno anche e soprattutto secondo modalità di presupposizione reciproca ed eventualmente di contraddizione (come nel caso del visivo dentro il verbale, del film dentro al telefonino), all’interno di una sintagmatica che è anche quello della complementarietà tra canali mediatici.

La piccola esperienza da noi fatta sull’uso dei nuovi mezzi per raccontare la privazione da musica ci ha insegnato allora soprattutto questo, e non basta il vecchio ordine lettura sinestesico per spiegare un orizzonte costituito da una capacità espressiva originale e sulla quale si è appena cominciato a riflettere.