Alla ricerca delle condizioni di possibilità del Soggetto

Francesco GALOFARO

Politecnico di Milano
CUBE - Bologna

https://doi.org/10.25965/as.6236

Index

Articles du même auteur parus dans les Actes Sémiotiques

Mots-clés : agentivité, ajustement, ethnosémiotique, exclusion, intersubjectivité, phénoménologie, réciprocité, sémiolinguistique

Auteurs cités : Prisca AMOROSO, Michel de CERTEAU, Vincenzo COSTA, Jacques FONTANILLE, Algirdas J. GREIMAS, Liliane HAEGEMAN, Martin HEIDEGGER, Louis HJELMSLEV, Edmund HUSSERL, Eric LANDOWSKI, Bronislaw MALINOWSKI, Francesco MARSCIANI, François RASTIER, Lucien TESNIÈRE

Plan

Texte intégral

Note de bas de page 1 :

Questa ricerca è lo sviluppo della discussione tenuta al Seminario sui fondamenti, Bologna 2018, diretto da Francesco Marsciani e dedicato al tema del sintomo. Ringrazio Francesco Marsciani, Paola Donatiello e Giovanni Guagnelini per le discussioni sul problema, delle quali cerco qui di tenere conto.

Introduzione1

Come mai, faccia a faccia con l’Altro, gli riconosciamo lo statuto di Soggetto e non di cosa ? Come mai, per dirla con Husserl, vediamo nell’Altro un Alter-Ego ? La domanda è di grande importanza per comprendere come conosciamo l’Altro (gnoseologia) e il senso che ha per noi (semiotica). Si tratta anche di una questione etica e politica della massima urgenza : non è garantito che l’identificazione nell’Altro riesca sempre.

Note de bas de page 2 :

F. Galofaro, “Estraniamento e de-programmazione : analisi di un servizio psichiatrico autogestito”, in Maria Cristina Addis e Giacomo Tagliavini (a cura di), Le immagini del controllo : visibilità e governo dei corpi, Carte Semiotiche Annali (Firenze, La casa Usher), 4, 2016.

In un precedente lavoro mi sono occupato del modo in cui il Soggetto riconosce ad Alter il proprio stesso statuto a partire da un confronto tra il caso studio della cura della salute mentale e le riflessioni contenute nella V meditazione cartesiana di Husserl2. Quel lavoro lascia aperto un interrogativo fondamentale : come emerge bene dai racconti dei vissuti dei soggetti schizofrenici e dall’osservazione etnosemiotica, nel caso della schizofrenia è Alter a non riconoscere, a propria volta, Ego, ossia a negargli lo statuto di Soggetto, per così dire a pieno titolo, con conseguenze da chiarire. Come vedremo, non sembra possibile infatti attribuire a sé questo statuto in assenza del riconoscimento sociale : è il problema dello stigma.

1. La casa protetta, il rifugio e il ghetto

Note de bas de page 3 :

F. Galofaro, Dopo Gerico : i nuovi spazi della psichiatria, Bologna, Esculapio, 2015.

Note de bas de page 4 :

Si tratta di una ricerca svolta con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Linee di indirizzo legge n. 266/1991 – anno 2014, recentemente rifinanziata dalla Regione Friuli Venezia Giulia, Lr23/1012 e dalla Fondazione Friuli, bando welfare 2018.

Per studiare i dispositivi di esclusione, mi avvalgo di alcuni dati emersi entro una ricerca più ampia sulla schizofrenia3. Il Centro Universitario Bolognese di Etnosemiotica (CUBE), presieduto da Francesco Marsciani, è stato coinvolto dall’Associazione Regionale Tutela Salute Mentale Durante Dopo di Noi (ARTSaM DDN) nella progettazione e nella valutazione di servizi sociali rivolti alla salute mentale4. Nel corso della ricerca, abbiamo raccolto alcune testimonianze degli utenti dei servizi riguardo a episodi di stigmatizzazione sociale sulle quali ritorniamo per mettere alla prova la nostra ipotesi.

Gli utenti di cui ci occupiamo vivono in piccoli gruppi all’interno di case autogestite con il sostegno dell’associazione, in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale. Seguiti da una assistente familiare, gli utenti si organizzano per quel che riguarda la spesa, la cucina, la pulizia dell’alloggio. Si tratta di pazienti con alle spalle un lungo percorso terapeutico : l’esperienza della casa protetta mira a un pieno esercizio dei diritti di cittadinanza : se formalmente questi cittadini non perdono i propri diritti, è vero anche che non si trovano nelle condizioni di poterli esercitare.

Alcuni utenti tendono ad asserragliarsi nella casa protetta come in un bunker, ricreando nei fatti lo spazio del ghetto che il progetto di A.R.T.Sa.M avrebbe voluto eliminare. Come la nostra indagine ha messo in chiaro, la ragione per cui questo accade consiste essenzialmente nella stigmatizzazione da parte degli altri. Ad esempio, coloro che avvertono l’esigenza di passeggiare o di fare del jogging preferiscono le prime ore del mattino, in modo da evitare gli incontri. I pazienti con problemi di disagio mentale avvertono l’avversione negli sguardi della gente e non possono non notare, per esempio, quando qualcuno cambia il lato del marciapiede per non incrociarli.

Per motivi simili gli utenti che frequentano luoghi pubblici, in particolare i bar, tendono a ritornare in luoghi dove sono già noti e non suscitano allarme. Durante il campionato mondiale di calcio del 2014, due utenti sono stati costretti a cambiare bar a causa dell’affollamento di tifosi durante una partita della Nazionale. Il gestore del bar in cui si sono avventurati, veduti i clienti indesiderati, ha chiamato la polizia, nonostante fossero accompagnati da un’assistente familiare. Constatato che i due pazienti avevano mantenuto una condotta irreprensibile, la polizia ha dovuto spiegare al gestore del bar che stava rischiando una denuncia per procurato allarme.

2. Caso studio : il condominio

Abbiamo potuto osservare un esempio di esercizio problematico dei propri diritti nel 2015. I pazienti schizofrenici si trovano spesso nelle condizioni di aver diritto a una casa popolare a causa dell’evidente conflitto tra i loro problemi psichici e le esigenze del mondo del lavoro e della produzione. Così, nel 2015, A.R.T.Sa.M. si accorda con l’ente che gestisce le case popolari per fare avere un alloggio a quattro dei suoi iscritti.

Poiché non esistono fatti che non vengano raccontati secondo un punto di vista, è necessario esplicitare e tematizzare quest’ultimo. Pertanto, nel descrivere l’accaduto, teniamo qui conto del punto di vista degli utenti, raccolto attraverso la loro testimonianza diretta. Si tratta del loro modo di dar forma agli eventi. Più avanti ci occuperemo del punto di vista degli altri inquilini.

I nuovi arrivati non vengono accolti bene. Come spesso capita a chi cambia casa (pensiamo a un gruppo di studenti) i vicini si lamentano per il rumore. In particolare, la vicina del piano di sotto — un ruolo tematico essenziale di ogni racconto condominiale, rimprovera i nuovi inquilini per il fatto di tirare lo sciacquone la notte. Ora : purtroppo gli utenti non considerano questa richiesta, come avrebbe fatto chiunque altro, come pretesa del tutto irragionevole, e la prendono sul serio. Come vedremo, questa decisione sarà gravida di conseguenze impreviste.

2.1. L’incidente

Preoccupato dai rimproveri della vicina, nel desiderio di non disturbare e di farsi accettare, uno dei nuovi inquilini decide infatti di non utilizzare il bagno di casa durante la notte. Mantenere il buon proposito si rivela tuttavia più difficile del previsto ; di conseguenza l’inquilino prende l’abitudine di uscire di casa per urinare nel giardino del condominio. Per colmo di sventura, qualche sera dopo, forse a causa del sonno, confonde nel rientrare il proprio appartamento con quello di una signora, la quale viene svegliata alle quattro del mattino dal maldestro vicino. Terrorizzata, la donna chiama la polizia, che porta via l’uomo in ambulanza.

Uno dei problemi della schizofrenia consiste nella difficoltà dei pazienti a gestire le proprie relazioni sociali, specialmente se le persone che li circondano a propria volta non sembrano conoscere la grammatica del vivere civile o mostrano diffidenza e ostilità. E’ proprio questo aspetto della schizofrenia che vorremmo riconsiderare entro un’epistemologia relazionale : è la relazione ad essere disfunzionale e a produrre lo schizofrenico e il suo “persecutore” come terminali di una medesima funzione, o come sottoprodotti di una dinamica sbagliata. Questa è la tesi che vorremmo sostenere : in gioco qui non c’è la frontiera individuale tra normale e patologico. Quel che vediamo qui è una relazione che non produce significato e che sfocia dunque nell’insensatezza.

2.2. Relazioni e significato

Note de bas de page 5 :

E. Landowski, Les interactions risquées, Limoges, Pulim, 2005. Tr. it. Rischiare nelle interazioni, Milano, FrancoAngeli, 2010.

Per inquadrare la relazione tra senso e interazione nel caso che stiamo affrontando, ricorriamo alla tipologia proposta da Eric Landowski5. Si veda la fig. 1. Secondo Landowski, le interazioni rispondono a quattro logiche differenti : intenzionalità, sensibilità, regolarità e caso. L’intenzionalità è descritta come una relazione in cui un soggetto manipola un secondo soggetto, una relazione di ordine gerarchico. Il corrispondente regime di senso è avere (possedere) una significazione. All’opposto, la logica della sensibilità vede un aggiustamento reciproco tra soggetti che stanno sul medesimo piano. L’esempio di Landowski è l’apprendimento del ballo. Il regime di senso in questo caso è fare (co-costruire) senso. La logica contraddittoria rispetto a quella della sensibilità è quella della regolarità che contraddistingue le relazioni programmate. Esse possono essere l’esito della manipolazione e, quanto al senso, il loro regime è l’insignificanza. La “logica del caso” contraddice infine quella dell’intenzionalità, portandoci al regime d’interazione che Landowski chiama incidente. In questo caso il regime di senso è l’insensatezza.

Fig. 1. I quattro regimi di interazione e di senso secondo Landowski, op. cit.

Fig. 1. I quattro regimi di interazione e di senso secondo Landowski, op. cit.

Come possiamo vedere, ciascun tipo di interazione sociale presenta anche un certo livello di rischio. Ad esempio, le relazioni programmate sono le più sicure, mentre un certo livello di rischio è comportato da relazioni quali la manipolazione e l’aggiustamento. Il rischio puro si ha ovviamente con l’aleatorietà delle relazioni accidentali.

Se vogliamo vedere le relazioni condominiali ordinarie come relazioni programmate secondo la logica della regolarità più assoluta, tanto sicure quanto insignificanti, allora sarà corretto considerare il conflitto aperto nel condominio come un caso di incidente, frutto del caso che abolisce la regolarità, irruzione dell’insensato nella ordinaria quotidianità della casa popolare, in connessione al rischio puro, il quale caratterizza, come vedremo, le paure dei condomini. Occorrerà tuttavia mettere alla prova questa ipotesi e dedurne alcune conseguenze. Per ora basti notare che l’abolizione del regime di programmazione, connesso alla sicurezza, è sufficiente a generare il panico.

2.3. La lettera

Qualche giorno dopo l’incidente A.R.T.Sa.M. riceve dall’avvocato dell’amministratore condominiale una lettera a nome di una parte dei condomini. La lettera (riprodotta in appendice a questo articolo) riporta una serie di capi di imputazione a carico degli ultimi arrivati, e ne chiede l’allontanamento.

Da un punto di vista semiotico, la lettera è molto interessante perché opera una trasformazione tematica e figurativa sui due utenti. Essi non sono mai chiamati “condomini”, e dunque non vengono mai posti sullo stesso piano legale rispetto ai mittenti della lettera. In principio essi vengono descritti come “ospiti” dell’appartamento gestito dall’associazione, come “disabili”, o con la formula “queste persone” (in italiano può essere interpretata come una presa di distanza, come nell’espressione “non conosco questa persona” ; “devi capire che questa persona non è normale”). In seguito al racconto dell’incidente, la lettera costruisce una opposizione tra “i residenti” (alcuni dei quali minori) e “questi soggetti” (altra formula di presa di distanza, con connotazioni negative). Infine, si chiede l’allontanamento delle “persone attualmente insediate”, una formula che potrebbe essere usata tranquillamente per degli occupanti abusivi.

Non meno interessante è la lista degli antiprogrammi di azione operati dai “soggetti”, che proverebbero su un piano deontico la violazione della grammatica condominiale : il contratto sociale, improntato al regime della manipolazione, che qualifica i condomini in quanto tali. La violazione del contratto giustifica la richiesta sanzionatoria. Se eccettuiamo gli antiprogrammi pertinenti all’incidente (punti 1 e 3 della letera) gli altri sembrano tratti dal manuale delle querimonie condominiali stereotipiche (fumo, rumori notturni, uso dei balconi). Ha addirittura dell’incredibile la seconda imputazione (appostarsi per “spiare” di soppiatto una giovane signora residente dirimpettaia) : è difficile decidere se questo genere di relazione intersoggettiva sia generata dalla schizofrenia dei nuovi residenti o non piuttosto dalla paranoia della giovinetta che si sente osservata.

2.4. Aggiustamento e soluzione dell’incidente

Note de bas de page 6 :

F. Galofaro, “Estraniamento e de-programmazione”, art. cit.

In passato abbiamo notato come l’incidente possa essere visto come elemento di una sintagmatica che vede la proiezione delle quattro modalità di interazione descritte da Landowski : programmazione > incidente > aggiustamento > sanzione (manipolazione)6. Quando un incidente pone fine a un quadro di relazioni programmate, subentra un sintagma di aggiustamento che, se portato a buon fine, prelude a una sanzione positiva da parte di un destinante : in questo modo ritorniamo alla manipolazione e al ripristino di un regime di relazioni programmate, non necessariamente quelle originali. Abbiamo anche notato che, per quanto somigli al percorso narrativo canonico di Greimas, le due sintagmatiche non sono del tutto sovrapponibili : in particolare l’incidente costituisce il negativo dell’acquisizione della competenza, in quanto accade per lo più a causa di incompetenza nell’ambito delle relazioni, un “non saperci fare”.

Anche nel caso dell’incidente condominiale, l’Associazione ricerca una soluzione organizzando un incontro tra condomini vecchi e nuovi per favorire la reciproca conoscenza e per allontanare paure derivanti da stereotipi e pregiudizi sul disagio psichico. In altre parole, la speranza (mai la certezza !) è che si inneschi una dinamica di aggiustamento. In effetti, è proprio quel che accade. Da un lato, i nuovi condomini comprendono che i comportamenti da loro adottati hanno seminato malumori e panico ; dall’altro, i vecchi condomini possono allontanare paura e stereotipi sul disagio psichico. Poiché l’incontro avviene alla presenza di alcune figure che rappresentano l’Ente che assegna le case popolari, l’Associazione A.R.T.Sa.M. e l’Istituzione sanitaria, si può ravvisare qui anche il regime della manipolazione in una forma peculiare : ciascuno dei soggetti in gioco si gioca i propri destinanti. Si tratta pertanto di programmi accessori, definiti da Greimas e Courtés come programmi d’uso i cui soggetti non coincidono con il programma di base. Questo aggiustamento complesso attraverso figure di mediazione permette al Soggetto (i condomini) di riconoscere l’Altro (i pazienti psichiatrici) come un Soggetto umano. A partire da allora, non sono stati riportati ulteriori incidenti e le relazioni tra condomini sono rientrate nella logica quotidiana della programmazione condominiale più insignificante, del tutto priva di rischi.

3. Presa di posizione epistemologica preliminare

Vorrei qui insistere su un aspetto che ha finito per caratterizzare tutto il mio lavoro sulla schizofrenia. Da un punto di vista metodologico, poiché il ruolo di CUBE consiste nel valutare i servizi che vengono erogati a persone che soffrono di disagio mentale, mettere tra parentesi la loro condizione è praticamente obbligatorio su un piano gnoseologico. Nel ricevere delle lamentele da parte degli utenti dei servizi, infatti, essi vanno considerati come persone dotate di diritti e non come “matti”. Se li considerassimo matti non saremmo in grado di sapere se le loro lamentele sono fondate o connesse alla loro patologia. Per questo motivo, per qualunque problema riscontrato, è obbligatorio ricercare una situazione in cui persone comuni adottano quel comportamento senza essere per questo accusate di follia. Ci si rende rapidamente conto che una gran parte dei comportamenti bizzarri esibiti dagli utenti sono in realtà piuttosto comuni. Se ad esempio dovessimo considerare “maniacale” un atteggiamento religioso nei confronti della vita, i servizi sociali sarebbero costretti a prendere in carico tutti i devoti di Padre Pio. Allo stesso modo, la vicenda condominiale di cui ci occupiamo appare sotto una luce molto meno “bizzarra” se pensiamo ai problemi che gli studenti che hanno comunemente nel condividere un appartamento, quando vengono accusati di essere tossicomani pervertiti da anziani signori o da genitori apprensivi. Forse è poco normale orinare in uno spazio pubblico, ma lo si vede tutti i giorni nelle aree di emergenza delle autostrade italiane. Inoltre, anche la richiesta della vicina di non utilizzare la toilette durante notte non suona del tutto sensata. Tutto questo prova una volta di più che il problema è relazionale.

3.1. L’esclusione tra sistema e processo

In qualunque società circolano formazioni discorsive che giustificano l’esclusione sulla base di argomenti intellettuali, culturali, biologici, spesso infondati. La prospettiva che qui adottiamo vuol suggerire una spiegazione diversa.

Note de bas de page 7 :

Jacques Fontanille e Claude Zilberberg, Tension et signification, Sprimont, Mardaga, 1998, p. 41.

Non solo esistono società più inclusive o più escludenti ; è un dato di fatto che le società mutano, dando l’avvio a processi di inclusione o di marginalizzazione. Se questa possibilità non fosse data, non esisterebbe alcuno spazio politico e le mie fatiche sarebbero del tutto inutili. In questo senso è interessante l’analisi della democrazia liberale proposta da Fontanille e Zilberberg a partire da Toqueville7. In particolare, la marginalizzazione è considerata un’alterazione peggiorativa (péjoration) che porta alla sottrazione di elementi ritenuti “cattivi” verso una definitiva esclusione. Questo avviene all’interno di uno spazio semantico che si sostiene su valori “universali” la cui logica punta a una maggiore o minore “presa” (saisie). Il processo può essere descritto attraverso un ciclo canonico che parte dalla necessità di realizzare un ordinamento qualunque (tri) attraverso fasi di chiusura, apertura e mescolanza (mélange). Lo stesso processo sintattico può anche portare a un’alterazione migliorativa (mélioration) per aggiunta di elementi “buoni”, in direzione universalizzante, realizzando un nuovo ordinamento. Pertanto, il condominio di cui ci siamo occupati non è altro che un’occorrenza concreta del tipo della democrazia liberale.

Note de bas de page 8 :

Louis Hjelmslev, Omkring sprogteoriens grundlæggelse, København, Munskgaard, 1943 (tr. it. di Giulio Lepschy, I fondamenti della teoria del linguaggio, Torino Einaudi, 1968).

Fontanille e Zilberberg non fanno che ricostruire il complesso sistema presupposto dal processo di marginalizzazione. Con Hjelmslev, ricordiamo che sistema semiotico e gerarchia sono essenzialmente sinonimi8. Di conseguenza, la reale ragione dell’esclusione non sembra realmente consistere dei problemi di chi soffre di disagio psichico, ma nel senso prodotto dagli ordinamenti (tri) gerarchici di esseri umani : bisogna escludere qualcuno. La ragione è puramente semiotica : ogni differenza posizionale richiede un livello di figurazione :

Note de bas de page 9 :

E. Landowski, Présences de l’autre, Paris, PUF, 1997, p. 26.

(…) à peine articulée, la “pure” différence positionnelle, difficilement manipulable en tant que telle, tend, pour se manifester, à se convertir, sur le plan empirique — dans les discours et les représentations qui les sous-tendent —, en une série d’oppositions substantielles. (…) des contenus spécifiques viennent s’y investir, donnant progressivement lieu, par sélection et combinaison de traits figuratifs particuliers, à l’apparition de formes aux contours de plus en plus précis : en l’occurrence, à toute une variété de figures de l’Autre aussi diversifiées que dans une galerie de portraits — ou un fichier de police.9

Note de bas de page 10 :

Michel Foucault, Les anormaux : cours au Collège de France 1974-1975, Paris, Seuil-Gallimard, 1999 (tr. it. Gli anormali : corso al Collège de France 1974-1975, Milano, Feltrinelli, 2a ed. 2010).

Come mostrano bene gli studi storici di Foucault, la frontiera tra inclusione ed esclusione è arbitraria : gli anormali sono stati di volta involta identificati con i vagabondi, i dilapidatori delle proprie sostanze, i giocatori d’azzardo, i devianti sessuali, i deformi10 ; d’altronde, molte tra le persone che oggi necessitano di assistenza psichiatrica, di un’amministrazione di sostegno e di un contributo al reddito non avrebbero avuto difficoltà di integrazione nelle società contadine appena una cinquantina d’anni fa.

Note de bas de page 11 :

L. Hjelmslev, “Pour une sémantique structurale” (1957) in Essais linguistiques, Paris, Minuit, 1971 (tr. it. “Per una semantica strutturale”, in Saggi di linguistica generale, Parma, Pratiche editrice, 1981).

Riflettendo sulle condizioni di possibilità di un’analisi scientifica del significato, Hjelmslev mostra come il significato di cane sia opposto nella società Parsi, dove può essere definito “animale sacro”, e in quella Indù, dove al contrario sarebbe “animale disprezzato” in quanto paria11. Pertanto, non ha scientificamente alcun senso chiedersi quali caratteristiche del cane facciano sì che esso sia disprezzato dagli Indù ; ha senso chiedersi quale essere occupa, in ciascuna cultura e nella nostra, la casella dell’escluso.

3.2. Etnosemiotica e reale

Leggendo la lettera dei condomini, non ci imbattiamo mai nella descrizione dell’incidente, dell’insensato, del rischio puro, dell’assenza di intenzionalità che sembra reggere la logica del caso. La lettera è caratterizzata dal percorso narrativo canonico : vi è un contratto che definisce i comportamenti “consoni a una civile residenza” e qualifica i condomini ; alla violazione del contratto nella performance degli antisoggetti (“fuori controllo”) corrisponde alla sanzione negativa conclusiva (“allontanamento”). Il punto di vista degli utenti, come abbiamo visto, è molto diverso : l’incidente, catastrofico, è la conseguenza involontaria del loro tentativo di ottemperare alle richieste ben poco ragionevoli di alcuni condomini per farsi accettare nella nuova comunità.

Lungi da noi contrapporre a una supposta “realtà dei fatti” la loro “rappresentazione letteraria” : la lettera corrisponde alla messa in forma di qualcosa ; il racconto degli utenti corrisponde semplicemente a una diversa messa in forma. Infatti, anche dal loro punto di vista abbiamo una ricostruzione del tutto sensata, con un contratto da rispettare (non fare rumori di notte) per potersi qualificare come buoni vicini, e una performance maldestra che porta alla mancata sanzione. Il racconto degli utenti che abbiamo raccolto è caratterizzato sul piano passionale dai sensi di colpa per l’ennesima relazione fallita nonostante i tentativi di farla funzionare. E’ evidente che ai soggetti mancava una competenza di ordine modale che assicurasse loro il successo. Si tratta in fondo di una competenza sugli altri soggetti, sulla “gente normale”.

Note de bas de page 12 :

Si veda F. Marsciani, Ricerche semiotiche I : il tema trascendentale, Bologna, Esculapio, 2012, pp. 3-6).

Note de bas de page 13 :

Op. cit.

Se l’incidente non si trova negli opposti racconti, è l’analisi socio-semiotica (con Landowski) ed etnosemiotica (con Francesco Marsciani) a permetterci di ricostruirlo. Come vedremo in seguito, la stessa lettera sarà semplicemente parte di un percorso più ampio, ricostruito dall’analista. Infatti, il racconto è lo spazio entro il quale il soggetto dell’enunciazione si ricolloca distaccandosi dall’io-qui-ora che contraddistingue le sue coordinate fenomenologiche. Rispetto a questa ri-collocazione, l’analista introduce un punto di vista ulteriore che ne permette la descrizione a patto, si intende, di rendere esplicito tale “punto di vista di secondo grado” insieme alle domande che muovono l’analisi. La gerarchia di tali domande è il percorso generativo del senso12. Quindi : non si deve credere che l’analisi etnosemiotica ci assicuri una qualche “presa” sulla realtà. Quel che vediamo invece è solo un punto di vista che entra in relazione gerarchica con altri punti di vista su ciò che Francesco Marsciani ha chiamato immagine13, ovvero sugli elementi che, partendo da un reale che si dà già come strutturato, possiamo cogliere per costruire un racconto, sia pure in forma di testimonianza, lettera o resoconto scientifico — come quello che vado scrivendo in questo momento.

3.3. Importanza della funzione fatica

Note de bas de page 14 :

Michel de Certeau, L’invention du quotidien : I. Arts de faire, Paris, Gallimard, 1990 (tr. it. L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni lavoro, 2012).

Note de bas de page 15 :

Sono in debito con Giampaolo Proni per questa osservazione. Sulle differenze tra la nozione jakobsoniana di funzione fatica e quella malinowskiana di comunione fatica si veda anche Hartmut Haberland, “Communion or Communication ? An historical note on one of the founding fathers of pragmatics”, Current issues in Linguistic theory, 138, 1996.

Note de bas de page 16 :

Bronislaw Malinowski, “Il problema del significato nei linguaggi primitivi”, in C.K. Ogden and I.A. Richards, The Meaning of Meaning, London, Routledge and Kegan Paul, 1923 (tr. it. in C.K. Ogden e I.A. Richards, Il Significato di Significato, Milano, Il Saggiatore, 1966).

Ripensiamo al senso che può avere la decisione di uscire di casa ad orari particolari — al mattino, nottetempo — per evitare l’Altro. L’esperienza del camminare per la città ci pone costantemente di fronte all’Altro. Secondo De Certeau, due cose accadono durante questo incontro14. In primo luogo (pp. 152-153) gli spazi dell’Io e dell’Altro entrano in un’articolazione che può essere congiuntiva o disgiuntiva. In proposito, De Certeau cita la funzione fatica rifacendosi a Malinowski e Jakobson. Un secondo fenomeno che accade è quello del rispecchiamento che ci permette di riconoscerci in quanto soggetti perché ci vediamo rappresentati in un Altro (p. 166). Queste due considerazioni andrebbero in qualche modo legate insieme, nella loro implicita connessione. Infatti, nella vultaga jakobsoniana la funzione fatica è stata in qualche modo banalizzata, riducendola a funzione della comunicazione, ovvero allo stabilirsi di un “contatto”15. Per Malinowski essa rappresenta invece l’esatto opposto della comunicazione, considerata come trasmissione di idee, concetti, referenti16. Essa rappresenta piuttosto una forma di comunione, un chiacchiericcio che stabilisce l’appartenenza e la solidarietà di gruppo. Pertanto, quando la persona che incrociamo ci guarda con ostilità o paura o quando cambia strada, l’Altro non mi permette di rispecchiarmi in lui, e quindi non posso riconoscere me stesso in quanto soggetto. L’Altro disconosce il fatto che io sia coinvolto in una più originaria relazione intersoggettiva in virtù della quale più in genere ci riconosciamo in quanto soggetti. Per poter affermare questo, bisognerebbe chiarire meglio come avvenga, da un punto di vista semiotico, che si stabiliscano relazioni tra diversi soggetti e diversi oggetti.

4. L’intersoggettività tra fenomenologia e semiotica

Note de bas de page 17 :

A.J. Greimas e J. Courtés, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Paris, Hachette, 1979 (tr. it. Semiotica : dizionario ragionato di teoria del linguaggio, Firenze, La casa Usher, 1985).

Siamo così giunti a un nodo cruciale. L’importanza dell’intersoggettività è generalmente riconosciuta nella letteratura semiotica. Il termine ricorre ventidue volte nel dizionario di Greimas e Courtés, senza che ad esso sia destinata una definizione specifica17. Se guardiamo alla voce “Comunicazione”, lo ritroviamo a diversi livelli di generalità : esplicita la natura della relazione fiduciaria contrattuale entro lo schema narrativo canonico, la natura del linguaggio in quanto operazione (il linguaggio è inscritto all’interno dell’intersoggettività in quanto relazione, cfr. “Funzione”), la natura della comunicazione in quanto scambio. Ma non basta : essa definisce anche l’enunciazione in quanto struttura (“Débrayage attanziale”). Alla voce “Contratto” essa ha un fondamento contrattuale, ma alla voce “Sintassi” essa diviene una caratteristica generale della narratività intesa come scambio. Tuttavia, ritornando a quanto si è detto di Malinowski, nel caso della comunione fatica stabilita dal linguaggio è proprio la logica dello scambio a mancare. Ritorneremo su questo problema tra breve.

4.1. Una logica della giunzione

Note de bas de page 18 :

E. Landowski, Passions sans nom, Paris, PUF, 2004, pp. 57-66.

La presenza dell’intersoggettività a tutti i livelli di generalità che contraddistinguono la teoria di Greimas prova la natura ricorsiva del percorso generativo. Lo scambio, relazione intersoggettiva, e la fiducia che esso presuppone è dunque una caratteristica socio-culturale, comunicativa, linguistica e narrativa. Rimane più implicito il suo ruolo in relazione all’individuazione dei soggetti. Sempre in omaggio a un principio di ricorsività, la teoria rende conto tanto del soggetto frastico quanto di quello discorsivo per via delle posizioni logico-semantiche coincidenti che essi occupano nello scambio (D —> Ov —> R). Il soggetto non viene definito in sé, ma è derivato come funtivo di una relazione logico-sintattica che lo costituisce come tale sulla scorta della sintassi strutturale di Tesnière e dei lavori di Reichenbach (cfr. “Soggetto”). L’asimmetria tra soggetto e oggetto dipende dal fatto che il secondo è costituito in quanto tale da un soggetto di conoscenza a partire da un fascio di tratti e relazioni (cfr. “Oggetto”). Il che ci porta di nuovo alla questione : come mai riconosciamo all’Altro lo statuto di Soggetto e non di cosa ? Essa rimane inevasa perché, come nota Landowski, nella teoria di Greimas prevale una logica della giunzione (tra Soggetto e Oggetto) e non è esplorata una logica dell’unione (tra Soggetti)18. Si direbbe precisamente questa seconda logica a trovarsi alla base della nozione malinowskiana di comunione fatica.

Note de bas de page 19 :

A.J. Greimas e J. Fontanille, Sémiotique des passions, Paris, Seuil, 1991 (tr. it. Semiotica delle passioni : dagli stati di cose agli stati d’animo, Milano, Bompiani, 1996).

Note de bas de page 20 :

J. Fontanille e C. Zilberberg, Tension et signification, Sprimont, Mardaga, 1998.

Anche in Semiotica delle passioni la domanda, espressa da Greimas e Fontanille, rimane inevasa : un quasi-soggetto-ombra operatore crea la teoria ritagliando opposizioni discrete a partire da una sua originaria sensibilità, vista nei termini di una relazione continua, tensiva, con il mondo19. Soggetto e oggetto sono dunque considerati alla stregua di due polarità che, seppur non del tutto distinte, sono comunque distinguibili. Ricorsivamente, ritroviamo nella teoria soggetti e oggetti in forza di operazioni di determinazione, discretizzazione, categorizzazione (p. 42). Senza approfondimenti ulteriori, il motivo per cui un unico soggetto si sdoppia in diversi tipi di soggetti (percipiente, senziente : si direbbero ruoli tematici) è visto come risultato di una polarizzazione eccessiva e tensiva dell’uno. Gli autori si richiamano genericamente a Hegel. Anche Fontanille e Zilberberg, che tentano di sviluppare e risistemare la teoria della valenza entro una cornice epistemologica hjelmsleviana20, pongono fin da principio valenze soggettali e oggettali (p. 23), in quanto il soggetto osservatore è iscritto nell’organizzazione delle categorie a partire dalle proprietà percettive delle valenze stesse, cui impone la sua propria deissi (p. 17). Gli autori distinguono (pp. 92-93) un orientamento dell’attante verso il soggetto (una relazione graduale che va dallo stupore per la presenza dell’Altro all’abitudine) e una verso l’oggetto (una relazione tutto sommato simile dal nuovo all’antico). Per giustificare le loro affermazioni questa volta si richiamano alla fenomenologia, sempre in linea generica.

4.2. Il dibattito fenomenologico

Note de bas de page 21 :

Rimandiamo a una occasione migliore l’esposizione della posizione di Emmanuel Lévinas, per il quale l’assimilazione dell’Altro è un processo essenzialmente incompiuto : una posizione critica nei confronti di Heidegger e del rischio di totalitarismo insito nel suo pensiero, che influì senz’altro anche su Michel de Certeau. Cfr. E. Lévinas, Totalité et infini : Essai sur l’extériorité, Paris, Le Livre de Poche, 1961 (tr. it. Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità, Milano, Jaca Book, 1980). M. de Certeau, “Etno-graphie. L’oralité, ou l’espace de l’autre : Léry” in L’écriture de l’histoire, Paris, Gallimard, 1975 (tr. it. “Etno-grafia. L’oralità, o lo spazio dell’altro : Léry”, in La scrittura dell’altro, Milano, Raffaello Cortina, 2005).

Note de bas de page 22 :

Martin Heidegger, Sein und Zeit, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1927 (tr. it. Essere e Tempo, Milano, Longanesi, 11a ed. 1976, par. 26).

Note de bas de page 23 :

Edmund Husserl, Notes sur Heidegger, Paris, Minuit, 1993, p. 23.

Note de bas de page 24 :

La traduzione italiana rende con “intuizione sentimentale” il tedesco Einfühlung.

In realtà la fenomenologia non ha affatto risolto la questione, la quale è del resto tra le più appassionanti della filosofia del ‘900. Per amor di sintesi qui presenteremo soltanto la discussione tra Husserl e Heidegger a partire dalla pubblicazione di Essere e tempo21. Secondo Heidegger è erroneo pensare che la caratterizzazione dell’incontro con gli altri muova sempre dalla delimitazione e dall’isolamento di un io22. Siamo al mondo anche con altri in un senso esistenziale, non categoriale. Il nostro mondo è già da sempre un mondo condiviso. Nel leggere Essere e Tempo, Husserl aveva fittamente annotato questo paragrafo con molti nota bene23. Heidegger porta molti argomenti contro la nozione di empatia, attraverso la quale Husserl tentava di spiegare lo stabilirsi di relazioni tra soggetti24. Heidegger non nega la profondità dell’analisi di Husserl, secondo cui le nostre relazioni con gli altri non sono di per sé già improntate a una perfetta comprensione, ma obietta : perché si stabiliscano relazioni empatiche occorre che siamo già al mondo insieme agli altri da un punto di vista esistenziale.

Note de bas de page 25 :

Cfr. E. Husserl, Aus den Vorlesungen Grundproblemen der Phänomenologie. Wintersemester 1910-11, Husserliana, XIII, Den Haag, Nijhoff, 1973 (tr. it. I problemi fondamentali della fenomenologia : lezioni sul concetto naturale di mondo, Macerata, Quodlibet, 2008).

Note de bas de page 26 :

E. Husserl, “Postilla alle Idee” (1931), in Husserliana, V, 1952, Den Haag, Nijhoff (tr. it. in E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Torino, Einaudi, 2002).

Note de bas de page 27 :

E. Husserl, Aus den Vorlesungen Grundproblemen der Phänomenologie, op. cit., p. 77.

Note de bas de page 28 :

E. Husserl “Postilla alle Idee”, op. cit., par. 5.

Note de bas de page 29 :

Cfr. Vincenzo Costa, “La posizione di Idee I nel pensiero di Husserl”, in E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, op. cit.

In seguito alle critiche di Heidegger, Husserl non rinuncia certamente all’analisi fenomenologica dell’empatia, riproposta nelle Meditazioni cartesiane. Piuttosto, a partire dalla fine degli anni ’20, l’empatia è a propria volta spiegata a partire da un’originaria intersoggettività trascendentale, il cui peso si fa via via più rilevante probabilmente proprio per il fatto che essa permette a Husserl di ribattere alle critiche di Heidegger. Mentre l’analisi dell’empatia è collocata da Husserl tra i problemi fondamentali della fenomenologia per lo meno dalle lezioni del semestre 1910-1125, la genesi dell’intersoggettività trascendentale è più travagliata. Il termine “unità intersoggettiva” designa, nel ’10-’11, il contenuto teoretico di una scienza, inteso come contenuto complessivo di validità, e la natura nel proprio complesso (p. 71). Molti anni dopo, Husserl ci rivela che proprio nelle lezioni di quel semestre cruciale gli si apre una via per l’intersoggettività trascendentale26. In effetti, in quelle lezioni si legge che, una volta messa fuori circuito l’esistenza, ogni essere fenomenologico si riduce a una relazione tra un Io e un Altro io, ridotti a meri indici di relazione27. Tuttavia, Husserl abbandona lo sviluppo ulteriore di questa prima intuizione. Egli ammette che, nelle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica manca “un’esplicita presa di posizione rispetto al problema del solipsismo trascendentale, oppure dell’intersoggettività trascendentale, cioè una presa di posizione rispetto al fatto che il mondo obiettivo che vale per me implica un riferimento essenziale agli altri che valgono per me”28. Husserl confessa di essere rimasto sconcertato dalle reazioni negative all’idealismo fenomenologico-trascendentale proposto in Ideen. Fatto sta che il concetto dovette passare attraverso una rielaborazione nelle lezioni sulla filosofia prima del semestre invernale del 1923-24, nel quale si interroga sulla soggettività trascendentale29. La prima esposizione pubblicata della nozione di intersoggettività trascendentale risale all’anno 1929, in Logica formale e trascendentale, anche se già in “Fenomenologia”, voce scritta da Husserl per l’Enciclopedia Britannica (1927), l’autore faceva riferimento all’intersoggettività pura cui conduce la fenomenologia pura ; nell’ambito della fenomenologia trascendentale troviamo la soggettività trascendentale, a suggerire una qualche distinzione e un legame non ancora chiarito tra le due nozioni.

4.3. Trascendentale, non a-priori

Note de bas de page 30 :

Cfr. E. Husserl, Méditations cartésiennes : introduction à la phénoménologie, Paris, Vrin, 1947 (tr. it. Meditazioni cartesiane e Lezioni parigine, Brescia, Morcelliana, 2017), pp. 167-169.

Note de bas de page 31 :

E. Husserl, ibid. p. 219.

Come abbiamo appena visto, per Husserl qualunque filosofo è di fronte a una scelta : quella tra intersoggettività e solipsismo trascendentale, e pare ovvio optare per la prima opzione. Tuttavia, occorre aggiungere immediatamente che l’intersoggettività trascendentale per Husserl è monadica : opera pur sempre all’interno del campo di un Ego, che egli vede come una monade. E’ interessante come la nozione di trascendentale non equivalga in Husserl a quella di a-priori. L’intersoggettività si costituisce entro il processo che porta Ego a riconoscersi come Soggetto. Quest’ultimo deve infatti ammettere la dimensione intersoggettiva dell’esperienza perché essa possa dirsi obiettiva : se il mondo esiste per tutti ed è accessibile a tutti, allora deve essere intersoggettivo30. Del resto, è lo stesso Husserl a dichiarare che la problematica dell’a-priori dal punto di vista della conoscenza naturale diviene intelligibile solo quando ci si interroga sulla sua costituzione dal punto di vista trascendentale31.

Note de bas de page 32 :

E. Husserl, “Phänomenologie und Anthropologie” (1931), in Husserliana, XXVII, Den Haag, Nijhoff (tr. it. “Fenomenologia e antropologia” in E. Husserl e M. Heidegger, Fenomenologia, Milano, Unicopli, 1999).

La soluzione di Husserl ha un carattere monadico. Dunque, essa non è la semplice “traduzione” nel proprio sistema dell’originario essere-anche-con gli altri di Heidegger, ma costituisce una vera e propria contro-obiezione. Come abbiamo visto, Heidegger considera un errore la scelta di muovere da un soggetto isolato per poi interrogarsi sulla sua relazione con gli altri. Che il recupero della problematica dell’intersoggettività trascendentale sia da intendersi come scelta di rottura con Heidegger è testimoniato anche dalla sua esposizione dettagliata nella conferenza pronunciata negli anni ’30 a Francoforte, Berlino e Halle, in cui prese le distanze dalla filosofia del Dasein32. L’intersoggettività trascendentale spiegherebbe il costituirsi del mondo obiettivo in quanto identico per ciascuno ; la filosofia del Dasein ricadrebbe invece nell’ingenuità di presupporre un mondo esistente o suscettibile di esistere.

4.4. L’ultimo orizzonte della semiotica

Note de bas de page 33 :

M. Heidegger, Sein und Zeit, op. cit.

Note de bas de page 34 :

E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Den Haag, Nijhoff, 1959 (tr. it. La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano, il Saggiatore, 1997, p. 210). Il passo sembra rispondere direttamente ad Heidegger (Sein und Zeit, op. cit., p. 154), che si richiama a Von Humboldt per quel che riguarda l’isomorfismo tra i pronomi personali e i deittici spaziali riscontrabile in alcune lingue, provando così un loro originario significato esistenziale.

Note de bas de page 35 :

L’oltrepassamento del linguaggio si direbbe una cifra programmatica della fenomenologia. Anche Marsciani rileva la paradossalità attraverso cui Merleau-Ponty tenta di contrapporre il discorso sull’arte alla percezione estetica antepredicativa, attraverso un gioco testuale che alterna terza e prima persona. Cfr. F. Marsciani, Ricerche semiotiche I, op.cit.

Note de bas de page 36 :

A.J. Greimas, Sémantique structurale, Paris, Larousse, 1966 (tr. it. Semantica strutturale, Roma, Meltemi, 2000).

La semiotica non è in grado di dare ragione ad Heidegger né a Husserl. Questo, per la buona ragione che essa si muove da sempre all’interno di un orizzonte in cui il senso, il linguaggio, i sistemi semiotici sono già presenti e al lavoro. Al contrario, Heidegger, nel 1927, pretende di poter dire qualcosa sull’esistenza di co-soggetti anteriormente al linguaggio, pur impiegando il linguaggio33. Solo molti anni dopo, resosi conto della paradossalità paralizzante di questa mossa, tenterà una Kehre linguistica). Dal canto suo Husserl scrive : “Io non sono un io che attribuisca ancora una validità naturale al suo tu e al suo noi e ad una comunità totale di co-soggetti. L’intera umanità, la distinzione e l’ordine dei pronomi personali, attraverso la mia epoché, sono diventati un fenomeno e includono anche il rilievo proprio dell’io-uomo rispetto agli altri uomini”34. Nello scrivere questo, anche Husserl, come Heidegger, pone un soggetto gnoseologico ante-linguistico (sempre usando il linguaggio)35. Ma è davvero possibile ridurre il linguaggio a un fenomeno tra gli altri fenomeni ? In fondo, la conoscenza si dà sempre attraverso il linguaggio o attraverso qualche altro sistema semiotico. Come nota Greimas, nella primissima infanzia apprendiamo contestualmente il mondo e il linguaggio36. E’ quinti per lo meno lecito dubitare della legalità di indagini esistenziali o gnoseologiche su un soggetto anteriore al linguaggio. Non si dà una conoscenza ante-semiotica.

Note de bas de page 37 :

E. Husserl, Méditations cartésiennes : introduction à la phénoménologie, op. cit., p. 205.

Note de bas de page 38 :

Le critiche di Merleau-Ponty a questi passi si tradurranno in seguito in una ricerca fenomenologica originale. Circa la relazione tra linguaggio e infanzia, centrale anche per le riflessioni di Greimas, si veda Prisca Amoroso, “L’esperienza della parola : il problema del linguaggio in Merleau-Ponty”, in AA.VV., Corpo, linguaggio, senso : tra Semiotica e Filosofia, Bologna, Esculapio, 2016.

A ben guardare anche il fatto che l’intersoggettività si costituisca entro il campo di un Ego sembra celare un paradosso. Come abbiamo visto, l’intersoggettività è condizione di possibilità dell’oggettività dell’esperienza, al punto che se gli altri mi danno torto io dubito delle mie percezioni. E’ dunque possibile chiedere cosa accade quando sono gli altri a negarmi lo statuto di soggetto, come nel caso in cui ci siamo imbattuti. In realtà Husserl affronta dei casi in cui le percezioni di Ego non coincidono con quelle della comunità intersoggettiva37. Si tratta di casi che egli inquadra nell’anormalità : sordi e ciechi, variazioni della normalità umana che finiscono per comprendere anche bambini e animali. Si tratta di uno dei passi più disturbanti di Husserl38. In primo luogo, secondo Husserl l’anormalità presupporrebbe la normalità e quindi la concordanza del mondo può essere ristabilita attraverso correzioni. Il criterio dell’intersoggettività è dunque interno o esterno al campo della monade ? Oppure non ha alcun senso parlare di monade ? Da un punto di vista topologico, interno ed esterno finiscono infatti per costituire una medesima superficie, un nastro di Möbius.

Note de bas de page 39 :

E. Husserl, ibid., pp. 212-217.

In secondo luogo, la soluzione proposta sembra senz’altro frettolosa : cosa mi impedisce di mettere fuori circuito l’opposizione tra normale e anormale, constatarne la natura fenomenica mettendo tra parentesi il loro esserci davvero ? E’ in fondo proprio quel che in questo articolo ho chiamato presa di posizione epistemologica preliminare, che cerca un fondamento proprio nella husserliana Ausschaltung. Ma se mettiamo tra parentesi l’esistenza della normalità, e la consideriamo come un effetto, non resta nulla dentro la monade ad assicurare la costruibilità della comunità intermonadica con cui desiderava spiegare la costituzione dei diversi ordini di socialità, le comunità e i loro mondi, il mondo-ambiente specificamente umano (Umwelt), il mondo immanente (flusso dei vissuti)39. Occorre dunque spostare altrove l’intersoggettività trascendentale.

5. Uno sguardo alla lingua

Il nostro caso studio ci ha portato a uno dei problemi fondamentali della semiotica : le relazioni Soggetto / Soggetto e Soggetto / Oggetto e la loro generazione. Come abbiamo visto, si tratta di un problema che ha senz’altro risvolti fenomenologici, ma che la fenomenologia ha lasciato insoluto : come mai Ego riconosce ad Alter lo statuto di Alter-Ego e non di “cosa” ? Tuttavia, nonostante i problemi cha abbiamo indicato, tanto Husserl quanto Heidegger si rivelano interessanti per quel tanto che anche noi possiamo ritrovare, nelle strutture della lingua, una dimensione intersoggettiva originaria che non ci permette di leggere altrimenti il mondo. Una dimensione che non trae le proprie mosse da Ego e neppure dal Alter Ego, ma dal “si” reciproco che, in posizione di secondo attante, co-determina il ruolo tematico di entrambi.

Note de bas de page 40 :

F. Marsciani, op. cit.

Note de bas de page 41 :

L. Hjelmslev, “La structure morphologique” (1939), in Essais linguistiques, Paris, Minuit, 1971 (tr. it. “La struttura morfologica”, in Saggi di linguistica generale, Parma, Pratiche editrice, 1981).

Può la semiotica suggerire una soluzione alla fenomenologia ? E’ la questione posta da Marsciani40. Tenteremo di studiare la nostra relazione con il mondo per quel tanto che essa è riflessa entro la lingua. Con Hjelmslev, faremo un tentativo di descrivere a posteriori la forma del piano del contenuto, da cui si può dedurre la sostanza delle idee e i significati41. La forma del piano del contenuto è la condizione di possibilità dell’ontologia. Poiché la descrizione della forma avviene a posteriori, la sola ontologia possibile è empirica e non c’è filosofia che tenga, senza linguistica — senza semiotica.

Nei passi seguenti cercheremo nella lingua una soluzione al problema senza accordarle nessuno statuto privilegiato particolare. La lingua è uno dei sistemi semiotici tra gli altri. Ci limitiamo a cerchare in essa fenomeni analoghi a quelli che abbiamo già riscontrato in una dimensione etnosemiotica, fedeli al principio di ricorsività che caratterizza il dispiegarsi del senso.

5.1. Intersoggettività e diatesi

Note de bas de page 42 :

Lucien Tesnière, Éléments de syntaxe structurale, Paris, Klincksieck, 1959 (tr. it. Elementi di sintassi strutturale, Torino, Rosenberg e Sellier, 2001).

Possiamo cercar tracce della relazione intersoggettiva nel linguaggio, e in particolare nella nozione diatesi reciproca che caratterizza enunciati quali “I due amanti si riconobbero”. Nella classica analisi di Tesnière42 la diatesi reciproca caratterizza due azioni parallele e di senso inverso, in cui ciascuno dei due attanti ha nello stesso tempo il ruolo attivo in una e il ruolo passivo nell’altra :

a) Alfredo picchia Bernardo.
b) Alfredo è picchiato da Bernardo.
c) Alfredo e Bernardo si picchiano.

Il verbo coinvolto è bivalente (coinvolge solo due attanti) e si dà sempre al plurale. Mi sembra interessante sottolineare che i due diversi attanti in (a) e (b) occupano una sola posizione attanziale in (c), costituendo un attore duale :

Fig. 2. Analisi attanziale della diatesi reciproca secondo Tesnière.

Fig. 2. Analisi attanziale della diatesi reciproca secondo Tesnière.

Abbiamo quindi una indicazione preziosa che avvicina la lingua e il processo di aggiustamento così come l’ha descritto Landowski : un processo che si dà sempre al plurale e comporta il fatto che due attori, che in precedenza occupano due posizioni attanziali distinte, finiscano per occupare la medesima posizione al termine del processo, se tutto è andato a buon fine.

Ancora, secondo Tesnière l’indice riflessivo “si”, poiché rinvia sempre al primo attante, non può mai occuparne la posizione. Di conseguenza nelle lingue dotate di casi non ne esiste il nominativo (cfr. il latino se, il polacco się).

5.2. Intersoggettività e ruolo tematico

L’analisi sintattica non esaurisce la problematica della presenza della relazione intersoggettiva nella lingua. Infatti, nell’uso comune, non tutti i nomi possono entrare in questa relazione :

d) *Giacomo e la mela si picchiano.

Poiché nulla impedisce alla mela di occupare il posto del soggetto in un processo attivo o passivo, occorre un’analisi semantica per comprendere come mai essa non può trovarsi a occupare il posto di primo attante nella diatesi riflessiva.

Il fatto è che la funzione sintattica di Soggetto non può essere considerata indipendente da quella, semantica, di Ruolo tematico. La “lingua” dei filosofi ha il difetto di confondere queste due nozioni occultando la seconda dietro la prima.

Note de bas de page 43 :

A.J. Greimas, op. cit.

In particolare, in (d) Giacomo è dotato di una marca semantica che alcuni linguisti chiamano agentività, altri animatezza ; la mela evidentemente non la possiede. Greimas considera l’animatezza come un classema, la cui presenza assicura la combinazione del lessema in questione con altri sintagmi entro l’enunciato43. Entro il perimetro dell’enunciato (d) sarebbe dunque valida la seguente correlazione :

Giacomo: mela= + animato: - animato

5.3. Intersoggettività e animatezza

Note de bas de page 44 :

F. Galofaro, “Animatezza e soggettività nella lingua”, Actes Sémiotiques, 117, 2014.

In un recente lavoro mi sono occupato del problema di una definizione soddisfacente di animatezza44. Per esempio, abbiamo i tentativi di definirla in termini di agentività (agency) : in molte lingue dotate di casi, il termine che regge un verbo di azione non può essere neutro. Nei casi in cui ciò accade la lingua sviluppa una forma maschile del termine, come nel caso del greco classico Oneiros / Onar (sogno). Solo il primo è il sogno che, inviato dal dio, ci visita nottetempo per ispirare le nostre azioni. Se ne dedurrebbe che il neutro non possa ricoprire un ruolo semantico attivo. Vi sono due motivi per dubitare di questa definizione.

Note de bas de page 45 :

L. Hjelmslev, “Animé et inanimé, personnel et non-personnel”, in Travaux de l’Institut de linguistique, Paris, I, 1956, pp. 155-199 (trad. it. in Saggi linguistici I, Padova, Unicopli, 1988).

In primo luogo, essa descrive bene le lingue classiche, ma non, ad esempio, il polacco moderno, dove ci imbattiamo in dziecko (bambino/-a), neutro : secondo Hjelmslev, nell’evoluzione diacronica delle lingue slave, l’opposizione morfologica neutro-/non neutro, retaggio dell’indoeuropeo comune, ha “dimenticato” la propria relazione con la sostanza del contenuto che originariamente formava (incapace / capace di agency), e l’ha sostituita con una sostanza differente, che potremmo descrivere come non marcatamente maschile o femminile / marcato45. Hjelmslev giudica piuttosto comune quest’evoluzione diacronica delle opposizioni morfologiche. Per di più, il polacco recupera l’opposizione animato / inanimato per differenziare il genere maschile.

Note de bas de page 46 :

L. Hjelmslev, “La catégorie des cas”, Acta Jurlandica, VII, 1, 1935.

In secondo luogo, definire il neutro in termini di non-agency vuol semplicemente ribadire, con un’etichetta, il fatto che esso può occupare solo la posizione sintattica di soggetto della frase passiva o intransitiva : dunque, non ci fa fare un passo avanti nella comprensione del problema. Per questo, nello stesso articolo, ho proposto di ritornare all’opposizione classematica animato / inanimato e in particolare di considerare l’animatezza come una forma peculiare di efficacia in relazione al movimento presupposto dalla categoria casuale di direzione, per dirla con Hjelmslev46. Si tratterebbe della capacità dell’Altro di muovere se stesso oppure di muovere qualcosa o qualcun altro. Il che spiegherebbe un enunciato come il seguente :

e) Giacomo e la montagna si fronteggiano.

A differenza di (d), (e) è del tutto corretto. Potremmo dire che la montagna possiede un classema di “animatezza”, ma questa analisi, a mio parere, non è ancora soddisfacente. Come abbiamo visto, in alcune lingue uno stesso nome ammette una versione animata ed una inanimata. Il linguaggio stesso sembra sempre in grado di animare le cose, come nell’espressione (f) :

f) la montagna va da Maometto.

Note de bas de page 47 :

François Rastier, Sémantique interprétative, Paris, PUF, 1987.

Utilizzando la terminologia proposta da Rastier, possiamo considerare afferenti questi classemi47. Se è così, quando riscontriamo il classema “animato”, è lecito domandarsi da dove venga.

5.4. L’intersoggettività e l’oggetto

Note de bas de page 48 :

Cfr. Liliane Haegeman, Introduction to Government and Binding Theory, London, Blackwell, 1994 (tr. it. Manuale di grammatica generativa, Milano, Hoepli, 1996, pp. 63-65).

Una scoperta piuttosto interessante è il fatto che la scelta del soggetto dell’enunciato non condiziona il ruolo tematico assegnato all’oggetto, al contrario ! E’ la scelta dell’oggetto a condizionare il soggetto48, come risulta dai seguenti esempi :

g) John broke a vase last week.
h) John broke a leg last week.

In (g) John è un agente attivo ; in (h) subisce l’evento, ovvero ricopre il ruolo tematico di paziente. La lingua italiana manifesta nella morfosintassi questa differenza, che in Inglese rimane immanente, ricorrendo a una costruzione riflessiva :

i) Giovanni ha rotto un vaso la scorsa settimana.
l) Giovanni
si è rotto una gamba la scorsa settimana.

Per dirla con Hjelmslev, il soggetto animato è la variabile che presuppone il secondo attante in qualità di costante. Dunque, ritornando ai nostri esempi (c, d, e), quale elemento determina l’afferenza del seme “animato” al primo attante ? Si tratta del secondo attante, il ruolo tematico del quale è a sua volta assegnato dal verbo :

soggetto -> (oggetto -> verbo)

In termini di semantica strutturale, l’animatezza è dunque un ruolo tematico assegnato a un soggetto plurale da un oggetto (il pronome riflessivo “si”) e a quest’ultimo da una relazione (picchiar-si ; riconoscer-si). Ne risulta che l’aggiustamento, il riconoscimento reciproco tra soggetti e più in genere la soggettivazione sono processi a partire da una relazione originaria intersoggettiva manifesta nel “si”. Tale relazione esprime la condizione di possibilità del soggetto. Perché vi sia un soggetto occorre insomma una relazione a carattere reciproco.

Conclusione

Il lungo excursus nel linguaggio ci ha fornito un modello che può essere utile a chiarire il problema della creazione di un soggetto plurale a partire da processi che Landowski chiama aggiustamento. La soluzione che abbiamo trovato vede l’intersoggettività trascendentale come condizione di possibilità per qualunque processo di soggettivazione. In assenza di una relazione di reciprocità, non possiamo dire di trovarci in presenza di soggetti.

Note de bas de page 49 :

Cfr. F. Marsciani, op. cit.

L’intersoggettività trascendentale, in quanto relazione, precede l’auto-individuazione dei soggetti e anzi costituisce la condizione di possibilità della loro esistenza semiotica49. Come abbiamo visto, l’esame del linguaggio conferma questa ipotesi : è un “si” riflessivo che permette a due attori di co-costituirsi nella posizione attanziale di soggetto di una relazione reciproca e di attribuirsi a vicenda ruoli animati come agentività e animatezza. Questo è il contributo che la semiotica può offrire al dibattito filosofico sull’intersoggettività per risolvere i problemi in cui si è imbattuto il dibattito fenomenologico.

Ecco quindi un’interpretazione del problema in cui ci siamo imbattuti nel caso del disagio psichico. Dal punto di vista dell’Ego escluso, è Alter a negargli lo statuto di Soggetto, come confermato anche dall’osservazione etnosemiotica. Ci troviamo quindi in presenza di un aggiustamento bloccato a causa del rifiuto di Alter di entrare in una relazione di reciprocità con Ego. Si rende dunque necessario un intervento volto a sbloccare, a favorire l’aggiustamento a partire, come abbiamo visto, dai suoi sotto-programmi accessori, che possono avere la forma di relazioni di manipolazione, e i cui soggetti si incarnano in attori distinti da quelli coinvolti nel programma di base. In assenza di aggiustamento, l’Ego schizofrenico è mantenuto in una dimensione di paradossalità dal mancato riconoscimento collettivo del suo statuto di soggetto — e di conseguenza di essere umano e di individuo.